LETTERATURA: I MAESTRI: Gli usignoli assoluti30 Maggio 2017 di Carlo Laurenzi Ormai accolgo rassegnato le persecuzioni del disordine, cioè quelle che l’io nascosto, l’io vero, infligge ai miei buo ni propositi. Parlo del disor dine che regna nelle mie car te, negli oggetti, nei libri, nei medicinali, nelle cravatte, ne gli appunti; debbo proprio soggiungere che questo disor dine è il riflesso di una più sostanziale mancanza d’armo nia? O un alibi segreto della volontà, attraverso il quale evito di confessarmi vinto? La massima parte degli ap punti che smarrisco sono mnemonici; si manifestano come guizzi o folgorazioni e subito, subito scompaiono. Per un attimo ho la sensa zione di capire. Immediata mente dopo, non so più nean che che cosa, in quale domi nio, in quale direzione avessi (tanto illusoriamente) « capi to ». Giacché il mio mestiere è scrivere, la testimonianza delle folgorazioni perdute si affida tristemente alle pagine, da riempire con fatica e rim pianto. Bisognerebbe comuni care qualcosa di non caduco a chi legge; la mia « comu nicazione », attraverso la fa tica, è il rimpianto. Alcuni forse intendono la natura di questo rovello, che forse ac comuna molte persone in un limbo. Certo, bisognerebbe giunge re a una spoliazione quasi totale nell’esprimersi. Gli ag gettivi dovrebbero sparire per ché sono vani; ma essi sono vani a patto che la comuni cazione riproduca una visione senza smarrimenti. Gli agget tivi tendono a recuperare i barlumi della sostanza che stava dietro le cose e dentro i ricordi: bisogna definire per escludere il superfluo, limita re perché l’informe non ci so praffaccia, osare per tenere d’occhio un bersaglio pur chessia, magari la chiarezza accademica. Tutto ciò conta poco; può nascerne una va cua eleganza. Inutile ripetere che il bersaglio vero, il recu pero dell’assoluto, è precluso. A volte sorgono le illusioni luciferine, ma le delusioni sopravvengono presto. Darei molto perché mi fosse con sentito scrivere (o leggere) un libro completamente « sin cero ». * Non m’interessano le pro spettive o le gerarchie; forse ho sott’occhio â— lo recupero dopo molto tempo â— un li bro sincero. Ne ho visto sbia dire la copertina celeste, set tembre dopo settembre, nella vetrina di una cartoleria di paese abbacinata dal sole; è un libro paesano, stampato forse venticinque anni fa, sen za indicazioni editoriali. L’ho riletto in questi giorni. L’au tore si chiama Federico Apuz zo (suole firmarsi Apuzzo Fe derico) ed è presentato da Esposito Umberto nella prefa zione a pagina cinque con una frase misteriosa: « Seb bene artefice del legno, trae da questo il suo vivo giorna liero ». Aggiunge l’Esposito che l’Apuzzo è « cantore rinoma to, la cui voce fu già affi data ai dischi fonetici. Rima tore satirico e sarcastico, sem pre sognante, sempre inna morato. Pittore dal felice e nobile tratto la cui mano fu guidata dal grande Cardile. La sua statura è normale, ro busto quanto basta. Ama por tare dei baffetti e una zazze ra che rammenta gli antichi grandi maestri ». Quest’ulti ma informazione è senz’altro esatta: una fotografia di Apuz zo Federico, riprodotta a pa gina quattro, testimonia i baf fetti e la zazzera dell’autore, illustrandoci altresì la sua consuetudine di indossare di rettamente la giacca sulla ca nottiera. Ebbene: ho potuto perfino pensare che Apuzzo Federico, pur non sottraendosi alla ti rannia della Cultura fosse in un’occasione il più libero de gli scrittori moderni, il solo che giungesse non dico a es sere spontaneo (molti pur troppo sono spontanei) ma, si badi bene, a mantenersi elementare, nel senso che le sue brame, la sua umanità, la sua essenza mi sono apparse non tradite dal Logos. E’ sta to a causa della sua descrizio ne di una sala e di una tavola pronte per un banchetto spa smodicamente agognato, po tenza dei cataloghi: « Le più belle tappezzerie e arazzi di Smirne furono im piegati per l’addobbo con can delabri di vetro di Murano ornamentali. Festoni di dama sco alle porte di comunica zione, tappeti di pelliccia e cuscini di seta sparsi per ter ra. sulle poltrone, sui sommier, sui letti. Biancherie delle più rinomate case italiane, argenterie Wellimer e ceramiche Richard Ginori. Le dispense erano stracariche delle vivande più prelibate e ricercate. Cacciagione assortita. Un intero vitello mattato espressamente. Frutti di mare e pesce. Polli, tacchini e oca in ghiacciaia. Grande assortimento di pasticceria. Torte in smisurata grandezza che a stento potevano passare per le porte. Vini del Chianti, della Rufina, della cantina di Casoli, Lambrusco, Morellino, Moscato, Lacrima Christi, Malvasia, Acandia, vini dei cavalieri di Rodi, whisky in contrasto con i vini delle Pu glie e del Piemonte. Liquori assortiti dei migliori lambic chi italiani. Accessori per la cucina in vivande e manica retti. Sei giovani cuoche belle e famose. Il maggiordomo, lindo nella sua livrea, dichia rò aperta la festa ». Ahimè. Tale festa, splendi damente annunciata, si chiu de in un modo vile: essa è offerta dalla miliardaria Olga in onore del giovane Nello Sao, tenore, invalido di guer ra e capitano per meriti di guerra (« una pallottola dum- dum gli aveva squarciato la gamba sinistra e l’arto infe riore spappolando i tessuti carnosi compreso la scar pa »), il quale Nello Sao, al lorché la miliardaria Olga gli dichiara il suo amore duran te il pranzo, fugge inorridito giacché « ama un’altra ». Ama un’altra! Egli non si cibe rà dell’intero vitello mattato espressamente, immagine de gna di Omero. Si terrà la sua fame, i suoi violini, le sue cornette, i suoi gorgheggi, la sua sciocca fidanzata: temo che Apuzzo Federico si riconosca in Nello Sao. Apuzzo Federico è intriso di letteratura come noi. Ha intitolate il suo romanzo Amor… più che milioni, soggetto cinematografico; Apuzzo Federico non è migliore di noi. * Quando si parla di libertà dell’arte si allude a un mito: in senso proprio non esiste che una schiavitù dell’arte qualunque ne sia la manifestazione. Ogni linguaggio è schematico e retorico. La regola degli astrattisti è legnosa come quella dei caravaggeschi; Brecht si è dibattuto invano, nella stessa prigione che fu di Petrarca. Ogni voce la più pura, è convenzionale, anche la voce di Saffo, anche quella di Mozart: gli usignoli assoluti cantano in gabbia; direi che questa è la sanzione di un dio. Ci si esprime attraverso strumenti grossolani: il cosiddetto mondo dello spirito consiste in un cerimoniale e in un repertorio cui diamo adesso il nome ecumenico di cultura. Non si sfugge mai alla cultura, il dominio della quale ha una perentorietà fisiologica. La condizione umana è davvero triste se consideriamo che dentro di noi, nell’anima che non dà parole, l’uomo è un dio caduco condannato al silenzio. Ciò che chiamiamo Verbo o Logos (Parola) è il segno della finitezza umana; le cose stando così, possiamo configurare Babele come la sola verità della Storia. Letto 1137 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||