LETTERATURA: I MAESTRI: Cechov: tre imperativi19 Maggio 2018 di Piero Nardi Daniel Gilles, belga, residente a Bruxelles, ma spesso in viaggio pubblica i suoi libri in francese, per lo più da Juliard e da Gallimard; ma parla e scrive sei lingue. Ha tradotto, in collaborazione con la moglie, venti racconti di Cechov. Nel 1959 gli è sta to conferito il premio Rossel (il Goncourt belga) per un libro di novelle; ma la sua produzione più cospicua è di romanziere e di biografo. Come romanziere, ha offer to, in Jeton de présence, una immagine spietata del mondo degli affari; con La termitière ha denunciato il fallimento dei bianchi nella loro missio ne civilizzatrice nel Congo; e con l’ultimo dei suoi cinque romanzi, Les brouillards de Bruges, ha impostato il problema del divorzio in un meschino mondo di provincia, che al divorzio guarda come a oggetto di scandalo. Dunque, romanziere incline alla problematica sociale. Si capisce che da biografo si misurasse primamente con una figura animata da interessi sociali come Tolstoj, sfo ciato nella forma di messia nismo che tutti sanno. Gilles m’avvenne d’incontrarlo giu sto l’anno dopo l’uscita di quel suo Tolstoi, ch’è del ’59. Eravamo insieme a un con vegno di studi tolstoiani a Ve nezia. E a presentarmelo era una nipote diretta di Tolstoj. Gilles medesimo aveva sol lecitato quella presentazione sapendomi autore di una Vita di D. H. Lawrence. Egli at tendeva infatti già allora alla biografia, uscita poi, nel ’64, con il titolo D. H. Lawrence ou le puritain scandaleux. Su perfluo dire, che se c’è figura insistentemente volta a una utopia sociale, è proprio quella del messianico Lawrence. Bene,, con il suo libro più recente â— la terza delle sue biografie, uscita a Parigi da Julliard con il titolo Tchekchov ou le spectateur désenchanté â—, Gilles ha fatto una svolta: ha scelto una figura apparsagli aliena da ogni pro blematica sociale, e da ogni messianismo: Cechov o lo spettatore disincantato. E di rei che proprio dall’eccezionalità della svolta nasca l’insi stere dell’autore sulla tesi denunciata dal titolo del libro. Tesi persuasiva, non fosse che per il continuo ricorso a confessioni di Cechov. Proprio vero che Cechov sia cosi alieno dalla confessione autobiografica come lo asseri sce Gilles? « Contrariamente a molti dei russi, i quali, freu diani senza saperlo, non ama no che raccontarsi e confes sare distesamente le loro de bolezze, Cechov ha sempre evitato di confessarsi ». Se non che, detto questo nella prima pagina, il biografo è costretto, nella seconda, a fa re un’eccezione. E di eccezioni ne introduce poi innumerevo li. Trae, per esempio, da una lettera di Cechov questa ci tazione: «Io non ho sempre idee precise, né in politica, né in religione, né in filosofia. Ne cangio tutti i mesi, il che mi obbliga a descrivere sol tanto come i miei eroi ama no, si sposano, mettono al mondo dei figli, muoiono ». Ce n’è abbastanza per avvia re il discorso sullo spettato re disincantato. E più in là incontriamo questa dichiara zione: «Quando si leggono le lettere di Cechov seguitamen-te, non si può non restare colpiti dall’incessante ritorno delle espressioni: ‘M’annoio’, ‘La mia vita è grigia come sempre’, ‘Niente di nuovo’ » Saranno magari soltanto bri ciole; ma sono preziose, a conforto della tesi del « di sincanto ». E Gilles ha fat to bene a tesorizzarle. E ha fatto bene a giovarsi altresì di quanto, di autobio grafico, può essere desumibile dalla narrativa e dal teatro di Cechov: dal racconto Una storia noiosa, poniamo, a pro posito del quale, o, meglio, del modo di essere del prota gonista, il biografo afferma: « E’ esattamente così anche per Cechov: anche lui non è ancorato alla vita da un qua lunque desiderio dominante, anche lui soffre di non posse dere un ‘punto di vista ge nerale’ che gli permetta di orientare, e di dominare la propria opera e la propria vita ». Letta questa biografia di Gilles, ho riletto l’appas sionato saggio su Cechov di Thomas Mann, e ho potuto constatare che se questi pre feriva Una storia noiosa a ogni altro racconto di Cechov, era precisamente per i molti tratti di sé conferiti dall’au tore al protagonista. Tornando al libro di Gilles, e per fare anche un esempio relativo al teatro di Cechov, il biografo arriva a dire che nel Gabbiano l’autore esprime se medesimo per bocca di questo o quell’altro personaggio: « Trigorin è il Cechov irrefutabile ‘letterato’; Dora è il dottor Cechov, sorridente e deluso ». Siamo lontani, naturalmen te, dall’autobiografismo di Lawrence, la cui produzione può dirsi (e Gilles l’ha evi denziato nel suo D. H. Lawrence ou le puritain scandaleux) tutta resolubile in autobiografia. Quelli di Cechov sono casi sporadici. Una costante invece resta, per Gilles, come per la maggioranza dei critici, la forma del reali smo di Cechov, autore por tato a far oggetto d’arte non la realtà propria, ma quella degli altri. Così avviene che il biografo si trovi a indugiarsi solo per talune opere, e sempre in funzione biografi ca, sui prodotti artistici del suo autore, e proceda pertan to più spedito guardando al l’uomo e in particolare agli ambienti in cui l’uomo si mo veva. Gilles è un maestro nel le delineazioni d’ambiente: paesaggi e uomini. Certo, in lui non c’è tanto ambizione di studioso impe gnato a offrir nuovi docu menti, e quindi novità d’ap porti, quanto tendenza a gio varsi di documenti già noti e degli altrui apporti per dar fondamento d’autenticità a una narrazione la quale ob bedisca a esigenza evocativa piuttosto che di ricerca. An corato sì, il biografo, a quan to è dato conoscere di real mente accaduto, o presumi bilmente accaduto, ma per trarne materia d’ispirazione con la stessa propensione di artista e gli stessi risultati che caratterizzano il romanziere. Esercitando la sua riflessione sul documento o sul dato informativo, Gilles riesce sem pre a trasformarla in crea zione dì vita. Merito non ultimo di questa biografia di Cechov, la migliore ch’io conosca, e la quale meriterebbe d’essere tradotta in italiano (non mi consta che ne esista una in lingua nostra), è la consequenziale linearità. La quale era, sì, della vita di Cechov; ma che il biografo ha fatta più evidente che mai, retti ficando giudizi errati: così per esempio là dove, dopo es sersi diffuso a dire della mo rale impostasi da Cechov in torno all’ ’86, Gilles afferma che imponendosi quella mo rale, Cechov non segnava « come è stato detto, una bru sca svolta nella propria vita, ma invece un prolungamento, una persistenza sulla via che, dai vent’anni, s’era traccia ta ». Quella morale, dice Gil les, poteva riassumersi in tre parole: lavoro, padronanza di sé, discrezione. A guardar bene, tutta la vita dì Cechov quale esce dal la recente biografia appare nella luce conferitale da quel le tre parole o, meglio, per mane nel fuoco di quei tre imperativi.
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