LETTERATURA: I MAESTRI: Carlo Sgorlon. La poltrona dello scrittore22 Marzo 2016 di Giuliano Gramigna CARLO SGORLON Il primo dato positivo registrabile per questo libro di Carlo Sgorlon La poltrona, una delle più notevoli « ope re prime » comparse nell’annata, è il tour de force di mantenere vivo per oltre centottanta pagine un romanzo che si sviluppa intorno alla deduzione ricorrente di un unico dato iniziale, ri petendolo con infinitesimali modifica zioni secondo un ritmo maniaco: e il dato iniziale è quello della congenita incapacità del professor Giacomo Cojaniz, 42enne, insegnante in una scuo la d’avviamento di Udine, che è il parlante e il narrante del libro, inca pacità di condurre a termine qualsiasi cosa abbia intrapreso, congiunta a una sorta di nevrosi della « fuga del tem po », per cui gli pare continuamente di sottrarre giorni, ore, minuti, secondi preziosi all’edificazione di una sua grande opera. Giacché Cojaniz, sbarrato in una ab bastanza sordida stanza presa in affit to presso una famiglia, più cellula di fiele che di miele rintronata com’è da gli strilli, dalle risate da iena. dalle ir ruzioni del figlio e delle figlie dell’af fittacamere, ha deciso di scrivere un’o pera colossale, intitolata « La torre di Babele » una sorta di summa che do vrebbe esaurire nonché la letteratura il mondo, « una colossale tragedia del lo spirito, di tutta la civiltà moderna, del regnum hominis, dal Ficino all’in formale », « la mia bibbia, la mia ope ra grandiosa, il mio libro da mille pa gine ». L’ha deciso finalmente dopo aver accumulato per anni e anni qua derni fitti di appunti, annotazioni, ab bozzi. ma la realizzazione, che viene a coincidere con le vacanze natalizie del professore, inciampa subito in una fit ta rete di ostacoli esterni che non so no poi altro che la proiezione della in sicurezza e della indecisione di fondo dell’autore stesso. Fuga dalla responsabilità Il simbolo insieme più vistoso e ridi colo di questa impotenza è la poltrona che il narratore vorrebbe costruirsi con le sue mani come condizione indi spensabile di comodità e quindi di rendimento nel lavoro letterario, pol trona che naturalmente non viene mai condotta a termine ma che interrompe continuamente le altre occupazioni del protagonista con il suo richiamo. Un secondo motivo di deviazione dal lavo ro principale è la compilazione delle schede che dovrebbe servire ad agevo lare l’opera vera e propria ma che rap presenta in realtà una sorta di fuga dalla responsabilità; senza contare poi i disturbi provocati dai tempestosi abi tanti dell’appartamento, da due vec chie in lotta feroce fra loro per una porta e i mille avvisi, allarmi, fitte, in dolenzimenti, geli, vampate di febbre che la nevrosi manda avanti e in dietro. Si potrebbe vedere nella Poltrona una sorta di calcolata trascrizione « in volgare », in modulazione d’epica « bassa », del ricorrente tema di certa narrativa moderna, del romanzo come crisi dello scrivere un romanzo o co munque dello scrivere; soltanto che qui la prospettiva viene tutta capovol ta e anziché muovere da un creatore nobilmente e aulicamente superior, si spicca da e riconduce a un facitore inferior, una sorta di artigiano velleitario e probabilmente illuso, ficcato in una posizione perfino fisicamente ridi cola, confitto in un suo piccolo brago di avversità, a lottare con la penna che non si trova, con le lenzuola che scivolano, con la sega che si rompe, con gli oppressivi vicini. E tuttavia perché non dovrebbero essere anche queste (o forse proprio queste?) le « sofferenze dello scrittore »? La torre di Babele La novità e l’interesse del libro di Sgorlon (trentottenne, al suo primo romanzo) stanno nell’avere accolto questo materiale di ascendenza este tizzante e averlo ridotto al più basso livello esistenziale possibile e averne usufruito tutto il tragico humour sen za passare alla caricatura empia e di staccante: ne è derivata così al libro, malgrado la semplicità dello schema, una abbondanza di umori e una stiliz zazione che è insieme ben calcolata e naturale. S’intende che in un libro come que sto, fondato sulla ripresa con variazio ni di un motivo iniziale, la struttura doveva avere una funzione capitale, rivelatrice. La figura sulla quale opera Sgorlon è ovviamente quella della ri petizione ma bisognerà osservare co me si dispongono gli elementi all’inter no delle varie « repliche »: come, dopo l’inizio del lavoro di stesura alla « Tor re di Babele », sopravvengano ogni vol ta due interruzioni cui segue poi la de cisione capovolgitrice di correre in so laio e mettersi a piallare e incollare la poltrona; come le varie cause di inter ruzione si scambino o si riproducano da ripetizione a ripetizione, come il ritmo delle sezioni narrative che rico minciano ogni volta da capo il calva rio del narratore segua il ritmo del giorno e della notte. Il romanzo pertanto tende anziché a sciogliersi ad aggropparsi ancora di più, proprio come si potrebbe parlare di un groppo, di un groviglio di nervi: denuncia il ritmo che diventa sem pre più fitto e sfocia nel massimo del l’involuzione del sogno. A sua volta la nevrosi del narratore è testimoniata non solo dal ricorrere di formule metaforiche che vogliono indicare la grande impresa cui si sen te vocato ma che non osa nemmeno pronunciare apertamente (« piantare il palo, passare la porta » ecc.) ma da un particolare impasto linguistico che nel suo monologo straripante mette a profitto battute convenzionali, locuzio ni pseudospiritose che ne sottolineano la parte meccanica, ripetitoria ( « alla buona di Dio », « e avanti col brum », « e addio Kira », « fregala in curva »), accanto agli improvvisi squarci di au tenticità espressiva. Insomma: ecco un’opera prima singolarmente natura le e calcolata allo stesso tempo di tipo non realistico ma allucinatorio e in Sgorlon un narratore che converrà non perdere d’occhio.
Letto 1165 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||