LETTERATURA: I MAESTRI: I guastatori dell’italiano28 Novembre 2017 di Paolo Monelli Nei giorni scorsi, che si è parlato tanto dello scandalo delle bische non ci fu gior nale che non dicesse « il rac ket delle bische ». Possibile che non sia venuto in mente ad alcuno che « camorra » ren de alla perfezione racket con l’analoga evoluzione che il vocabolo inglese ha avuto in America? Racket significa prima di tutto disturbo chiasso, trambusto, baraonda; poi come parola di gergo ha as sunto il senso di imbroglio, affare disonesto, associazione di persone a far male. Il Di zionario Enciclopedico Italia no, dopo aver dato di camor ra la definizione originale, « associazione di delinquenti napoletani con leggi obblighi e doveri particolari », etc, aggiunge che in senso estensivo significa anche «lega di persone disoneste in genere per ottenere illecitamente favori o guadagni ingiusti, e l’insieme delle loro arti e delle loro azioni ». Nelle cronache del giro d’Italia, a proposito di uno scontro tra cittadini di mostranti e i corridori, ho let to che « gli unici oggetti con tundenti apparsi nella mischia sono stati i gonfleurs, le pom pe delle biciclette che alcuni corridori hanno usato per far si largo ». Se ci fosse un me todo nel guasto della lingua questa potrebbe essere una machiavellica, di far prece dere ad una comune parola italiana quella straniera che finirà con lo scalzarla. Altro fenomeno. Vocaboli nostri che si ritrovano in altri idiomi, perché presi dal latino o da una lingua neolati na, e che hanno assunto un significato particolare, torna no da noi con quel diverso significato snaturandosi del tutto. Questo avviene special mente con l’inglese. E’ noto il caso di education, che lassù vuol dire « istruzione », e, or mai, anche da noi (« Sir An thony Eden è stato educato a Eton »). Si legge sui giornali di « polluzione » delle acque, madornale scambio per « inquinamento »; polluzione è tutt’altra cosa. Ecco « licen za » usata nel senso di brevet to, che ha l’inglese licence; ed apparent, che significa in in glese « evidente », tradotto come « apparente ». * Questo malvezzo è più dif fuso di quanto non si creda. Poiché in America i candidati ad una carica non concorro no ma run (corrono) ecco i nostri giornali scrivere che « sono in quattro a correre per il partito democratico ». L’errore iniziale di un corrispondente degli Stati Uniti, che rese convention (congresso) con « convenzione », errore non corretto subito in redazione, fa sì che ormai da parecchi anni parliamo sempre di con venzioni quando si tratta di congressi che si fanno in Ame rica; non solo quelli da cui escono i candidati alla presidenza della confederazione ma anche i congressi dei filologi, dei venditori di gelati, dei fab bricanti di biciclette o di spa ghetti; uno legge sul giornale « convenzione » ed è indotto a credere che tutte queste ca tegorie stringano fra loro rapporti diplomatici. * Mi auguro che non abbia diffusione lo svarione del tra duttore di un libro america no sulla questione delle raz ze che ha reso viability, che vuol dire « vitalità, adattamen to a certe condizioni di vita » con « viabilità ». Invece suscita incertezza e confusione in molti la sciatta traduzione da parte di taluni di billion (che in America significa mi liardo) con « bilione », che da noi come in Inghilterra corrisponde a mille miliardi Se lasciamo le parole eso tiche, e passiamo alla lingua della politica, di un giornali smo abborracciato, delle pro se tecniche, anche della prosa di alcuni novellieri, si va di male in peggio; sesquipedali vocaboli, arbitrarie metafore, errori di senso, periodi ac ciambellati come per mangiar si la coda, termini oscuri in telligibili solo a pochi inizia ti. Lo scorso anno detti un ricco campionario dell’elo quenza dei nostri uomini di Stato, qui mi contento di due citazioni, l’una e l’altra di eminentissimi capi partito. « Pur non avendo nessun motivo personale di contrarietà alle scelte effettuate, sono ferma mente avverso al metodo che demanda ai vertici delle cor renti scelte che debbono rap presentare la selezione effet tuata liberamente, e quindi nel merito, dalle assemblee, sia parlamentare che di partito » « Il popolarismo non è popu lismo arcaico infantile, ma un modo di delineare una moder na società democratica artico lata in se stessa, e quindi in grado di affermare senza sche matismi né assolutismi reali margini di autonomia e di se rietà espressi ai diversi livelli del conseguente articolarsi del le strutture sociali e statali ». « Piattaforma » per i nostri politici, ricalcando plate-for me dei francesi che hanno co piato dagli inglesi, è « pro gramma politico », o « princìpi su cui ci si basa per un programma di partito »; «Il problema vero è quello della saldatura fra le piattaforme espresse dalle masse in lotta e gli sbocchi politici da far maturare ». Il vocabolo ha as sunto una curiosa vitalità pro teiforme che rammenta la fa mosa « svolta » di Togliatti che « si moveva in certe dire zioni, affrontava e risolveva problemi vecchi e nuovi, era di tale ampiezza e profondità che riusciva difficile valutar ne tutte le conseguenze », etc; oggi abbiamo « piattaforme » che affermano, che tendono ad una meta, che si arram picano sugli specchi. Di que sta inclinazione a considerare un’espressione metaforica co me assoluta, dimenticandone il significato corrente, ci offrì un bellissimo esempio un gior nale di Roma il dicembre scor so, quando le varie correnti del PSI non erano d’accordo se partecipare o no al governo, col titolo: « Le cinque cor renti ferme sulle loro posi zioni ». * Alle molte parole deformi che ho elencato lo scorso an no di tale gergo che spesso esorbita dal campo politico per allargarsi a quello della tecni ca, della scuola, della filoso fia, della critica letteraria e artistica, potrei aggiungerne almeno un centinaio o due di recenti, spesso costruite inzep pando la parola originale con sillabe inutili e con desinenze che si accavallano: « autentificazione » in luogo di auten ticazione, «organizzativistico », rendicontazione » (rappor ti), « ristrutturazione » (rifa cimento) , « regimare, regimazione » (regolare il corso del le acque), « impiegatizzare », « disattendere » (un deputato sardo ha deplorato che la sua isola sia « disattesa », cioè mal conosciuta). Ancora. Mostra « presepistica »; « generazio nale », « suicidale », « giuri-sdizionalizzazione », « voluminizzabilità ». Parlando ai suoi amministrati un sindaco della Valle Padana ha deplorato la « disincentivazione » nell’indu stria: soffre di elefantiasi que sta paroletta « incentivo » che è inglese (incentive) e do vrebbe essere « stimolo, im pulso ». Il nostro Pieroni ha ricor dato in un articolo « l’elasti cità meravigliosa della lingua inglese » che potendo fare un verbo di un sostantivo o d’un aggettivo, ammette espressioni di questo genere: due coniugi litigano, dice il primo: « but, darling » (ma, tesoro) e l’al tro risponde « don’t darling me » (non mi dire tesoro). Si è ispirato a questo model lo la Piaggio col motto « Chi vespa mangia le mele, chi non vespa no » da un inesi stente verbo « vespare », mot to che non ha certamente la vivacità e la chiarezza che avrebbe in inglese. La rudi mentale costruzione di questa lingua permette sì di tali bel lissime espressioni ellittiche, ma è assolutamente incompati bile con le nostre costruzioni tradizionali che a sua volta possono creare motti efficaci a cui non si presta l’inglese; come l’aggettivo « amarevole » creato per un amaro, che ri chiama in bel modo il grade vole e l’amorevole. Un’altra ditta per un prodotto analo go ha riesumato con intelli genza un aggettivo del seco lo XIV, « amaricante », dal verbo « amaricare » usato da predicatori che descrivevano Cristo sulla croce: « Una spongia abbeverata di fiele e di aceto misto porserla alla sua santa bocca, e tutta le fu amaricata ». I paroloni si alternano con i mozziconcini di una sillaba o due, « poli » per politecni co, « frigo », « crono » per in dicare il tempo di un corrido re segnato dal cronometro, « sub » (subacqueo), e mille altri. Molto irritante è poi quel fenomeno di automati smo, proprio di certi malati di mente, i catatonici, per cui un certo prefisso serve a crea re innumerevoli vocaboli. Og gi ci ossessionano quelli com posti su « mini- » che ha tol to il posto a « micro- »; credo ce ne siano già più di duecen to e ogni giorno se ne creano di nuovi, « minilattanti, mini orto, miniminestra, minimoc colo, mininano » e ce n’è di irregolari, come « minidanza »: la minidanza di Bibi Andersson che ballando una dan za sfrenata vestita di una mini gonna ridottissima mise in vista i rosei glutei. Anche « te le- » prolifica. Non è il « te le » del telefono, o del tele obiettivo, è il moncone di te levisione, per cui si scrive te leapplausi, teleminigonna (di una attrice), telegente, teleco mico, telenoia. E l’abominevo le « porno- », pornotrasmissione, pornoamori, pornocinema, pornoparty, che non sono composti sul greco pí³rne che vuol dire « meretrice » ma su pornografia. Infine debbo menzionare la guerra sempre più spietata che si fa agli articoli e alle congiunzioni in uno stile te legrafico che non appare giu stificato da alcuna ragione. E’ comparso sui giornali di re cente un annuncio così fatto: « Occasione ettari trentacin que attraversati sottosuolo ve ne idriche ed attivato fitto pioppeto ed uliveto zona collinare vincolo forestale domi nante vallata fiume san Leo nardo et storico castello medioevale Caccamo al centro confluenza tra strade statali via rifacimento e svolgentesi a nastro sulle stesse etc. ». E’ questa la lingua dell’avvenire auspicata da alcune avanguardie, priva del congiuntivo e del condizionale, spoglia di ar ticoli e di preposizioni, sul modello « rilascio certificati », « bollatura cambiali », « lato partenze », «calcio pronostici » e quel « cimitero vittime » che Giacomo Devoto lesse sopra una targa passando in treno presso Longarone, e ne fu in dotto ad amare considerazioni sulla « totale nostra insensibi lità linguistica »? Letto 1304 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||