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LETTERATURA: I MAESTRI: I nuovi barbari

30 Novembre 2017

di Paolo Monelli
[dal “Corriere della Sera”, venerdì 13 febbraio 1970]

Racconta Tito Livio che l’anno 365 dalla fondazione di Roma i galli sconfissero l’esercito romano su un af ­fluente del Tevere chiamato Allia (i posteri immemori delle vicende antiche chia ­mano quel fiumicello il Fos ­so della Bettina), entrarono in Roma, l’incendiarono, la misero a sacco e cinsero d’as ­sedio la rocca capitolina; fin ­ché il dittatore Furio Camil ­lo li costrinse ad uscirne e li sconfisse in battaglia cam ­pale. Ritornati i cittadini nel ­la città devastata, nella fret ­ta di ricostruire Roma non si tracciò un piano regolato ­re, ognuno occupò l’area che più gli piaceva senza dise ­gnare prima le strade e ri ­spettare il suolo pubblico; co ­sì che la rifatta città assunse piuttosto l’aspetto di un’ac ­cozzaglia di case che d’una urbs regolarmente costruita.

Si vede da qui che i roma ­ni non sono cambiati in tan ­ti secoli; il medesimo fe ­nomeno s’è avuto dopo la seconda guerra mondiale, si indugiò vent’anni a stabilire una disciplina edilizia, gli speculatori hanno invaso ogni spazio vuoto, abbattuto nobi ­li edifici, sopraffatto con co ­late di cemento ogni ame ­nità.

Ho trovato la citazione da Tito Livio nell’Itinerario di Roma antica di Giuseppe Lu ­gli (Periodici Scientifici, Mi ­lano, 1970). L’opera è usci ­ta postuma, l’illustre archeo ­logo l’aveva appena portata a termine che la morte lo colse, il 5 dicembre ’67; ne hanno curato la stampa Ga ­briella Perina-Begni, per mol ­ti anni collaboratrice dello studioso, e Paola Ricca-Raffaelli. E’ una guida minuzio ­sa, esaurientissima, che con ­densa in 640 pagine in otta ­vo e 400 illustrazioni tutta la Roma classica dalle origini fino al tardo impero.

Dalla lettura di questo iti ­nerario, nel quale una pro ­fonda dottrina si accompagna ad una narrazione limpida, con misurata passione, ho ri ­portato soprattutto un’impres ­sione di sbalordimento. Dal tempo di Romolo a oggi Ro ­ma ha avuto sconvolgenti vi ­cende e paurose avventure. Scesero presto i suoi prischi abitanti verso il mare e oltre il fiume. Già alla fine del ­l’età regia la città si stendeva su un’area di sette chilome ­tri e mezzo di circonferenza. Era già monumentale nel se ­condo secolo a. C, con l’ar ­ditezza di piani sovrapposti, con l’applicazione dell’arco a tutto sesto preso dagli etru ­schi; fu splendida nell’età im ­periale di moli marmoree, di stadi, di terme, di règge ful ­genti di metalli preziosi, di pitture, di mosaici.

Guastata una prima volta dai galli e subito risorta, al tempo di Cesare ed Augusto le avvenne quello che le è avvenuto e le avviene tuttora nel nostro tempo, subì vaste distruzioni per far posto ad altri edifici (ma anche per creare rigogliosi parchi e am ­pie vedute, ciò che noi non facciamo); vecchi cittadini senatori e studiosi si dole ­vano di questa smania ico ­noclasta, che si fosse distrut ­to sul Celio un bosco di quer ­ce per erigervi case d’affìtto alte fino a trenta metri, che si fosse rasa al suolo la Curia Hostilia vecchia di sette se ­coli per una più sontuosa.

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Dagli inizi del secolo V co ­minciarono le spoliazioni dei barbari, dei visigoti di Ala ­rico, dei vandali di Genseri ­co, degli ostrogoti, dei sara ­ceni, dei normanni. Seguiro ­no i tempi irriverenti che le grandi moli di marmo e di travertino divennero cave da costruzione; non vi fu seco ­lo che non scomparissero a dozzine templi, case, archi, palazzi, mercati. Il secolo XVI il fòro romano era decaduto a pascolo di bovini, onde il nome Campo vaccino. Il se ­colo XVII papa Urbano VIII Barberini manomise il Pan ­theon già noto in tutto il mondo, definito da Michelan ­gelo « disegno angelico e non umano », togliendogli la tra ­vatura di bronzo che regge ­va il portico per farne arti ­glierie, e le colonne del bal ­dacchino di san Pietro. Agli inizi dello stesso secolo fu ­rono spianate le terme di Co ­stantino sul Quirinale per co ­struirvi il palazzo Rospiglio ­si. E così via, fino ai guasti degli ultimi due secoli, fino all’ultimo scempio del 1937, quando fu spazzata via la Meta Sudante ai piedi del Pa ­latino, antica fontana risalen ­te al tempo dei re, « demoli ­ta durante il fascismo â— scri ­ve il Lugli â— perché distur ­bava i grandi cortei del par ­tito ».

Ecco il motivo dello sba ­lordimento di cui ho detto. Nonostante un così lungo ro ­sario di guai e di guasti an ­cora oggi Roma, con una tu ­multuosa e affaccendata po ­polazione, sempre nella stra ­da a far ressa in automo ­bile, per protestare contro qualcuno o qualcosa, per fe ­ste popolari, è il museo più antico, più ricco, più vivo del mondo. L’Acropoli di Atene, le colonne e le mura sull’ar ­ce di Persepoli, le piramidi d’Egitto, sono veramente co ­se morte; isolate, arcane, rie ­sumate da un oscuro abisso di dozzine di secoli. A Roma il ponte che collega la riva sinistra del Tevere con l’iso ­la Tiberina, costruito il 62 a.C, è ancora intatto ed in uso; il Pantheon dedicato l’anno 27 a.C. a Venere e a Marte progenitori della fami ­glia imperiale è tuttora luo ­go di culto cristiano, dedica ­to da papa Bonifacio IV l’an ­no 609 alla Madonna e a tut ­ti i martiri.

Sorgono numerosi nel cen ­tro cittadino, vi girano attor ­no imprecando i guidatori delle automobili, vi si appic ­cicano manifesti elettorali, po ­derosi avanzi delle cosiddette mura di re Servio Tullio, che risalgono in realtà alla secon ­da metà del IV a.C. Su un percorso di 19 chilometri an ­cora sussistono le formidabi ­li mura aureliane del III se ­colo, con i rifacimenti e le aggiunte di più tardi impera ­tori, nonostante siano giudi ­cate dai moderni un impedi ­mento al traffico. (Una doz ­zina d’anni fa un gruppo di artisti e di intellettuali che s’eran fatta l’automobile da poco proposero di far piazza pulita della porta Pinciana, un arco di travertino del terzo secolo affiancato dai poderosi torrioni costruiti nel VI secolo da Belisario; resistette allora ai goti di Vitige, pende oggi su di essa la minaccia dei nuovi vandali).

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Ai monumenti che ancora s’impongono all’ammirazione del mondo, il mausoleo di Adriano, il teatro di Marcel ­lo e il portico di Ottavia che con i templi di Apollo e di Giano « rappresentano uno dei più interessanti complessi mo ­numentali della città », il Co ­losseo, la domus aurea di Ne ­rone con gli allegri affreschi del pittore Fabullus ai quali si ispirò Raffaello e altri ar ­tisti del Rinascimento, le grandi zone archeologiche del Palatino, del colle Oppio, del fòro romano, etc., etc., si af ­fiancano, sparse per tutta l’a ­rea della città antica e traboc ­canti oltre le mura aureliane, innumerevoli reliquie, nel mez ­zo delle piazze, incorporate in un edificio più o meno re ­cente, in fondo a cortili, in sotterranei di palazzi e di ca ­se dell’epoca dell’impero, del la repubblica, dei re. E quan ­do col pretesto del traffico e del progresso un monumento o l’altro è fatto scomparire, il più delle volte emergono dagli strati più profondi del sottosuolo cimeli più vetusti, statue, lapidi, mura di abita ­zioni primitive.

Quante di queste antichi ­tà così amorosamente elenca ­te nell’Itinerario sussisteran ­no fra una generazione o due? Fa sgomento il pensie ­ro, come più doviziosa sa ­rebbe la ricchezza archeolo ­gica di Roma se si fosse avu ­to nei secoli da parte dei go ­vernanti e delle classi più elette un più illuminato ri ­spetto del passato, un po’ più di buon senso, minore ossquio ai labili miti del tem ­po; per cui â— due esempi fra mille â— nel 1870 i cannoni del generale Cadorna dan ­neggiarono così gravemente l’ancora intatta porta Salaria del secolo VI che fu dovuta abbattere; e agli inizi del no ­stro secolo, appena rimesso in luce un lungo tratto perfettissimamente conservato delle mura serviane, fu subito scon ­ciato per farvi passare una strada.

Né i nostri tempi sono mi ­gliori, nonostante il maggio ­re interesse che si porta alle antichità, una più diffusa coscienza del valore incalcolabile del nostro superstite patrimonio storico-archeologi ­co, l’esistenza di enti e di uffici appositi per tutelarlo, e l’esistenza di commissioni e supercommissioni di studi e di indagini, che propongo ­no rimedi e leggi a cui il go ­verno non pone mano. For ­se andranno più cauti i gua ­statori nella Roma antica, con tanti occhi addosso; ma sembra assurdo sperare che si ponga fine una buona volta alla cieca inesorabile furia eversiva nell’Agro, che Anto ­nio Cederna ha ancora una volta denunciato in un suo recente articolo (27-XI-’69).

Quando, il gennaio del ’67, andai a vedere l’antica via Prenestina ancora meraviglio ­samente conservata nel la ­stricato di grossi selci poli ­gonali, nei suoi ponti, nei suoi sepolcri (assai più viva della via Appia perché ancora per ­corsa quotidianamente dalla gente della campagna, non so ­lo per evitare il rischio di es ­sere arrotati dalle velocissime vetture che irrompono sulla vicina strada asfaltata, ma per andare da un casolare all’al ­tro, da una fontana a un lava ­toio, da un’officina a un fie ­nile o a una casa di abita ­zione), portai meco un elen ­co compilato per cura della sezione romana di Italia No ­stra da cui appariva che una cinquantina di cimeli lungo la strada romana erano ca ­duti negli ultimi vent’anni, scomparsi per cause naturali o per incuria, o abbattuti per vandalismo o per far luogo a costruzioni abusive. Dall’ul ­timo fascicolo della rivista Ur ­banistica (nn. 54-55) appren ­do che ormai le distruzioni sullo stesso tratto hanno su ­perato il centinaio, oltre a due chilometri e mezzo del basolato antico.


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Bart