LETTERATURA: I MAESTRI: Croce nel “paese di fiabe”6 Dicembre 2016 di Vittorio Frosini A Pescasseroli, dov’era nato in una delle stanze del palaz zotto dei Sipari, la famiglia di appartenenza della madre, Be nedetto Croce non rimise pie de sino al 1921, quando egli era già filosofo e uomo politico fa moso, salito alla carica di mi nistro della Pubblica Istruzio ne. Sarebbe anzi più esatto di re che egli posò allora per la prima volta il piede sulle stra de del paesello d’Abruzzo, giac ché lo aveva lasciato quando era ancora infante. In quello stesso anno, sottrattosi ormai alle cure dell’ufficio a seguito della crisi ministeriale, e fatto ritorno agli studi, egli compo se la piccola e splendida mo nografia storica su Pescasseroli, che pubblicò in appendice al volume della sua « Storia del Regno di Napoli » nel 1924, e che è perciò largamente nota. Si trattò di una testimonianza, com’egli scrisse, « in guisa più familiare e personale del lega me d’affetto che mi stringe al la fortuna di quelle regioni », che avevano costituito l’antico reame di Napoli; ma essa rap presentò altresì quasi un atto di riparazione verso il luogo natio, da lui in apparenza trascurato e dimenticato, perché il filosofo aveva eletto a sua residenza la città di Napoli, e veniva comunemente designato per l’appunto come « il filosofo napoletano ». Eppure, non si comprende il carattere di Croce, che ebbe un vigore capace di trasformarsi all’occasione persino in durezza, se non si tiene conto del fatto ch’egli proveniva dalle montagne d’A bruzzo (la famiglia paterna era originaria d’un paesello vicino, Montenerodomo), e che l’am biente della sua infanzia, da cui ricevette le prime impres sioni di vita e da cui ovviamen te derivò gl’impulsi del tempe ramento, era quello d’una bor ghesia rurale, agiata ma anco ra a diretto contatto con le difficoltà e con la forza di sop portazione o magari di sacrifi cio della grama esistenza dei pecorai d’Abruzzi, chiusi nel silenzio dei boschi e dei trat turi. Lo stesso Croce, del resto, lo dichiarò in un discorso, che ten ne ai suoi compaesani in quel la visita che rese loro nel 1921: discorso pochissimo noto, e non so nemmeno se riportato in uno dei tanti suoi libri, ma che venne allora registrato e poi pubblicato su un giornale. In esso l’uomo adulto rievoca va, con tono delicato e toccan te, le sue memorie infantili: quando a lui, nei racconti che glie ne faceva la madre, Pe scasseroli « appariva sempre una città biancheggiante di neve, quasi divisa dal mondo, e in essa c’era una vasta casa do ve si stava intimamente rac colti intorno al lieto fuoco del camino, e si narrava di uomini forti e austeri, di pastori e di innumerevoli greggi, e poi an cora di soldati e di briganti, di cacce e di orsi: questi racconti, queste descrizioni facevano di Pescasseroli per me come uno di quei paesi delle fiabe, che non si sa mai se siano o no esi stiti ». Ma era da questo « pae se di fiabe » ch’egli sentiva sa lire per le radici la sua linfa vitale; e infatti concludeva il discorso dicendo : « Ho tenuto sempre viva la coscienza di qualche cosa che nel mio tem peramento non è napoletano. Quando l’acuta chiaroveggenza di quella popolazione (di Na poli) si cangia in scetticismo e in gaia indifferenza, quando c’è bisogno non solo di intelligen za agile e di spirito versatile, ma di volontà ferma e di persi stenza e resistenza, io mi son detto spesso a bassa voce, tra me e me, e qualche volta l’ho detto a voce alta: â— Tu non sei napoletano, sei abruzzese! â— e in questo ricordo ho tro vato un po’ d’orgoglio, e mol ta forza ». Non si può dire, d’altronde, che Croce avesse davvero tra scurato e dimenticato il suo paesello fra le montagne, dac ché si era stabilito sulle rive del festoso mare di Napoli. In fatti, nel novembre del 1910 aveva fatto dono con dedica al municipio di Pescasseroli del manoscritto originale del suo volume sulla Logica, che in quel municipio ancora oggi si con serva. E’ un grosso fascicolo ri legato, coi fogli coperti di fitta scrittura e di correzioni mar ginali, ed è preceduto da una pagina, rimasta inedita, in cui lo scrittore ha rapidamente an notato le date di composizione dell’opera. E’ una pagina esem plare del costume di lavoro di Croce, ed emblematica della sua vita morale, proprio ad intro duzione del suo libro più teori co ed astratto dalle condizioni di vita pratica. Vi è segnata la data d’inizio, il 18 novembre 1908, e dopo di essa le altre di continuazione della stesura. A metà pagina si legge: «So spesa il 27-12 per sbrigare lettere e altre faccende. Non ripresa il 29, per lo sconvolgimento d’animo prodottomi dalla noti zia del terremoto di Messina e dalla incertezza della sorte di amici carissimi. Ripresa il 30, per distrarmi (P. III, c. IV). Sospesa il giorno 2, per le tristi notizie di Messina. Ripresa il 3 gennaio 1909 e scritto l’ultimo capitolo della parte teorica (P. III, c. VII) ». La composizione procedette dunque in uno stato di tensione interiore, e quasi a sollievo di esso, per «distrar si » col lavoro; e si concluse dopo soli due mesi (si consideri che è un libro ricco di straordi naria dottrina filosofica), come documenta la chiusura della pa gina inedita citata: « Terminato tutto, fino alla conclusione della parte storica (V. ‘Di questa Logica’), la mattina del 17 gennaio 1909 ». Oggi Pescasseroli, che « trasci nò per secoli la sua vita di pic colo paese feudale, sperduto tra le montagne e quasi inaccessi bile », come scrisse il suo citta dino più illustre, è divenuta una ridente ed animata stazione tu ristica, come lo stesso Croce aveva auspicato e presagito, in grazia della verde frescura dei boschi da cui essa è circondata, a milleduecento metri d’altez za, e dei campi di neve, oggi meta di sciatori. Al centro del paese, vicino all’antica e sug gestiva chiesa parrocchiale, sta la casa che fu dei Sipari, pro spiciente una piazzetta. Al visi tatore, che ne fa domanda, gli abitanti del luogo indicano le due finestre della stanza d’an golo dove vide la luce Benedet to Croce; sorprende, a dire il vero, che nessuna lapide com memorativa ricordi, sulla fac ciata della casa, la data e il luogo della nascita di un abruz zese, che rese famoso nel mon do e impresse sul gran libro del la storia il nome di Pescasse roli, ch’era stato per lui «il paese di fiaba » d’un’infanzia remota, d’una memoria ance strale.
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