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LETTERATURA: I MAESTRI: Claudel e la Bibbia #6/6

8 Marzo 2009

di Carlo Bo
[dal “Corriere della Sera”, mercoledì 14 gennaio 1970]  

E Claudel? Come sopporta gli anni del purgatorio? La domanda è nata di rimbalzo, in occasione del recente centenario gidiano. Mauriac, che è sempre molto attento a questi calcoli del futuro o meglio dell’immediata posterità, si è divertito a polemizzare sulle due diverse valutazioni. A chi sosteneva che Claudel reggeva meglio di Gide il pri ­mo confronto con il futuro, rispondeva che c’erano per lo meno due ragioni sufficienti a spiegare l’apparente squilibrio. Intanto la memoria di Claudel sarebbe difesa da un figlio mentre quella di Gide resta affidata esclusivamente all’opera di una figlia e poi la fortuna di Claudel dipende ­rebbe per gran parte dalla vitalità del suo teatro.
Tutto vero ma Mauriac dimenticava, almeno a nostro avviso, la ragione più valida e, cioè, che Gide pagava il lungo successo in vita e l’essere stato il maestro, la guida di buona parte della gioven ­ca europea fra le due guerre. Al contrario la fama di Clau ­del era rimasta sempre chiusa in un ambito ben riconoscibile di fedeli, di ammiratori di élite a cui bisognava per forza contrapporre la larga schie ­ra dei sordi, dei tiepidi o an ­che degli oppositori.
Da aggiungere che tale regola valeva non soltanto per la Francia ma un po’ per tut ­ti i paesi, a cominciare dal nostro dove la famiglia degli ammiratori (da Jahier che tra ­dusse il Partage de midi a Cardarelli e poi – fra i cattolici – dai primi saggi di Casnati fino ai recentissimi studi di Antonino Corsaro) è stata tenuta in soggezione dai diffidenti e da chi vedeva in Claudel un mostro di super ­bia. La formula escogitata da Sorel per liquidarlo (‘gorilla cattolico’) era rimbalzata in Casa Croce e ripresa in un secondo tempo dagli stessi scrittori cattolici che fiutava ­no nella poesia claudeliana un tipo di abuso non dissimile da quello consumato dal nostro D’Annunzio.
 

*

Ci fermiamo su questi dati marginali che in altre occasioni risulterebbero del tutto inutili e gratuiti, soltanto per stabilire che il Claudel non è mai entrato in un vero e proprio discorso comune. E qui si inserisce a ragione l’osservazione di Mauriac, il teatro sarebbe stato il cammino per arrivare finalmente a Claudel. Registi intelligenti sin dal tem ­po della occupazione nazista ebbero il coraggio di portare sulle scene un teatro che fino allora era stato giudicato irrappresentabile e l’iniziativa     venne     accolta con grande successo. Si deve al teatro se il Claudel dell’estrema maturità poté evitare il silenzio e l’oblio. Resterebbe però da vedere se gli applausi degli spettatori abbiano servito anche il poeta e il critico (che in Claudel era grandissimo) e infine il lettore della Bibbia.
Non potendo sul momento dare una risposta concreta, siamo costretti a ribadire an ­cora una volta la diversità assoluta di Claudel nel quadro della poesia del Novecento, meglio diremo la sua estranei ­tà. Qualcosa impediva ai lettori comuni l’ultima comunione, per cui si restava sempre ai margini di una valutazione critica per specialisti, per in ­tenditori. Si aggiunga che nell’uomo non c’era mai stato nessun elemento di vera e generosa partecipazione, a volte si aveva     l’impressione che Claudel rifiutasse il primo gesto dell’offerta. C’era la sua opera, in un certo senso avvolta in un velo di eternità, c’era una voce da assumere in bloc ­co o da rifiutare ma nessun atto che consentisse l’inizio di un rapporto. Claudel non aveva nulla del letterato di pro ­fessione e l’aver passato gran parte della sua vita all’estero, come diplomatico, lo aveva al ­la fine escluso dal giro dei rapporti normali.
Ma non era soltanto un da ­to determinato dal tipo della sua esistenza e del suo lavoro ufficiale, no, in lui c’era una dipendenza diretta ed esclusi ­va dalla sua natura che era selvaggia, dura, tutt’altro che mondana. Chi aveva sperato di poter scovare finalmente nelle pagine del Journal (di cui è uscito da poco il secon ­do volume nella Plèiade) una traccia diversa, dovette subi ­to ammettere di essersi sbagliato. Nulla di intimo, nulla di curioso ma piuttosto la conferma del blocco, del masso, insomma di un corpo unico e irrepetibile. Le stesse sollecitazioni d’ordine letterario non avevano un peso reale, per cui si poteva tranquillamente ri ­petere che Claudel era uomo di pochissimi libri: l’inevitabile Rimbaud, i tragici greci e la Bibbia.

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Ora appunto la Bibbia, a cui ha dedicato in pieno gli ultimi trent’anni della sua vita, potrebbe diventare la se ­conda strada per arrivare a una più profonda e diretta conoscenza dello scrittore. Sembra superfluo accennare qui a quello che la Bibbia ha rappresentato per Claudel, non appena un mondo dell’intelli ­genza ma a dirittura il mon ­do della conoscenza. Intanto un libro, anzi l’unico libro sa ­cro della nostra storia. Clau ­del era convinto – e non ha mai smesso di ripeterlo – che la Bibbia fosse opera di un unico autore, meglio di Dio stesso. Ad ogni modo sull’im ­portanza dell’incontro hanno insistito i maggiori interpreti del Claudel, dal Fumet a Georges Cattaui che in un re ­centissimo studio (Claudel, Le cycle des Coûfontaine et le mysfere d’Israël, ed. Desclée de Brouwer) è arrivato alle estreme conseguenze di questo rapporto, presentandoci un Claudel profeta. Profeta nel senso più vero di lettore della Bibbia e quindi della verità del cristianesimo.
Proprio in questi giorni ap ­pare nelle nostre librerie la traduzione di un’opera postu ­ma del Claudel, Au milieu des vitraux de l’Apocalypse, (I giorni dell’apocalisse, nelle ed. dell’Istituto di Propaganda li ­braria) che ha tutti i numeri per illustrare al lettore il va ­lore dell’incontro e la natura del rapporto. Più che a un la ­voro di esegesi, conviene pen ­sare a un modo di penetrazio ­ne diretta: non per nulla Clau ­del diceva: « Non si tratta di capirla, l’Apocalisse, ma di camminarci dentro. Proprio così! Noi siamo due poveri operai che per la prima volta in vita loro entrano in una cattedrale e guardano tutto con una timidezza pari all’am ­mirazione ». Dunque, impor ­tanza dell’occhio, anzi dell’occhio che ascolta, come diceva lo scrittore con una delle sue tipiche riduzioni di intensità poetiche. Ma entrare nella Bibbia senza riserve, per in ­tero e con la convinzione di potervi aggiungere qualcosa e rovesciando in tal modo la re ­lazione normale d’ogni lettura.
 

*

Claudel non leggeva per ar ­ricchirsi ma leggeva per ar ­ricchire gli altri. Che era una posizione apparentemente di un’estrema superbia mentre in effetti era un atto di amore e di ammirazione; era – se ­condo la sua natura – quasi un rapporto fisico. Ma non si veda dietro queste parole l’om ­bra del gorilla soreliano, pro ­prio il Cattaui ci presenta un altro Claudel, timido, scontro ­so per amore, umile. Probabil ­mente le sue famose impenna ­te, le sue costanti offese a Renan e a quanti avevano cre ­duto di poter ridurre Cristo a una semplice immagine umana avevano questo significato.
Non voleva intermediari (a stento sopportava l’opera del ­la Chiesa ufficiale), voleva soltanto un giuoco di anime. «La Scrittura è ispirata da Dio. E’ un messaggio che ci viene in ­dirizzato personalmente e che dobbiamo leggere con infini ­ta attenzione, non per appren ­dervi la notizia del vicinato ma soprattutto per penetrarci del carattere dello scrittore (perché questa lettera è nel medesimo tempo anche un Te ­stamento), dei suoi desideri, dei suoi sentimenti a nostro riguardo. In una lettera quel che ci occorre sapere è chiaro, ma non ci basta: cerchiamo di leggere tra le righe tutto ciò che il nostro amico ha saputo metterci di sentimenti intimi, di consigli velati, di suggeri ­menti indiretti e di informa ­zioni aggiornate. O se vuoi, la Scrittura è come un aeroli ­te, una cosa che cade dal cie ­lo. Con quale interesse do ­vremmo esaminare quel docu ­mento celeste nella sua so ­stanza più che nelle circostanze accidentali! ». In che modo, dunque, il Claudel intendeva leggere que ­sto libro eterno? Ce lo dice lui stesso riportando in nota una preghiera di Sant’Agosti ­no: « Signore, che le vostre scritture formino sempre la mia delizia! Che io non ingan ­ni me stesso e non inganni nessun altro, spiegandole. Voi, a cui appartengono il giorno e la notte, fatemi trovare, nelle stagioni che fuggono, uno spazio dove meditare i segre ­ti della vostra legge.
« Non invano avete nascosto tanti meravigliosi misteri nel ­le pagine sacre. Signore, rivelatemeli! Perché la vostra gio ­ia è la mia gioia e supera ogni gaudio ». C’è una perfetta coincidenza fra l’ultimo Clau ­del e queste aspirazioni. Nel 1928 al momento di comin ­ciare questo discorso sull’Apocalisse, Claudel si sen ­tiva vinto come scrittore e la terra non lo toccava più e fu così che nel mutamento fra la prima gioia terrena e questa seconda di origine divina av ­venne la sua scelta, una scelta unica che soltanto uno spirito come il suo poteva fare, libe ­ramente e interamente ma sempre nell’ambito del Magi ­stero della sua Chiesa. E que ­sto ci spiega anche come per lui non esistessero dubbi, fre ­miti di paura, momenti di de ­bolezza: il guardare lo ripaga ­va di tutto, quel suo modo di guardare che era fede, esalta ­zione, gioia, ultima convin ­zione


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3 Comments

  1. Pingback by Bartolomeo Di Monaco » LETTERATURA: I MAESTRI: Claudel e la Bibbia … — 8 Marzo 2009 @ 12:12

    […] Fonte Articolo: Bartolomeo Di Monaco » LETTERATURA: I MAESTRI: Claudel e la Bibbia … […]

  2. Commento by Gian Gabriele Benedetti — 8 Marzo 2009 @ 21:14

    Pagina di grande forza comunicativa e particolarmente ricca di profondi contenuti. La figura del grande drammaturgo Claudel, che, partito da esperienze simboliste, orientò la sua arte in senso cattolico, ha un’inquadratura puntuale ed è particolarmente ben analizzata nella sua essenzialità, anche attraverso interessanti e significativi raffronti. La sua visione della Bibbia (Antico e Nuovo Testamento), ritenuta ispirata da Dio stesso, mi trova sulla sua medesima linea di concetto. Molte parti della Sacra Scrittura hanno la forza di commuovere e di corroborare, di stupire e di offrire certezze, di farci capire la potenza di Dio e la Sua misericordia…
    Vorrei sottolineare che rimango avvinto (e pur anche sconvolto) ogniqualvolta mi soffermo a leggere ed a meditare alcune parti dell’Apocalisse, che paiono di impossibile creazione umana
    Gian Gabriele Benedetti

  3. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 8 Marzo 2009 @ 21:45

    Di Carlo Bo, ho rintracciato nel mio archivio altre cose interessanti. Farò passare un po’ di tempo dando spazio ad altri maestri, però lo incontreremo di nuovo. Una promessa, giacché si tratta di far parlare uno degli studiosi più importanti del Novecento.

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