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LETTERATURA: I MAESTRI: Gli oracoli di un matto anonimo

19 Settembre 2012

di Riccardo Bacchelli
[dal “Corriere della Sera”, giovedì 27 novembre 1969]

Data del timbro postale,  decifrabile una volta tanto: Verona, 29-IV-1949, ebbi una lettera anonima, che lessi, contro il mio solito, fin in fondo e per disattenzione o forse per la stranezza del te ­sto, non stracciai; e l’ho ri ­trovata per caso da un fondo di cassetta e da vent’anni di dimenticanza.

Il testo della lettera è cu ­rioso a conoscersi: « Siccome, come voi ben sapete, nel ­l’Italia democratica, della li ­bertà, della vera libertà non v’è oggi nemmeno l’ombra, e mai fummo più servi e schia ­vi di così, e Benedetto Croce, poveretto! ha predicato inva ­no, sentite un po’ a quali espedienti ricorrono oggi, ne ­cessariamente, molte perso ­ne ». Questo il proemio, e, fatta la debita parte all’invet ­tiva di polemica politica, di curioso aveva l’ironico com ­patimento per Croce e quel ­l’iniziale inciso, col voi di prammatica fascistica, il qua ­le non è chiaro se mi attri ­buisse esperienza di oppresso o complicità di oppressore politico. Seguiva l’elenco de ­gli espedienti: « Vi sono di quelli che, quando si trovano in mezzo ai campi o in qual ­che strada solitaria, dopo es ­sersi prima bene accertati che nessuno li veda o li oda, si fermano, e lì, con a soli testi ­moni il cielo e la terra, â— astuti insomma quanto pru ­denti â— sgranano il loro ro ­sario d’amore. Viva Mussoli ­ni! Viva Mussolini! Viva Mussolini! Ecc. Ecc. ».

Anche lo sbrigativo Eccete ­ra è del testo, ma insomma non occorrono rivolgimenti storici a produrre fissazioni di fissati e pazzerellerie di paz ­zoidi. Proseguiva: « Dieci, ven ­ti, cinquanta, cento volte, in ­stancabilmente, insaziabilmen ­te. E quando pare ad essi di essersi sfogati a bastanza, tor ­nano a casa con gli occhi lu ­cidi dalla commozione, e leg ­geri come si fossero levati di dosso un gran peso », imi ­tando così l’antica favola del barbiere di Re Mida; ma che non tutti i mattoidi e i matti siano in manicomio, anche si sapeva e si sa. Quello della lettera però non era il solo: « Altri ne conosco, che an ­dando a piedi o in bicicletta, ad ogni tanto si scoprono con lentezza e riverenza il capo in segno di saluto, come all’in ­contro d’un invisibile perso ­naggio ». A piedi o in bici ­cletta: la precisazione, oltre che comicamente preziosa, è sintomatica, ma: « Altri giun ­gono veramente agli estremi. Non potendo far altro, bacia ­no il dorso o la palma della propria mano, per Lui bacia ­re. Misteri imperscrutabili del cuore umano! ». Che le maiu ­scole sono del testo, non oc ­corre dirlo, ma ripetere che non tutti i pazzi e pazzerelli sono ricoverati, non basta.

Infatti, anche le pazzie han ­no propri e distinti caratteri, e in quelli particolari dell’ano ­nimo spiccava pure un talquale entusiastico, frenetico candore, che aveva insomma del commovente. Ma esplode ­va in crucciosi sarcasmi pole ­mici: « E questi omaggi stra ­ni sono diretti, orribile a dir ­si! a Lui, all’ “abborraccia ­tore”, al “genialoide”, al po ­veruomo ». E, se la memoria non m’inganna, queste deni ­gratorie qualifiche di Musso ­lini l’anonimo le aveva cavate da un tentativo d’esame storico del decennio ’35-’45, di mia allora recente fattura; e dunque il sarcasmo e lo spre ­gio toccavano a me.

Per altro: « E più la farsa democratica impazza, più la fede si tempra e avvampa l’amore »; con ciò l’esagitato anonimo dava nell’usuale di un frasario fascistico usualissimo, ma il seguito era più originale: « E’ accaduto a Mussolini quello che ai veri Grandi accade sempre: è diventato il segno della contraddizione â— come Cristo â—; oggetto d’inestinguibil odio e d’indomato amor », come Na ­poleone. E l’anonimo usciva dal generico, investendo me e Croce con sprezzante compa ­timento: « A Voi, invece, e a Benedetto Croce, non acca ­drà, siatene certi, nulla di si ­mile. Scomparirete nella indif ­ferenza e nella glacialità uni ­versale ».

Se lo diceva lui… E stavo per stringermi nelle spalle col gesto della rassegnazione, senonché l’anonimo concludeva con uno stacco inopinato: « E dire che siete entrambi due geni autentici, due astri di pri ­ma grandezza ». Se lo diceva lui… E compii il gesto. Per quanto riguardava Croce, non avevo e non ho nulla da obiet ­tare; per quanto riguardava me, non mi restava altro che ringraziare, anonimamente, l’a ­nonimo della sua asserzione, aggiungendo fra me: « Maga ­ri! ». Purtroppo, la chiusa del ­la lettera, che per eccesso di concisione ellittica riusciva er ­metica, aveva stile e sintassi e logica del tutto farnetichevoli: «Umana sorte! Più felice degli altri chi men la teme ».

Ma forse, di che non si prevale la presunzione? Ma for ­se che gli antichi non annet ­tevano significato d’oracoli ai detti dei matti e matterelli?

Vent’anni da quella lettera, quasi un quarto di secolo dalle catastrofi pubbliche e private culminate nel ’45: in tutto questo tempo, se il lettore mi stima vorrà credermi, non sono stato a pensare se io sia o non sia « genio autentico », « astro di prima grandezza », termini che una mente sana sobria non accoglie. E neanche m’è venuto fatto di temere l’« umana sorte » a cui faceva riferimento l’enfasi di profetizzante anonimo, per cui finirò nell’indifferenza della « glacialità universale ».

Insieme a Croce, già: e mi dispiace di non aver pensato a fargli leggere la lettera, che l’avrebbe fatto ridere, cosa che gli era assai grata e di cui non lasciava perdere le occasioni.

Però, ritrovar la strampalata missiva dello schizofrenico entusiasta di Mussolini, mi vien pur da riconoscere che, come non c’è saggezza senza un tanto d’insania, non c’è insania senza un tanto di ragione. E vero è, intanto che l’eloquenza dell’anonimo era eloquenza di una passione, che la sua passione aveva pure una sua eloquenza: vere e veraci in fin dei conti l’una e l’altra, e sentite, e propriamente appassionate e passionali. Non vuol dire se deliranti; non vuol dire se buffe come quando nota e distingue: « a piedi o in bicicletta »; non importa, perché proprio alla passione càpita d’esser comica e di non averne sospetto né timore. C’è però un punto sul quale l’anonimo ha senz’altro piena e schietta ragione.

Della grandezza di Croce, poi che ci appaiava un pazzo e non voglio contrariarlo, della grandezza di Croce fui e sono sicuro, ma non si tratta, in ciò che voglio dire, di grandezza; e voglio dire che quanto appartiene o aspira al pensiero puro, all’essenzialità filosofica, e che quanto appartiene o aspira alla essenzialità poetica, alla purezza lirica della fantasia, proprio in quanto puro ed essenziale non desta e non può né deve destare e accendere sentimenti del genere di quelli da cui l’anonimo ci compiangeva esclusi e faceva sfoggio per Mussolini.

*

Matto?! E che importa? Prima di tutto, su cotesto punto, escludendoci da tale ordine passionale, egli aveva ragione; poi, se il senno non avesse seguaci, discepoli, adepti, affiliati, fuorché savi senz’ombra né difetto, non avrebbe molto seguito: finalmente sopra tutto è una verità, i movimenti umani come quelli espressi dall’anonimo, in stessi e per se stessi, nella loro sostanza passionale, dritti o storti, savi o pazzi, ragionanti o deliranti, nascono e s’addicono agli uomini d’azione, quelli che occupano, dalla cima ultraterrena al fondo sub-terrestre, la lunga scala degli uomini d’attiva potenza, santi in vetta, reprobi in fondo.

Non sto a specificare e ad esemplificare, ma non c’è da dubitare che Platone abbia amato Socrate; ma le supreme parole, l’addio per sempre, il ricordo in immortalità ch’egli fa dire a Fèdone, più semplice e pacato non potrebb’essere: « uomo il migliore, il più savio, il più giusto di quanti ne conoscemmo ».

E’ che Platone, ancor più che il savio e il giusto, l’eroe, ha in mente il filosofo degli universali e della definizione. Ma certo un Alcibiade amò Socrate d’un ben diverso e tumultuario e frenetico amore, ma non perché fosse diverso Socrate, ma perché era diverso lui, Alcibiade, e da Socrate e da Platone. E d’altronde, quando i discepoli prendon passione della sua morte, si direbbe che oltre a dispiacersene, il filosofo n’abbia un che di simile a pudore offeso.

In conclusione, né in campagna né in una strada solitaria, né a piedi né in bicicleletta, a Croce e a me non saran resi gli strani omaggi che ancora fanno ridere nella prosa dell’anonimo. Figurarsi! a lui non han dato neanche il premio Nobel e io ho smesso anche di farmi proporre!

Ma non basta ridere; bisogna riconoscere che il detto dell’anonimo è vero; e farsi capaci, e semmai rassegnati, se proprio contenti l’impedisce la vanità, a riconoscere la ragione e ad accettare la necessità di cotesta verità, che riguarda Croce, grandezza sicura, e la mia, problematica, ma in sé è vera.


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