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LETTERATURA: I MAESTRI: Fantasie marine

6 Settembre 2018

di Roberto Ridolfi
[dal “Corriere della Sera”, martedì 5 agosto 1969]

Non so che ora sia: ho per ­so il conto del tempo. Me ne sto mezzo sdraiato sulla spiag ­gia del mare: un mare piatto e scialbo, una spiaggia affol ­lata, come ormai son quasi tutte. Penso di comporre una delle solite prose per i miei venticinque lettori, che nelle loro lettere mi incitano a scri ­verne di più, e insistono; e io invece ne scrivo sempre di meno: come si dice in Tosca ­na dei contadini che stanno per andarsene, faccio a lasciapodere.

Ma oggi, ecco, questa pro ­sa vorrei proprio metterla in ­sieme. E purtroppo non so cosa dire, né da che parte ri ­farmi: magari ci fosse qual ­cuno che mi desse un tema come al tempo di scuola. Se fossi a casa, troverei bene il modo di cavarmela: potrebbe essere un fermacarte, un cala ­maio, un raschino a farmi da suggeritore come tante altre volte; oppure, mosso dal ven ­to, il ramo di un albero che mi ammiccasse attraverso i vetri di una finestra.

Qui non ho neppure un vo ­cabolario, da aprire a caso per cercarvi una parola che riesca a darmi l’avvio e mi aiuti a mettere in moto la penna. L’ho già fatto, anche questo, e c’è chi ci ha trovato da ridire: non avendo capito (o forse avendolo capito fin troppo) ch’era una presa di bavero. E uno studioso del giornalismo s’è degnato di scusare benevolmente que’ miei ghirigori fantastici: «Me ­no male (egli scrisse) lo fac ­cia Ridolfì nel suo angolo prezioso… ». Meno male, dico invece io, lo faccia ancora qualcuno, chiunque sia e do ­vunque gli càpiti: ma meglio, certo, in questo « angolo pre ­zioso » della terza pagina; do ­ve ancor tanta gente cerca di che svelenarsi del veleno pro ­pinatogli dalla qualità pro ­gressiva dei tempi e quotidia ­namente assorbito attraverso le notizie che trova nelle altre pagine del giornale: tanta gen ­te che di « problemi » e di « istanze » e di « contestazio ­ni » ne ha piene le tasche. E « parta pure dal nulla, costui, da una parola pescata a caso o da una tenue idea colta a volo come un corpuscolo iri ­descente in un raggio di sole: e si abbandoni al libero gio ­co delle fantasticherie per con ­solare l’animo suo e di chi legge, questo essendo (piaccia o non piaccia ai critici e ai lettori « impegnati ») il fine delle lettere amene, come il Leopardi amava chiamarle; e continui a « ruotare nel nulla », se « nulla » paiono a qualche disgraziato poesia e fantasia.

Già, la fantasia. Ma in me oggi, di grazia, cosa mai po ­trebbe suscitarla, ubriacarla di quell’amabile « nulla », da ­vanti a questo fittume di gen ­te, a questo piattume e grigiume di mare? Più apro gli occhi e li giro intorno per cercare un’idea, e meno la trovo; allora un’idea mi viene improvvisa: quella di chiu ­derli.

*

Chiudo gli occhi, infatti, e tutto subito mi si trasforma. Davanti a me, ora, è il sel ­vaggio mare, la solitaria spiag ­gia maremmana de’ miei ver ­di anni, coi larghi e soffici materassi di alghe fragranti: dietro a me, intorno a me, non il fittume umano di dianzi, ma un fitto di ginepri, sughe ­re, lecci, lentischi, e i tomboli salmastri e le gigantesche om ­brelle dei pini. Vedo me stes ­so giovane, con le speranze e le baldanze di un tempo: tut ­to ciò che m’è piaciuto nella vita, luoghi, cose, fatti, senti ­menti, sensazioni, torna a me in un incantesimo maraviglioso; tornano ad una ad una le persone care, e tutto ha la no ­vità, la bellezza, la freschezza di allora.

Preso l’abbrivo, ormai, ba ­sta all’immaginazione un lie ­ve battito d’ali per involarmi in un solo attimo ovunque. Vinco il tempo e lo spazio: nessuna macchina inventata dall’uomo, o che l’uomo po ­trebbe ancora inventare, riu ­scirebbe a portarmi così su ­bitamente dov’io voglia.

Eccomi nei favolosi mari del Sud, da me sempre tanto agognati e mai visti se non nelle descrizioni dei libri; ma ora io li vedo come se ci fos ­si, anzi ci sono: una barriera corallina a fior d’acqua lam ­bita dalle lunghe onde ocea ­niche, brulicante di vita: cro ­stacei, madrepore, molluschi dalle mille forme e dai colori vivaci, quali iridescenti, qua ­li opalescenti. Le più di quel ­le conchiglie le riconosco; di molte potrei dire, e mental ­mente ridico, uno dopo l’al ­tro il nome latino, sforzando un poco le mie reminiscenze di malacologo smesso: ecco questa e quest’altra; no, il nome di quella non lo ricor ­do e un poco mi ci arrovello. I lussuriosi colori della fauna e della flora gareggiano coi colori del cielo, svarianti all’orizzonte dalla fiamma viva, all’arancio, all’indaco, al fre ­sco smeraldo, sull’azzurro cu ­po del mare, simile ad orien ­tal zaffiro. E in quel mare, rinfoderate le penne, un colpo di pinne basta alla fantasia per profondare e andar lungamente nei favolosi giar ­dini subacquei, tra fiori e frutti animati e animali simili a gemme: altro che gl’incanta ­ti orti di Armida!

D’improvviso emergo dal profondo, di nuovo mi libro alto nell’aria; contemplo ai miei piedi i regni della Terra, come se il Tentatore m’avesse levato lassù per offrirmeli: senza pensare che oggi sono fatti quasi tutti, non so quan ­to più felicemente, repubbli ­che. Messer Ludovico, col suo Astolfo, è stato sulla Luna quattro secoli e mezzo prima di questi nostri maravigliosi astronauti: io posso andarvi, come lui, senza astronavi; an ­zi ci sarò forse tra pochi istan ­ti, non a cercarvi il senno di Orlando, ma quello degli uo ­mini d’oggi, che dev’essere tutto quanto svaporato lassù.

Né mi bisogna più siepe, né muro, per fingermi nel pensiero spazi interminati. La fantasia è una bacchetta ma ­gica che né Merlino né Malagigi ne possedettero una al ­trettanto miracolosa. Ell’è il dono più grande che Iddio abbia dato ai mortali: il gri ­maldello dell’Infinito.

*

Riapro gli occhi: vedo la solita spiaggia, il solito mare scialbo, d’un grigio che sem ­bra sporco, e senza dubbio lo è. Alla mia destra, un donno ­ne grosso e grasso fa le paro ­le incrociate: accucciato ai suoi piedi sulla rena come un canetto, un omino piccino pic ­cino, patito, accresce le sue conoscenze ed affina il suo gusto sopra certi libri a fu ­metti. A sinistra, un’altra don ­na cicciuta e accaldata fa fa ­re i suoi bisogni a un mar ­mocchio piagnucoloso.

Ma ora posso guardarmi in ­torno senza disgusto e quasi senza fastidio. So che basterà chiudere gli occhi ancora una volta perché l’incantesimo si rinnovi, rivegga ai miei piedi tutti i regni della Terra e d’ognun d’essi torni signore. E potrò leggere, come se le avessi squadernate davanti, le pagine dei miei poeti: quelle basteranno a togliermi dalla mente, come dianzi riuscivo a togliermi dinanzi la realtà quotidiana, le pagine dozzina ­li che ho aperte sulle ginoc ­chia.

E con tutte le facoltà che mi sono venute a mancare, rose e consumate dal tempo o da me stesso dilapidate, io sarò ancora ricco nella mise ­ria, giovane nella vecchiezza, veggente nella cecità, nella in ­felicità felicissimo: purché mi rimanga, finché mi rimanga questa, sopra a tutte le altre maravigliosa della fantasia. La quale è in me sì potente, che, a un certo punto, le cose im ­maginarie mi si confondono con la realtà in tal maniera da rendermi difficile distin ­guere questa da quelle. Un modo solo di raccapezzarmi ci ho: che le cose belle han ­no ormai per me cessato da un pezzo d’essere vere, e le cose vere, purtroppo, d’essere belle.

 

 


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Bart