Libri, leggende, informazioni sulla città di LuccaBenvenutoWelcome
 
Rivista d'arte Parliamone
La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

LETTERATURA: I MAESTRI: Gli usignoli assoluti

30 Maggio 2017

di Carlo Laurenzi
[dal “Corriere della Sera”, mercoledì 9 settembre 1970]

Ormai accolgo rassegnato le persecuzioni del disordine, cioè quelle che l’io nascosto, l’io vero, infligge ai miei buo ­ni propositi. Parlo del disor ­dine che regna nelle mie car ­te, negli oggetti, nei libri, nei medicinali, nelle cravatte, ne ­gli appunti; debbo proprio soggiungere che questo disor ­dine è il riflesso di una più sostanziale mancanza d’armo ­nia? O un alibi segreto della volontà, attraverso il quale evito di confessarmi vinto?

La massima parte degli ap ­punti che smarrisco sono mnemonici; si manifestano come guizzi o folgorazioni e subito, subito scompaiono. Per un attimo ho la sensa ­zione di capire. Immediata ­mente dopo, non so più nean ­che che cosa, in quale domi ­nio, in quale direzione avessi (tanto illusoriamente) « capi ­to ». Giacché il mio mestiere è scrivere, la testimonianza delle folgorazioni perdute si affida tristemente alle pagine, da riempire con fatica e rim ­pianto. Bisognerebbe comuni ­care qualcosa di non caduco a chi legge; la mia « comu ­nicazione », attraverso la fa ­tica, è il rimpianto. Alcuni forse intendono la natura di questo rovello, che forse ac ­comuna molte persone in un limbo.

Certo, bisognerebbe giunge ­re a una spoliazione quasi totale nell’esprimersi. Gli ag ­gettivi dovrebbero sparire per ­ché sono vani; ma essi sono vani a patto che la comuni ­cazione riproduca una visione senza smarrimenti. Gli agget ­tivi tendono a recuperare i barlumi della sostanza che stava dietro le cose e dentro i ricordi: bisogna definire per escludere il superfluo, limita ­re perché l’informe non ci so ­praffaccia, osare per tenere d’occhio un bersaglio pur ­chessia, magari la chiarezza accademica. Tutto ciò conta poco; può nascerne una va ­cua eleganza. Inutile ripetere che il bersaglio vero, il recu ­pero dell’assoluto, è precluso. A volte sorgono le illusioni luciferine, ma le delusioni sopravvengono presto. Darei molto perché mi fosse con ­sentito scrivere (o leggere) un libro completamente « sin ­cero ».

*

Non m’interessano le pro ­spettive o le gerarchie; forse ho sott’occhio â— lo recupero dopo molto tempo â— un li ­bro sincero. Ne ho visto sbia ­dire la copertina celeste, set ­tembre dopo settembre, nella vetrina di una cartoleria di paese abbacinata dal sole; è un libro paesano, stampato forse venticinque anni fa, sen ­za indicazioni editoriali. L’ho riletto in questi giorni. L’au ­tore si chiama Federico Apuz ­zo (suole firmarsi Apuzzo Fe ­derico) ed è presentato da Esposito Umberto nella prefa ­zione a pagina cinque con una frase misteriosa: « Seb ­bene artefice del legno, trae da questo il suo vivo giorna ­liero ».

Aggiunge l’Esposito che l’Apuzzo è « cantore rinoma ­to, la cui voce fu già affi ­data ai dischi fonetici. Rima ­tore satirico e sarcastico, sem ­pre sognante, sempre inna ­morato. Pittore dal felice e nobile tratto la cui mano fu guidata dal grande Cardile. La sua statura è normale, ro ­busto quanto basta. Ama por ­tare dei baffetti e una zazze ­ra che rammenta gli antichi grandi maestri ». Quest’ulti ­ma informazione è senz’altro esatta: una fotografia di Apuz ­zo Federico, riprodotta a pa ­gina quattro, testimonia i baf ­fetti e la zazzera dell’autore, illustrandoci altresì la sua consuetudine di indossare di ­rettamente la giacca sulla ca ­nottiera.

Ebbene: ho potuto perfino pensare che Apuzzo Federico, pur non sottraendosi alla ti ­rannia della Cultura fosse in un’occasione il più libero de ­gli scrittori moderni, il solo che giungesse non dico a es ­sere spontaneo (molti pur ­troppo sono spontanei) ma, si badi bene, a mantenersi elementare, nel senso che le sue brame, la sua umanità, la sua essenza mi sono apparse non tradite dal Logos. E’ sta ­to a causa della sua descrizio ­ne di una sala e di una tavola pronte per un banchetto spa ­smodicamente agognato, po ­tenza dei cataloghi:

« Le più belle tappezzerie e arazzi di Smirne furono im ­piegati per l’addobbo con can ­delabri di vetro di Murano ornamentali. Festoni di dama ­sco alle porte di comunica ­zione, tappeti di pelliccia e cuscini di seta sparsi per ter ­ra. sulle poltrone, sui sommier, sui letti. Biancherie delle più rinomate case italiane, argenterie Wellimer e ceramiche Richard Ginori. Le dispense erano stracariche delle vivande più prelibate e ricercate. Cacciagione assortita. Un intero vitello mattato espressamente. Frutti di mare e pesce. Polli, tacchini e oca in ghiacciaia. Grande assortimento di pasticceria. Torte in smisurata grandezza che a stento potevano passare per ­le porte. Vini del Chianti, della Rufina, della cantina di Casoli, Lambrusco, Morellino, Moscato, Lacrima Christi, Malvasia, Acandia, vini dei cavalieri di Rodi, whisky in contrasto con i vini delle Pu ­glie e del Piemonte. Liquori assortiti dei migliori lambic ­chi italiani. Accessori per la cucina in vivande e manica ­retti. Sei giovani cuoche belle e famose. Il maggiordomo, lindo nella sua livrea, dichia ­rò aperta la festa ».

Ahimè. Tale festa, splendi ­damente annunciata, si chiu ­de in un modo vile: essa è offerta dalla miliardaria Olga in onore del giovane Nello Sao, tenore, invalido di guer ­ra e capitano per meriti di guerra (« una pallottola dum- dum gli aveva squarciato la gamba sinistra e l’arto infe ­riore spappolando i tessuti carnosi compreso la scar ­pa »), il quale Nello Sao, al ­lorché la miliardaria Olga gli dichiara il suo amore duran ­te il pranzo, fugge inorridito giacché « ama un’altra ». Ama un’altra! Egli non si cibe ­rà dell’intero vitello mattato espressamente, immagine de ­gna di Omero. Si terrà la sua fame, i suoi violini, le sue cornette, i suoi gorgheggi, la sua sciocca fidanzata: temo che Apuzzo Federico si riconosca in Nello Sao. Apuzzo Federico è intriso di letteratura come noi. Ha intitolate il suo romanzo Amor… più che milioni, soggetto cinematografico; Apuzzo Federico non è migliore di noi.

*

Quando si parla di libertà dell’arte si allude a un mito: in senso proprio non esiste che una schiavitù dell’arte qualunque ne sia la manifestazione. Ogni linguaggio è schematico e retorico. La regola degli astrattisti è legnosa come quella dei caravaggeschi; Brecht si è dibattuto invano, nella stessa prigione che fu di Petrarca. Ogni voce la più pura, è convenzionale, anche la voce di Saffo, anche quella di Mozart: gli usignoli assoluti cantano in gabbia; direi che questa è la sanzione di un dio.

Ci si esprime attraverso strumenti grossolani: il cosiddetto mondo dello spirito consiste in un cerimoniale e in un repertorio cui diamo adesso il nome ecumenico di cultura. Non si sfugge mai alla cultura, il dominio della quale ha una perentorietà fisiologica. La condizione umana è davvero triste se consideriamo che dentro di noi, nell’anima che non dà parole, l’uomo è un dio caduco condannato al silenzio. Ciò che chiamiamo Verbo o Logos (Parola) è il segno della finitezza umana; le cose stando così, possiamo configurare Babele come la sola verità della Storia.


Letto 1137 volte.


Nessun commento

No comments yet.

RSS feed for comments on this post.

Sorry, the comment form is closed at this time.

A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart