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LETTERATURA: I MAESTRI: I guastatori dell’italiano

28 Novembre 2017

di Paolo Monelli
[dal “Corriere della Sera”, venerdì 11 luglio 1969]

Nei giorni scorsi, che si è parlato tanto dello scandalo delle bische non ci fu gior ­nale che non dicesse « il rac ­ket delle bische ». Possibile che non sia venuto in mente ad alcuno che « camorra » ren ­de alla perfezione racket con l’analoga evoluzione che il vocabolo inglese ha avuto in America? Racket significa prima di tutto disturbo chiasso, trambusto, baraonda; poi come parola di gergo ha as ­sunto il senso di imbroglio, affare disonesto, associazione di persone a far male. Il Di ­zionario Enciclopedico Italia ­no, dopo aver dato di camor ­ra la definizione originale, « associazione di delinquenti napoletani con leggi obblighi e doveri particolari », etc, aggiunge che in senso estensivo significa anche «lega di persone disoneste in genere per ottenere illecitamente favori o guadagni ingiusti, e l’insieme delle loro arti e delle loro azioni ». Nelle cronache del giro d’Italia, a proposito di uno scontro tra cittadini di ­mostranti e i corridori, ho let ­to che « gli unici oggetti con ­tundenti apparsi nella mischia sono stati i gonfleurs, le pom ­pe delle biciclette che alcuni corridori hanno usato per far ­si largo ». Se ci fosse un me ­todo nel guasto della lingua questa potrebbe essere una machiavellica, di far prece ­dere ad una comune parola italiana quella straniera che finirà con lo scalzarla.

Altro fenomeno. Vocaboli nostri che si ritrovano in altri idiomi, perché presi dal latino o da una lingua neolati ­na, e che hanno assunto un significato particolare, torna ­no da noi con quel diverso significato snaturandosi del tutto. Questo avviene special ­mente con l’inglese. E’ noto il caso di education, che lassù vuol dire « istruzione », e, or ­mai, anche da noi (« Sir An ­thony Eden è stato educato a Eton »). Si legge sui giornali di « polluzione » delle acque, madornale scambio per « inquinamento »; polluzione è tutt’altra cosa. Ecco « licen ­za » usata nel senso di brevet ­to, che ha l’inglese licence; ed apparent, che significa in in ­glese « evidente », tradotto come « apparente ».

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Questo malvezzo è più dif ­fuso di quanto non si creda. Poiché in America i candidati ad una carica non concorro ­no ma run (corrono) ecco i nostri giornali scrivere che « sono in quattro a correre per il partito democratico ». L’errore iniziale di un corrispondente degli Stati Uniti, che rese convention (congresso) con « convenzione », errore non corretto subito in redazione, fa sì che ormai da parecchi anni parliamo sempre di con ­venzioni quando si tratta di congressi che si fanno in Ame ­rica; non solo quelli da cui escono i candidati alla presidenza della confederazione ma anche i congressi dei filologi, dei venditori di gelati, dei fab ­bricanti di biciclette o di spa ­ghetti; uno legge sul giornale « convenzione » ed è indotto a credere che tutte queste ca ­tegorie stringano fra loro rapporti diplomatici.

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Mi auguro che non abbia diffusione lo svarione del tra ­duttore di un libro america ­no sulla questione delle raz ­ze che ha reso viability, che vuol dire « vitalità, adattamen ­to a certe condizioni di vita » con « viabilità ». Invece suscita incertezza e confusione in molti la sciatta traduzione da parte di taluni di billion (che in America significa mi ­liardo)     con « bilione », che da noi come in Inghilterra corrisponde a mille miliardi Se lasciamo le parole eso ­tiche, e passiamo alla lingua della politica, di un giornali ­smo abborracciato, delle pro ­se tecniche, anche della prosa di alcuni novellieri, si va di male in peggio; sesquipedali vocaboli, arbitrarie metafore, errori di senso, periodi ac ­ciambellati come per mangiar ­si la coda, termini oscuri in ­telligibili solo a pochi inizia ­ti. Lo scorso anno detti un ricco     campionario dell’elo ­quenza dei nostri uomini di Stato, qui mi contento di due citazioni, l’una e l’altra di eminentissimi capi partito. « Pur non   avendo   nessun motivo personale di contrarietà alle scelte effettuate, sono ferma ­mente avverso al metodo che demanda ai vertici delle cor ­renti scelte che debbono rap ­presentare la selezione effet ­tuata liberamente, e quindi nel merito, dalle assemblee, sia parlamentare che di partito » « Il popolarismo non è popu ­lismo arcaico infantile, ma un modo di delineare una moder ­na società democratica artico ­lata in se stessa, e quindi in grado di affermare senza sche ­matismi né assolutismi reali margini di autonomia e di se ­rietà espressi ai diversi livelli del conseguente articolarsi del ­le strutture sociali e statali ».

« Piattaforma » per i nostri politici, ricalcando plate-for ­me dei francesi che hanno co ­piato dagli inglesi, è « pro ­gramma politico », o « princìpi su cui ci si basa per un programma di partito »; «Il problema vero è quello della saldatura fra le piattaforme espresse dalle masse in lotta e gli sbocchi politici da far maturare ». Il vocabolo ha as ­sunto una curiosa vitalità pro ­teiforme che rammenta la fa ­mosa « svolta » di Togliatti che « si moveva in certe dire ­zioni, affrontava e risolveva problemi vecchi e nuovi, era di tale ampiezza e profondità che riusciva difficile valutar ­ne tutte le conseguenze », etc; oggi abbiamo « piattaforme » che affermano, che tendono ad una meta, che si arram ­picano sugli specchi. Di que ­sta inclinazione a considerare un’espressione metaforica co ­me assoluta, dimenticandone il significato corrente, ci offrì un bellissimo esempio un gior ­nale di Roma il dicembre scor ­so, quando le varie correnti del PSI non erano d’accordo se partecipare o no al governo, col titolo: « Le cinque cor ­renti ferme sulle loro posi ­zioni ».

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Alle molte parole deformi che ho elencato lo scorso an ­no di tale gergo che spesso esorbita dal campo politico per allargarsi a quello della tecni ­ca, della scuola, della filoso ­fia, della critica letteraria e artistica, potrei aggiungerne almeno un centinaio o due di recenti, spesso costruite inzep ­pando la parola originale con sillabe inutili e con desinenze che si accavallano: « autentificazione » in luogo di auten ­ticazione, «organizzativistico », rendicontazione » (rappor ­ti), « ristrutturazione » (rifa ­cimento) , « regimare, regimazione » (regolare il corso del ­le acque), « impiegatizzare », « disattendere » (un deputato sardo ha deplorato che la sua isola sia « disattesa », cioè mal conosciuta). Ancora. Mostra « presepistica »; « generazio ­nale », « suicidale », « giuri-sdizionalizzazione », « voluminizzabilità ». Parlando ai suoi amministrati un sindaco della Valle Padana ha deplorato la « disincentivazione » nell’indu ­stria: soffre di elefantiasi que ­sta paroletta « incentivo » che è inglese (incentive) e do ­vrebbe essere « stimolo, im ­pulso ».

Il nostro Pieroni ha ricor ­dato in un articolo « l’elasti ­cità meravigliosa della lingua inglese » che potendo fare un verbo di un sostantivo o d’un aggettivo, ammette espressioni di questo genere: due coniugi litigano, dice il primo: « but, darling » (ma, tesoro) e l’al ­tro risponde « don’t darling me » (non mi dire tesoro). Si è ispirato a questo model ­lo la Piaggio col motto « Chi vespa mangia le mele, chi non vespa no » da un inesi ­stente verbo « vespare », mot ­to che non ha certamente la vivacità e la chiarezza che avrebbe in inglese. La rudi ­mentale costruzione di questa lingua permette sì di tali bel ­lissime espressioni ellittiche, ma è assolutamente incompati ­bile con le nostre costruzioni tradizionali che a sua volta possono creare motti efficaci a cui non si presta l’inglese; come l’aggettivo « amarevole » creato per un amaro, che ri ­chiama in bel modo il grade ­vole e l’amorevole. Un’altra ditta per un prodotto analo ­go ha riesumato con intelli ­genza un aggettivo del seco ­lo XIV, « amaricante », dal verbo « amaricare » usato da predicatori che descrivevano Cristo sulla croce: « Una spongia abbeverata di fiele e di aceto misto porserla alla sua santa bocca, e tutta le fu amaricata ».

I paroloni si alternano con i mozziconcini di una sillaba o due, « poli » per politecni ­co, « frigo », « crono » per in ­dicare il tempo di un corrido ­re segnato dal cronometro, « sub » (subacqueo), e mille altri. Molto irritante è poi quel fenomeno di automati ­smo, proprio di certi malati di mente, i catatonici, per cui un certo prefisso serve a crea ­re innumerevoli vocaboli. Og ­gi ci ossessionano quelli com ­posti su « mini- » che ha tol ­to il posto a « micro- »; credo ce ne siano già più di duecen ­to e ogni giorno se ne creano di nuovi, « minilattanti, mini ­orto, miniminestra, minimoc ­colo, mininano » e ce n’è di irregolari,     come     « minidanza »: la minidanza di Bibi Andersson che ballando una dan ­za sfrenata vestita di una mini ­gonna ridottissima mise in vista i rosei glutei. Anche « te ­le- » prolifica. Non è il « te ­le » del telefono, o del tele ­obiettivo, è il moncone di te ­levisione, per cui si scrive te ­leapplausi, teleminigonna (di una attrice), telegente, teleco ­mico, telenoia. E l’abominevo ­le « porno- », pornotrasmissione, pornoamori, pornocinema, pornoparty,     che     non sono composti sul greco pí³rne che vuol dire « meretrice » ma su pornografia.

Infine debbo menzionare la guerra sempre più spietata che si fa agli articoli e alle congiunzioni in uno stile te ­legrafico che non appare giu ­stificato da alcuna ragione. E’ comparso sui giornali di re ­cente un annuncio così fatto: « Occasione ettari trentacin ­que attraversati sottosuolo ve ­ne idriche ed attivato fitto pioppeto ed uliveto zona collinare vincolo forestale domi ­nante vallata fiume san Leo ­nardo et storico castello medioevale Caccamo al centro confluenza tra strade statali via rifacimento e svolgentesi a nastro sulle stesse etc. ». E’ questa la lingua dell’avvenire auspicata da alcune avanguardie, priva del congiuntivo e del condizionale, spoglia di ar ­ticoli e di preposizioni, sul modello « rilascio certificati », « bollatura cambiali », « lato partenze », «calcio pronostici » e quel « cimitero vittime » che Giacomo Devoto lesse sopra una targa passando in treno presso Longarone, e ne fu in ­dotto ad amare considerazioni sulla « totale nostra insensibi ­lità linguistica »?


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Bart