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LETTERATURA: I MAESTRI: I nuovi paradisi

3 Giugno 2017

di Carlo Laurenzi
[dal “Corriere della Sera”, martedì 10 giugno 1969]

Cosa importa che sia una favola; coloro i quali le si sono accostati sanno che nes ­sun inferno è meno incorpo ­reo e più atroce, opera minu ­ziosamente umana.

Come i Lager nazisti il ca ­stello si nasconde in Germa ­nia, nel grembo della Foresta Nera. Vi si giunge come a un « nido d’aquila », superando montagne. E introvabile, inac ­cessibile. Quando i cancelli vengono chiusi e sprangate quelle che un poeta definì le « persiane di sangue », il pon ­te sul baratro è abbattuto. Le vittime restano davvero sole, faccia a faccia con i carnefici. La finzione è datata all’epoca del gran Re Luigi, ma una prigionia di questa natura non ha tempo. Può ghermirci do ­vunque, ogni giorno: basta che siamo indotti a codificare nella fantasia la liceità della lussuria, piuttosto che a con ­tenerla. Un carcere può spec ­chiarsi in un altro carcere, o racchiuderlo. L’uomo che im ­maginò il castello di Silling, proprio allora, era chiuso nella Bastiglia.

*

L’Inferno dei teologi ha co ­me segno il disordine (l’ine ­sprimibile); questo di Silling. come del resto quello della Divina Commedia, è simme ­trico con rigore. Vigono in esso regole meticolose, tanto malvage che non è possibile non trasgredirle. I dannati sono quarantadue, molti dei quali del tutto puri, anzi vir ­tuosi: giovani donne, e anche bambine, e anche bambini, catturati con la violenza o l’astuzia. Altre vittime sono (o sembrano) consenzienti Quasi tutti â— e tutti i puri â— morranno; ma la loro pe ­na capitale non è il sacrificio dopo le molte sevizie bensì la condizione di oggetti di lus ­suria. In questo, compiacendosi di questo, l’autore della favola ferisce l’uomo.

D’altronde l’intenzione dell’autore â— perseguitato, ma ­ledetto, imprigionato â— era esattamente la vendetta, col ferire chi lo leggesse; il suo vanto di artista è di saperci ferire ancora, quasi duecento anni più tardi. Ciò non av ­viene a causa della intollera ­bile descrizione delle orge e dei riti (quanta letteratura satanica è caduta in polvere), ma perché l’autore ci mette di fronte a un’angustia perenne, il dubbio che siamo cose non uomini o che prevarichiamo su esseri umani come su cose. Il problema è sempre il pro ­blema della libertà. Dall’abuso della forza nasce l’orrore.

« Considerate la vostra situazione, considerate ciò che siete » tuona allo sbigottito harem il duca de Blangis; « pensate a quello che siamo e possano queste riflessioni farvi tremare. Siete fuori dei confini della Francia, nelle profondità di una foresta fra alte e nude montagne; i sentieri che vi hanno portato qui sono stati distrutti dopo che li avete attraversati. Siete cu ­stodite in una cittadella ine ­spugnabile; nessuno sulla ter ­ra sa che siete qui. Per quanto riguarda il mondo siete già morte, e se ancora respirate dipende dal nostro piacere, in funzione di esso soltanto. E quali sono le persone alle quali ora siete subordinate? Esseri di profonda e ricono ­sciuta criminalità, che non hanno altro dio oltre la loro lascivia, nessuna legge oltre la loro depravazione, nessun in ­teresse se non per le loro orge: incredibilmente dissolu ­ti, ai cui occhi la vita di una donna, che dico?, le vite di tutte le donne sono insi ­gnificanti quanto lo schiaccia ­re una mosca. Saranno indub ­biamente pochi gli eccessi ai quali non saremo portati. Fa ­te che nessuno di essi vi at ­terrisca. Senza batter ciglio abbandonatevi a tutto. Di fronte a qualsiasi cosa mo ­strate pazienza, sottomissione e coraggio. I nostri ordini ve li abbiamo letti, sono molto saggi e adatti per la vostra salvezza e i nostri piaceri. In breve: rabbrividite, tremate, prevenite, obbedite ». Che aggiungere? C’è, nell’allocuzione fiammeggiante e brutale di Blangis, l’eco di una minaccia che non si estingue, poiché sorge dalla nostra mi ­seria. L’uomo è anche l’uomo di Sade. Quando leggiamo Le centoventi giornate non sappiamo sottrarci all’angoscia, all’ammirazione letteraria per uno « stile sovrano », all’ese ­crazione per gli oppressori, al ­la rivolta, e alla paura. È come se un guanto di ferro ci stringesse la gola. Ma nessuno ci persuaderà che Sade, come si pretende, sia un liberatore alla guisa di Freud. Sade co ­nosceva con chiarezza che la deificazione della lussuria, per le vittime e per i carnefici, è una condanna: la schiavitù.

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La poetessa americana Lenore Kandel (esistono anche in Italia equivalenti in forma ­to ridotto di costei) è autrice di Love Book, un volume di versi che ha provocato l’arre ­sto di librai a San Francisco e a Los Angeles, sotto l’accusa di aver messo in vendita ma ­teriale osceno. Da anni la censura è comprensiva in America: di rado si arriva a tanta severità, ma Miss Kan ­del non è, come direbbero i francesi, una che abbia freddo agli occhi. I suoi versi non sono alati e non indulgono alle perifrasi. Love Book è un libro pornografico, secondo una certa moda. Tutto qui.

O peggio. Se Miss Kandel propugna la liceità della lus ­suria e la deificazione dell’ero ­tismo, asserisce di farlo cri ­stianamente, con untuosità. « Una delle cose che debbo accettare e affrontare e propa ­gandare â— ha dichiarato Miss Kandel al foglio protestatario Los Angeles Free Press â— è insegnare agli uomini (e alle donne) che sono belli. Sono veramente convinta che se si accettano la propria e l’altrui bellezza e la propria e l’altrui divinità non si può nuocere ad alcuno… Una signora, fi ­glia di un pastore metodista, educata in collegi religiosi e sposata con un pastore della chiesa congregazionista, ha sentito che il mio libro era così chiaro e così religiosa ­mente bello che lo ha rega ­lato per Natale a molte sue amiche ».

Traggo queste parole, in traduzione italiana, dall’anto ­logia Le voci degli hippies, pubblicata presso l’editore che fu e rimane l’editore di Croce. Il discorso di Lenore Kandel non mi convince; la feroce perorazione di Blangis mi sembra non solo stilistica ­mente ma moralmente prefe ­ribile. I pornografi di oggi in tutte le arti credono nel para ­diso, e il loro paradiso ha un sapore che somiglia a quel ­lo della marmellata di coto ­gne, casareccia, spalmata sul gorgonzola.


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Bart