LETTERATURA: I MAESTRI: Fantasie marine6 Settembre 2018 di Roberto Ridolfi Non so che ora sia: ho per so il conto del tempo. Me ne sto mezzo sdraiato sulla spiag gia del mare: un mare piatto e scialbo, una spiaggia affol lata, come ormai son quasi tutte. Penso di comporre una delle solite prose per i miei venticinque lettori, che nelle loro lettere mi incitano a scri verne di più, e insistono; e io invece ne scrivo sempre di meno: come si dice in Tosca na dei contadini che stanno per andarsene, faccio a lasciapodere. Ma oggi, ecco, questa pro sa vorrei proprio metterla in sieme. E purtroppo non so cosa dire, né da che parte ri farmi: magari ci fosse qual cuno che mi desse un tema come al tempo di scuola. Se fossi a casa, troverei bene il modo di cavarmela: potrebbe essere un fermacarte, un cala maio, un raschino a farmi da suggeritore come tante altre volte; oppure, mosso dal ven to, il ramo di un albero che mi ammiccasse attraverso i vetri di una finestra. Qui non ho neppure un vo cabolario, da aprire a caso per cercarvi una parola che riesca a darmi l’avvio e mi aiuti a mettere in moto la penna. L’ho già fatto, anche questo, e c’è chi ci ha trovato da ridire: non avendo capito (o forse avendolo capito fin troppo) ch’era una presa di bavero. E uno studioso del giornalismo s’è degnato di scusare benevolmente que’ miei ghirigori fantastici: «Me no male (egli scrisse) lo fac cia Ridolfì nel suo angolo prezioso… ». Meno male, dico invece io, lo faccia ancora qualcuno, chiunque sia e do vunque gli càpiti: ma meglio, certo, in questo « angolo pre zioso » della terza pagina; do ve ancor tanta gente cerca di che svelenarsi del veleno pro pinatogli dalla qualità pro gressiva dei tempi e quotidia namente assorbito attraverso le notizie che trova nelle altre pagine del giornale: tanta gen te che di « problemi » e di « istanze » e di « contestazio ni » ne ha piene le tasche. E « parta pure dal nulla, costui, da una parola pescata a caso o da una tenue idea colta a volo come un corpuscolo iri descente in un raggio di sole: e si abbandoni al libero gio co delle fantasticherie per con solare l’animo suo e di chi legge, questo essendo (piaccia o non piaccia ai critici e ai lettori « impegnati ») il fine delle lettere amene, come il Leopardi amava chiamarle; e continui a « ruotare nel nulla », se « nulla » paiono a qualche disgraziato poesia e fantasia. Già, la fantasia. Ma in me oggi, di grazia, cosa mai po trebbe suscitarla, ubriacarla di quell’amabile « nulla », da vanti a questo fittume di gen te, a questo piattume e grigiume di mare? Più apro gli occhi e li giro intorno per cercare un’idea, e meno la trovo; allora un’idea mi viene improvvisa: quella di chiu derli. * Chiudo gli occhi, infatti, e tutto subito mi si trasforma. Davanti a me, ora, è il sel vaggio mare, la solitaria spiag gia maremmana de’ miei ver di anni, coi larghi e soffici materassi di alghe fragranti: dietro a me, intorno a me, non il fittume umano di dianzi, ma un fitto di ginepri, sughe re, lecci, lentischi, e i tomboli salmastri e le gigantesche om brelle dei pini. Vedo me stes so giovane, con le speranze e le baldanze di un tempo: tut to ciò che m’è piaciuto nella vita, luoghi, cose, fatti, senti menti, sensazioni, torna a me in un incantesimo maraviglioso; tornano ad una ad una le persone care, e tutto ha la no vità, la bellezza, la freschezza di allora. Preso l’abbrivo, ormai, ba sta all’immaginazione un lie ve battito d’ali per involarmi in un solo attimo ovunque. Vinco il tempo e lo spazio: nessuna macchina inventata dall’uomo, o che l’uomo po trebbe ancora inventare, riu scirebbe a portarmi così su bitamente dov’io voglia. Eccomi nei favolosi mari del Sud, da me sempre tanto agognati e mai visti se non nelle descrizioni dei libri; ma ora io li vedo come se ci fos si, anzi ci sono: una barriera corallina a fior d’acqua lam bita dalle lunghe onde ocea niche, brulicante di vita: cro stacei, madrepore, molluschi dalle mille forme e dai colori vivaci, quali iridescenti, qua li opalescenti. Le più di quel le conchiglie le riconosco; di molte potrei dire, e mental mente ridico, uno dopo l’al tro il nome latino, sforzando un poco le mie reminiscenze di malacologo smesso: ecco questa e quest’altra; no, il nome di quella non lo ricor do e un poco mi ci arrovello. I lussuriosi colori della fauna e della flora gareggiano coi colori del cielo, svarianti all’orizzonte dalla fiamma viva, all’arancio, all’indaco, al fre sco smeraldo, sull’azzurro cu po del mare, simile ad orien tal zaffiro. E in quel mare, rinfoderate le penne, un colpo di pinne basta alla fantasia per profondare e andar lungamente nei favolosi giar dini subacquei, tra fiori e frutti animati e animali simili a gemme: altro che gl’incanta ti orti di Armida! D’improvviso emergo dal profondo, di nuovo mi libro alto nell’aria; contemplo ai miei piedi i regni della Terra, come se il Tentatore m’avesse levato lassù per offrirmeli: senza pensare che oggi sono fatti quasi tutti, non so quan to più felicemente, repubbli che. Messer Ludovico, col suo Astolfo, è stato sulla Luna quattro secoli e mezzo prima di questi nostri maravigliosi astronauti: io posso andarvi, come lui, senza astronavi; an zi ci sarò forse tra pochi istan ti, non a cercarvi il senno di Orlando, ma quello degli uo mini d’oggi, che dev’essere tutto quanto svaporato lassù. Né mi bisogna più siepe, né muro, per fingermi nel pensiero spazi interminati. La fantasia è una bacchetta ma gica che né Merlino né Malagigi ne possedettero una al trettanto miracolosa. Ell’è il dono più grande che Iddio abbia dato ai mortali: il gri maldello dell’Infinito. * Riapro gli occhi: vedo la solita spiaggia, il solito mare scialbo, d’un grigio che sem bra sporco, e senza dubbio lo è. Alla mia destra, un donno ne grosso e grasso fa le paro le incrociate: accucciato ai suoi piedi sulla rena come un canetto, un omino piccino pic cino, patito, accresce le sue conoscenze ed affina il suo gusto sopra certi libri a fu metti. A sinistra, un’altra don na cicciuta e accaldata fa fa re i suoi bisogni a un mar mocchio piagnucoloso. Ma ora posso guardarmi in torno senza disgusto e quasi senza fastidio. So che basterà chiudere gli occhi ancora una volta perché l’incantesimo si rinnovi, rivegga ai miei piedi tutti i regni della Terra e d’ognun d’essi torni signore. E potrò leggere, come se le avessi squadernate davanti, le pagine dei miei poeti: quelle basteranno a togliermi dalla mente, come dianzi riuscivo a togliermi dinanzi la realtà quotidiana, le pagine dozzina li che ho aperte sulle ginoc chia. E con tutte le facoltà che mi sono venute a mancare, rose e consumate dal tempo o da me stesso dilapidate, io sarò ancora ricco nella mise ria, giovane nella vecchiezza, veggente nella cecità, nella in felicità felicissimo: purché mi rimanga, finché mi rimanga questa, sopra a tutte le altre maravigliosa della fantasia. La quale è in me sì potente, che, a un certo punto, le cose im maginarie mi si confondono con la realtà in tal maniera da rendermi difficile distin guere questa da quelle. Un modo solo di raccapezzarmi ci ho: che le cose belle han no ormai per me cessato da un pezzo d’essere vere, e le cose vere, purtroppo, d’essere belle.
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