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LETTERATURA: I MAESTRI: Ricordo di Emanuelli

19 Marzo 2016

di Giuliano Gramigna
[da “La Fiera Letteraria”, numero 28, giovedì 13 luglio 1967]

Incontrai per la prima volta Enrico Emanuelli subito dopo la fine della guerra, a Milano, nella redazione di Costume: pro ­prio in quegli anni avevo letto con entusiasmo il suo romanzo La congiura dei sentimenti e, nel periodo più buio dell’occu ­pazione, il suo Teatro personale e il libriccino verde, da tasca, Dei sentimenti, due diari di di ­verso tipo ma congeniali a Ema ­nuelli che non amava affatto mettersi in piazza; erano accu ­mulati sul ricordo di altre lettu ­re, di Un’educazione sbagliata, dei molti elzeviri ecc. Quando lo vidi mi sembrò ancora più gio ­vane di quello che pensavo, as ­somigliava moltissimo a He ­mingway, l’Hemingway degli an ­ni parigini, della Spagna, con la listatura sottile dei baffi. L’altra cosa che mi colpi fu vederlo scri ­vere con quella calligrafia arro ­tondata, nitida, chiara come una stampa. Della eleganza proprio materiale dei suoi dattiloscritti molti hanno parlato, se ne è for ­mata quasi una leggenda: ma la calligrafia così minuziosa e pun ­tigliosa non mi pareva fin da allora per niente in disaccordo con lo scrittore Emanuelli, con il suo illuminismo discreto, il suo modo di comporre la ragio ­ne con i sentimenti e poterli di ­scorrere, una certa attenzione e misura di movimenti, tanto fisi ­ci che spirituali, da uomo sette ­centesco.

L’abitudine di incontri quasi giornalieri, quando assunse la di ­rezione della pagina letteraria del Corriere della Sera, mi ripor ­tò un Emanuelli più grigio, co ­me in una studiata nuance con gli abiti di ottimo taglio, le spal ­le appena un po’ curve ma la vitalità di sempre dentro quei modi da gentiluomo piemontese, che qui vorrebbe dire pressappo ­co ciò che in inglese è stile oxfordiano: un garbo dell’under- statement ma con la punta di malizia del letterato ben dentro alla mischia, la passione e insie ­me il distacco, il fastidio delle polemiche culturali e insieme il gusto di entrarci e di pungere.

Sia ben chiaro infatti che la eleganza di Emanuelli nel trat ­tare, il suo riserbo forse con una tinta di diffidenza, non ne face ­vano per niente un personaggio accomodante, morbido. Aveva le sue punte e ci teneva di tanto in tanto a mostrarle. Quando uscì un paio di mesi fa il suo libro Un gran bel viaggio, rac ­contandomi un po’ come era na ­to, e con quanti sudori, che co ­sa voleva significare, disse: « Ci sono dentro anch’io: sono quell’Enema cui si accenna come a un’evanescente gloria locale, di mezza età, ex-giornalista, che di ­ce di sé stesso: Sono un mite; ma soltanto i miti sanno essere spietati ». Non saprei dire se, di là dalla sua cortesia inappun ­tabile, la mitezza fosse la sua vera dote: ma quell’autodefìnizione mi convince abbastanza come indizio di temperamento, qualità indispensabile in un ve ­ro scrittore.

Che lui lo fosse, e i critici concordano, non c’è dubbio: ba ­stano a provarlo due libri come La congiura dei sentimenti e Settimana nera. Che cosa pen ­sasse Emanuelli di sé stesso co ­me scrittore, è difficile dirlo: era troppo civile per scoprirsi; ma credo che in lui un dubbio instancabile e un’instancabile fi ­ducia andassero di pari passo, rendendogli così paziente, fatico ­so e autentico il lavoro.

Proprio entro questo doppio scrupolo si collocava per lui quel giornalismo letterario o si dica meglio: quella letteratura a misura del quotidiano, che vole ­va realizzare con la pagina dei libri sul Corriere. Allora con i collaboratori, quando lo si an ­dava a trovare nella stanza che condivideva con Montale, era comprensivo e insieme minuzio ­so. Preparava menabò pulitissi ­mi, perfettamente squadrati, che parevano disegni di Mondrian; chiacchierava volentieri, un po’ ingobbito sulla scrivania, mentre lì vicino, dietro il suo tavolo, Montale ascoltava e in ­terveniva parcamente.

Era un ambiente molto tran ­quillo, da alto techinicien più che da letterato nel senso con ­venzionale: anche se poi a Ema ­nuelli la letteratura era pene ­trata addosso come una radia ­zione. Non era certo vecchio, ma a differenza di tanti suoi coeta ­nei s’incuriosiva sinceramente di quanto andavano facendo i più giovani, senza spaventarsi di progetti eversivi, di proclama ­zioni violente: direi che non gli dispiacevano affatto, anche se poi la sua natura esigeva tutt’altri modi, e se si riservava sempre la libertà di dubitare e di non allinearsi. Forse neanche colleghi che lavoravano vicino a lui possono dire con sicurez ­za come fosse, fino in fondo: cor ­tese, pronto ad ascoltare e a par ­tecipare, si era però conservato l’indispensabile, uno spazio di fuga dove assicurarsi di sé stes ­so, uomo e scrittore.


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