LETTERATURA: I MAESTRI: Deserto, savana, foresta10 Febbraio 2018 di Alberto Moravia Bamako, aprile. Una di queste sere assistia mo a Bamako ad un’esibizio ne di danze nazionali organiz zata dalle autorità in un night club locale. Sono presenti gran parte del corpo diploma tico e molti personaggi uffi ciali. Sulla pista di cemento, nella luce dei riflettori, si se guono corpi di ballo in costu mi africani, coppie di suona tori di flauto, terzetti di suo natori di tamburi. In una si mile balera, in Europa, que ste danze e queste musiche sembrerebbero autentiche. E non soltanto per la violenza, la bizzarria e la strana armo nia dei gesti, delle voci e dei suoni, ma anche per l’entu siasmo poco professionale dei danzatori e dei suonatori. Ma in Africa, sotto uno stellato furiosamente scintillante, nel la frescura di un leggero ven to carico di odori selvatici che pare venire dritto dalla savana, si sente invece che la autenticità delle danze e del le musiche ha già subito una correzione e mitigazione in senso folkloristico. Sono dan ze e musiche che originaria mente erano eseguite nei vil laggi in occasioni rituali e pro piziatorie. Qui invece l’occa sione è sociale e turistica. Nei villaggi le voci sarebbero sta te più agre e più discordi, le convulsioni della danza più ritmate e più violente, le mu siche più monotone e più al lucinatorie. E poi ci sarebbe stato qual che cosa che ricordiamo di aver avvertito in danze ana loghe anni or sono in un vil laggio del Ghana: il senti mento di assistere ad una ma nifestazione che ci « ignora », che ci « esclude » che non ha bisogno della nostra presenza e attinge la propria ragione d’essere a motivi che non ci riguardano. A Bamako invece lo spettacolo nasceva dalla no stra presenza. E invece di « escluderci » cercava di coin volgerci, provocando la nostra curiosità, stimolando la nostra ammirazione. Strano a dirsi, questo sca dimento dell’autenticità afri cana è dovuto, in fondo, alla rivendicazione, a livello politico e culturale, dell’autenticità stessa, cioè al nazionalismo. Mentre ero in Bolivia, poco prima di recarmi in Africa, ho letto in una lettera di Debray, il rivoluzionario francese prigioniero a Camiri, le seguenti considerazio ni: « La nazione è l’essenza di questi tempi e non si deve credere una sola parola di qualsiasi socialismo che non contenga anche del nazionalismo… non ci sarà mai un’au tentica nazione su questo continente senza un socialismo ri voluzionario, proprio come non ci sarà mai un socialismo senza un nazionalismo rivolu zionario ». * Il fenomeno al quale allu de Debray è noto ormai da quasi due secoli, cioè dai tem pi della rivoluzione francese che ne segnò l’inizio. E’ il connubio esplosivo del sentimento nazionale con l’ideologia universalistica del momento. Nell’Ottocento il connubio era tra sentimento nazionale e ideologia liberale; oggi è o dovrebbe essere il connubio tra sentimento nazionale e ideologia socialista. Debray parla dell’America Latina ma il suo ragionamento potrebbe anche valere per l’Africa. Dopo tutto la storia dell’Africa non è tanto diversa da quella dell’America Latina. Ambedue i continenti sono aree di depressione e di sottosviluppo. Ambedue hanno vissuto la esperienza del colonialismo e della liberazione (vera o fin ta) dal colonialismo. Ho det to che il ragionamento di De bray potrebbe valere anche per l’Africa; ma in realtà ci sono forti probabilità che in vece non valga. Perché questo? Perché il nazionalismo, dovunque si sviluppi in simbiosi, come abbia mo detto, con l’ideologia uni versalistica del momento, af fonda le sue radici nel terre no della storia. All’origine del nazionalismo socialista, per esempio, dei paesi arabi o del paesi dell’est asiatico, c’è la storia del popolo arabo, del popolo cinese, del popolo giapponese, del popolo vietna mita. A rigore, anche nell’America Latina, all’origine del nazionalismo auspicato da Debray c’è la storia di quattro secoli di cultura spagnola trapiantata nel nuovo mondo. Ma in Africa, la cultura tribale che ha preceduto il colonialismo non ha connotati veramente storici: piuttosto che nella storia siamo ancora nella preistoria. D’altra parte il nazionalismo africano non può contare sul trapianto in Africa dell’intero organismo di una cultura europea, come in America Latina. Il colonialismo in Africa intanto dura tre secoli di meno di quello latino americano e poi non è un colonialismo di ripopolamento, ma di mero sfruttamento. Si andava in America Latina per restarci; si andava in Africa per arricchirsi e poi tornare in patria. Insomma anche il colonialismo non fa storia in Africa, è soltanto un capitolo della storia europea. Ma allora, in mancanza di una storia purchessia, da dove dovrebbe domani prendere le mosse il nazionalismo africano? * Ora il paradosso è che, pur non essendovi il terreno adat to per il nazionalismo, l’Africa Nera per così dire è tenu ta a inventarsene uno, in quanto vi sono le nazioni. Si prenda per esempio l’Africa Occidentale Francese. La vicenda non proprio « storica » di quest’immenso territorio è molto semplice. Prima dell’in tervento francese c’era sol tanto tutta la parte più pia neggiante, più bassa e più ari da del continente africano. Una « situazione » dunque per niente storica ma naturale, il cui carattere era determinato dall’alternarsi delle tre grandi fasce climatiche che sbarrano l’Africa da ovest a est, dall’Atlantico al Mar Rosso: il deserto, la savana e la foresta. Le tribù che a migliaia, con migliaia di dialetti, di re ligioni, usi e costumi, popola vano questo territorio stermi nato quanto uniforme, costi tuivano, a ben guardare, con il loro numero e la loro varie tà l’altra faccia contraddittoria della semplicità e mono tonia naturali. In altri termi ni c’erano l’anarchia tribale in quanto c’era l’unità geo grafica. Poi è venuta la Francia e questo stato di cose, diciamo così, preistorico è cessato; ma non per questo è cominciata veramente la storia. Il gran corpo dell’Africa è stato diste so sul tavolo anatomico dei congressi imperialisti europei ed è stato « spartito ». A cia scuna delle nazioni europee è toccato, secondo criteri euro pei, un pezzo d’Africa. Anche la Francia ha fatto a pezzi il suo pezzo, l’Africa Occiden tale Francese, e ha chiamato i pezzi colonie. La colonia del Senegal, della Guinea France se, della Costa d’Avorio, del Dahomey, del Sudan France se, dell’Alto Volta, della Mau ritania, del Niger. Otto pezzi, cioè otto colonie. Era il 1895. Il periodo del le colonie, cioè degli otto pez zi d’Africa, che non significa vano nulla per gli africani ancora legati alla cultura tri bale e all’economia del deser to della savana e della fore sta, e invece avevano un sen so molto preciso per i colonia listi, è durato appena settanta anni. Intorno al 1960 o giù di lì, l’Africa Occidentale Fran cese si è resa « indipendente » e le « colonie », tutto ad un tratto, sono diventate « nazio ni ». La nazione del Mali, la nazione del Senegal, la nazio ne della Mauritania, la nazio ne della Costa d’Avorio, la nazione dell’Alto Volta, la na zione della Guinea, la nazio ne del Niger. Ma all’origine delle nazioni c’era e c’è tut tora, incontestabile e insoppri mibile realtà, l’immenso ter ritorio così semplice (deserto, savana e foresta) l’insieme co sì complicato (le migliaia di tribù) che esisteva prima del l’incursione colonialista. Così, per un paradosso tipicamen te africano, l’indipendenza e la trasformazione delle colo nie in nazioni hanno portato, per difetto di radici storiche, alla creazione di un naziona lismo che è tale soltanto di nome ma non di fatto. Il na zionalismo del personale am ministrativo africano che dap pertutto ha soppiantato il per sonale amministrativo euro peo, senza però toccare (con l’eccezione della Guinea di Sekou Touré), gli interessi eu ropei anzi diventandone ille gittimo rappresentante. Di qui diverse conseguenze. Tra le tante, la metamorfosi appunto della cultura africana in fol klore turistico. * Il giorno dopo l’esibizione delle danze e delle musiche nel night-club, abbiamo fatto un giro per la città di Bamako. Abbiamo visto i quar tieri di bungalows e di villini in cui un tempo abitavano gli amministratori francesi e in cui oggi si è insediata la nuo va borghesia africana. E’ una borghesia che parla un france se perfetto, che abita in case arredate con mobili magari di tipo svedese, con tutti gli elet trodomestici necessari e, sul le pareti, le riproduzioni dei quadri dell’école de Paris. Ma questa borghesia ha le sue radici non già in Bamako, ex comptoir francese e oggi capitale burocratica; bensì nei villaggi dove si continua a vivere alla maniera tradizionale, in un’atmosfera non già nazionalista ma, per così di re, interafricana, secondo le leggi e le culture del deserto, della savana e della foresta. Dopo il giro per la città, saliamo in macchina su una collinetta, la sola nella ster minata pianura che d’ogni parte circonda Bamako. Fermia mo la macchina in una radu ra di terra rossa come il san gue e guardiamo il panora ma di Bamako. La città allo ra ci appare simile ad un ri stretto disegno bianchiccio in un immenso tappeto unifor memente verde. Qui, sulle due sponde del pigro, larghissimo e diafano Niger, gli europei hanno trapunto nella sterminata boscaglia verde della savana, l’esiguo e geometrico reti colato di strade dritte incro ciate ad angoli retti della cit tà. Ma la savana, tutt’intorno, si estende sempre eguale, in tutte le direzioni, al di là, molto al di là dei confini po litici e « nazionali » del Mali, irreale a forza di vastità e di monotonia ma forse, proprio perché così irreale, la sola co sa reale di questa parte del mondo. Al di sopra della sa vana illimitata vediamo il cie lo dell’Africa, di un pallido azzurro, anch’esso di una va stità irreale, coi suoi orizzon ti annebbiati dall’afa e le sue vaganti nuvolette bianche. L’immensità del cielo, l’immensità della savana sembra no allearsi per rendere insi gnificante e quasi invisibile la tenue macchia bianca dell’abi tato di Bamako. L’avvenire dell’Africa sta probabilmen te nel contrasto tra la gran dezza e l’uniformità della sua natura e l’artificiosità arbi traria delle nazioni che vi so no state ritagliate. Forse da questo contrasto comincerà davvero, domani, la storia dell’Africa.
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