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LETTERATURA: I MAESTRI: Eliot senza Pound

23 Febbraio 2009

di Gabriele Baldini
[dal “Corriere della Sera2, giovedì 6 febbraio 1969]
 
Il canone dei classici con ­temporanei si va accrescen ­do anche se non propria ­mente arricchendo. E’ di ieri la pubblicazione di un inedi ­to di Joyce; oggi abbiamo no ­tizia di inediti di T. S. Eliot. Il Times Literary Supplement, oltre la notizia, pub ­blica la fotografia di tre pa ­gine di codesto inedito dalle quali ci si può fare un’idea della natura del reperto. Il tutto è esibito in una mostra di carte eliotiane alla Public Library di Nuova York.
Un manoscritto, che si cre ­deva perduto, conterrebbe la prima stesura della Waste Land prima che fosse pareg ­giata e mondata per sugge ­rimento dell’amico e mèntore Ezra Pound. Inediti, insom ­ma, che non avrebbero l’im ­primatur dell’autore. Ma tant’è: anche gli scarti, anche le briciole, anche quel che per decisione meditata degli stes ­si poeti dovrebbe restar se ­greto, se siano in giuoco dei valori autentici ed eloquenti – è il caso dell’Eliot – è naturale che si tesaurizzi, se non altro per dar modo agli studiosi di ricostruire gli stemmi, le proliferazioni del ­le immagini, di indagare le vie misteriose per cui il poe ­ta raggiunse la struttura ac ­cettata.
Anche da quel poco che se ne può congetturare dai frammenti pubblicati, il caso di queste che si potrebbero chiamare « espunzioni » dal ­la Waste Land sembra a me più interessante che non quello sollevato dalla pubbli ­cazione del Giacomo Joyce; e soprattutto perché la Wa ­ste Land è un’opera centra ­le della nostra cultura, em ­blematica di tutto un modo di sentire l’esperienza uma ­na che si diffuse, anche gra ­zie a quel poema, in tutta l’intellighentzia occidentale fra le due guerre. Nel 1922, la Waste Land denunciava e insieme cantava, con quel mi ­sto di allarme e di snobismo, di apocalisse e di fumisteria che è cosi caratteristico di Eliot, il progressivo inaridi ­mento della linfa vitale della nostra civiltà. Degli splendo ­ri del passato non restava che un mesto straziante ri ­cordo nella Waste Land, in quella che, come suggerì Re ­nato Poggioli, si sarebbe do ­vuta chiamare, con l’avallo di Dante, il « paese guasto », meglio che non la « terra de ­solata », etichetta che tolse la prima e migliore traduzio ­ne italiana, quella del Praz (1932). Il titolo dipoi invalso di Terra desolata tende in ­fatti a romanticizzare il ca ­so mentre il testo ci raccon ­ta di esperienze crude e sgra ­devoli, dure scabre e non ri ­solte. Del resto, l’intitolazio ­ne al « paese guasto » non dovette venir subito all’Eliot, che poi la confessò derivata da From Rìtual to Romance dell’antropologa Jessie L. Wetson: il primo titolo era un altro, e le due sezioni di questa stesura rifiutata, che portano già i titoli definiti ­vi de La sepoltura dei morti e Una partita a scacchi s’in ­tendono come parti di una unità intitolata, invero stra ­namente, He does the police in different voices, un’espres ­sione gergale che si potrebbe intendere sia « Egli raggira » che « Egli interpreta la poli ­zia con voci diverse ».
Anziché con i versi memo ­rabili: «L’aprile è il più cru ­dele dei mesi: genera – Lillà dalla terra morta, mescola – Ricordo e desiderio », che chiaramente alludevano al ­l’inizio del prologo ai Can ­terbury Tales del Chaucer: « Quando l’aprile con le sue dolci acquate – Ha penetrato fino alla radice la siccità di marzo », Eliot aveva intona ­to il suo poema su di una coloritura dimessa e squalli ­da: una nottata di sbornie, un night club, un tamburo sfasciato, l’incursione in un bordello e persino un police-man che arresta i buontem ­poni perché sorpresi a span ­der acqua in luogo non depu ­tato. L’episodio, bisogna dire, è senza distinzione: non già per il tema – che il poema svilupperà con ben altra ric ­chezza di echi e rifrazioni nei versi sul pub e in quelli sulla dattilografa nelle sezio ­ni II e III – ma piuttosto per l’esecuzione senza mor ­dente. I versi son cancellati sul dattiloscritto con un de ­ciso frego di matita e se a guidar la mano dell’Eliot fu il Pound, certo non si può disapprovarlo. Pure, ometten ­do quel passo si viene a per ­dere una prospettiva che po ­té avere un suo significato: il protagonista della baldoria è un old Tom, un « vecchio caro Tom » e sarebbe l’uni ­co caso in cui Eliot adopera nel poema il proprio nome nella forma con cui gli si indirizzavano gli intimi. Sa ­rebbe l’unico accenno al ca ­rattere autobiografico del ­l’opera: un autore pensa sem ­pre due volte prima di met ­tere a un personaggio il pro ­prio nome. Che è il caso an ­che di Giacomo Joyce.
Minore è l’interesse della prima stesura della seconda parte, che presenta rifaci ­menti e cancellazioni, sem ­pre per il meglio. Qui alla calligrafia di Eliot si mescola con una certa invadenza quel ­la di Pound. A una nota di questi che suona: «troppo brutto, è il punto più fiacco » corrisponde la cancellatura d’un intero verso. Altrove Pound osserva che tre versi pestano un po’ troppo: con omissioni e spostamenti e im ­prestiti di parole, Eliot ren ­de il luogo meglio snodato. Ma vi sono anche insoffe ­renze di Pound che non ricevono risposta. La nota che richiama a Pound il nome del poeta romantico T. L. Beddoes a proposito del v. 118, dimostra che Pound non conosceva la fonte ultima da cui Beddoes aveva tratto la immagine, ch’era nel dram ­maturgo elisabettiano John Webster: difatto Eliot riconoscerà quest’ultimo prestito nelle note al poema.
Di gran lunga più interes ­sante è una pagina che ri ­produce un venticinque ver ­si dipoi omessi dalla IV se ­zione, Morte per acqua, che si ridurrà appena a dieci ver ­si con l’episodio di Fleba fe ­nicio. Eliot aveva pensato a qualcosa di molto più gran ­dioso. Ecco i versi in una traduzione letterale: «E così l’uomo trasse le reti e rise e pensò – Alla casa ai dolla ­ri al dolce violino – Al locale di Marion Brown alle ra ­gazze al gin. – Io non risi. – Perché una improvvisa raffi ­ca di vento – Mi abbatté. E poi si rafforzò in fortunale. – Perdette due barche da pesca. E un’altra notte – Stette a guardarci mentre filavamo, con la vela di prua uscita di bordo – verso nord. Bal ­zando sotto invisibili stelle. – E quando la vedetta non po ­teva più udire – Per il mug ­ghiare delle onde marine – La nota più aspra dei fran ­genti sulla scogliera – Sa ­peva che avevamo superato le più lontane isole del set ­tentrione. – E così nessuno disse più nulla. – Mangiam ­mo dormimmo bevemmo – Caffè caldo, montammo la guardia e nessuno osava – Guardare gli altri in viso e parlare – Nell’orrore dìi un grido senza fine – Dell’inte ­ro mondo attorno a noi. Una notte, – Mentr’ero di guardia mi parve di vedere agli al ­beri di prua – Tre donne chine in avanti con bian ­chi capelli – Ondeggianti sulla nuca che intonavano con voce più alta del vento – Un canto che stregò i miei sensi, mentr’io – Ero spaven ­tato oltre la paura, inorridi ­to oltre l’orrore. – (Nulla v’era di reale) perché pensavo: ora quando – Voglio, posso sve ­gliarmi e metter fine al so ­gno ».
Oltre quello di Coleridge si sente il fantasma di Conrad, del quale Eliot aveva ado ­perato per epigrafe alla Wa ­ste Land una citazione da Cuore di Tenebra, che poi Pound gli fece togliere. Più sotto, al momento in cui il vascello si scontra con un iceberg, ricorrono questi ver ­si: «Mio Dio, ci son sopra degli orsi – Non c’è scampo. Casa e madre. – Dov’è uno shaker per il cocktail, Ben? qui c’è gran quantità di ghiaccio tritato; – Ricordati di me. – E se qualcun Altro sa, io so che non so – Io che so solo come adesso non vi sia più alcun rumore ». E qui si sente, all’incontro, la fon ­te prediletta da Eliot: Laforgue. Ci son luoghi restati poi nel poema, che a me sem ­brano inferiori a questo. Ma anche questo non andò spre ­cato del tutto, perché Eliot ne sfruttò qualche materia ­le in Marina e nei Dry Salvages, terzo « quartetto ».
Tutti sanno, naturalmen ­te, che la Waste Land è de ­dicata a Ezra Pound defini ­to, per l’occasione in italia ­no: « il miglior fabbro ».  


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Bart