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LETTERATURA: I MAESTRI: I segreti di Mallarmé

6 Dicembre 2012

di Mario Bonfantini
[dal “Corriere della Sera”, domenica 9 agosto 1970]

Utile richiamo alla grande lezione poetica di Mal ­larmé, cui è legata tanta par ­te, la più viva, della poesia moderna, è giunto un denso libro di Francesco Piselli, Mallarmé e l’Estetica (Mur ­sia, pp.299, L. 3.500). Ed è titolo veramente improprio, perché per Mallarmé si trat ­tò anzitutto di « poetica », in quanto le sue idee sulla poe ­sia nacquero dal « fare », ma ancor più per il fatto che in lui Estetica o Poetica che fosse coincisero perfettamen ­te con la Filosofia: una sua filosofia espressa a più ri ­prese, in modi sommari e talvolta oscuri per la stre ­nua brevità delle formule, ma a badar bene estrema ­mente precisi e perentori.

Già per Baudelaire (si pen ­si al famoso sonetto « Correspondances ») l’ufficio ve ­ro della poesia era in una ricerca di carattere, in fon ­do, conoscitivo, cioè filosofi ­co: condurre alla ragione in ­tima delle cose attraverso la interpretazione dei « simboli » che la natura ci offre. Ora per il Mallarmé, sulle sue orme e su quelle del Poe, le parole, progressiva ­mente liberate dal loro si ­gnificato meccanicamente volgare cui le ha ridotte l’u ­so (egli diceva sprezzante ­mente, « les mots de la tri ­bù »), rinverginate dal fuoco dell’ispirazione, debbono per ­metterci di arrivare a coglie ­re, sotto il gioco delle par ­venze che il poeta ha saputo approfondire, addirittura il « significato ideale » dell’uni ­verso. Senonché questo ap ­profondimento, questa « ri ­cerca dell’assoluto » (per dir ­la appunto alla Poe), ci por ­ta fatalmente al supremo in ­differenziato, al Nulla.

Tuttavia, riconosciuto che noi non siamo altro se non « vane forme della materia », questa materia fuggevole e confusa che noi siamo, con la Poesia, cioè per virtù del ­la parola, si lancia forsen ­natamente nel sogno, can ­tando l’anima e tutte le di ­vine impressioni che si so ­no accumulate in noi sin dalle prime età, e procla ­mando dinanzi al Nulla (che è la verità) queste « gloriose menzogne ». Cosi il poeta può raggiungere nell’opera una specie di eternità, di va ­lidità assoluta, con un atto di « pura creazione ». E per far questo, egli dovrà libe ­rarsi dalla tentazione di « de ­scrivere »: dare « non le co ­se », che sarebbe un ricade ­re nell’ingannevole caos del ­la materia, bensì il loro « ef ­fetto », le impressioni che es ­se suscitano nel nostro spi ­rito; ossia cercare di espri ­mere quello che comunemen ­te si stima ineffabile, valen ­dosi soprattutto (qui sta il punto) del potere evocatorio che è solitamente riconosciu ­to solo alla Musica. Donde il carattere necessariamente oscuro, o meglio difficile, della sua poesia, alla quale ben più propriamente che all’opera dell’antico poeta la ­tino si addice la famosa for ­mula oraziana Odi profanum vulgus… Cosi il nostro Die ­go Valeri, di cui sommaria ­mente riassumiamo certe lu ­minose e limpide pagine del prezioso, e oggi purtroppo introvabile, volumetto pub ­blicato dalla Editrice Livia ­na nel 1954, Il simbolismo francese . da Nerval a De Régnier; pagine nelle quali, poeta egli stesso e critico specializzato di rara finezza, il Valeri meglio di ogni altro ha saputo chiarire e definire le ragioni intime della poe ­sia di Mallarmé. Aggiungen ­do un acuto quanto persua ­sivo richiamo a quel « ni ­chilismo europeo » di cui, a partire dal Leopardi, tanti poeti dell’età romantica e postromantica hanno dato te ­stimonianza, e del quale il Nietzsche, in Volontà e Po ­tenza, « si faceva, risoluta ­mente, benché un po’ in ri ­tardo, annunciatore »; e con ­cludendo: «Chiaro, poi, che per questa china si scende lisci lisci all’esistenzialismo odierno ».

E sono tutte cose, tranne quest’ultima, che si ritrova ­no anche nel folto libro del Piselli. Ma sparse e confuse, nonostante che egli abbia vo ­luto cronologicamente segui ­re il cammino del suo auto ­re, per mancanza di un filo conduttore, cioè per non es ­sere partito da quella con ­cezione del mondo, diremmo del Cosmo, dal Mallarmé stesso più volte enunciata. Basti dire che ai rapporti su cui Mallarmé tanto insisté â— e furono il suo punto di partenza â— fra la Poesia e la Musica, è dedicato solo un avaro capitoletto, e verso la fine. E bisogna concludere che, per questo errore di metodo, il Piselli (che pure professa, ci dicono con va ­lentia, Estetica e anche Fi ­losofia della Natura) si è perduto in una selva di ana ­lisi particolari dei singoli te ­sti e persino di frasi stac ­cate, con innumerevoli rife ­rimenti a centinaia di criti ­ci della sterminata biblio ­grafia mallarmeana â— fra i quali però, non figura, ap ­punto, il Valeri, il che tut ­tavia non ha impedito al nostro critico di arrivare, sulla fine del suo lavoro, ad un capitoletto originale («Ar ­te e Società ») in cui egli mo ­stra come il Mallarmé a un certo punto fosse giunto a capovolgere addirittura la sua nota concezione di una poesia per iniziati, teorizzan ­do e profetizzando niente ­meno che una altissima «funzione sociale dell’Arte ». Senonché anche questa no ­zione, così notevole, rimane isolata fra i tanti temi del libro, la cui caratteristica ri ­sulta, in definitiva, l’incoe ­renza.

Talché, al confronto, la quasi coeva operetta di Ste ­fano Agosti, Il cigno di Mal ­larmé (Silva, Roma, pp. 115, L. 1.500), viene ad assume ­re e contrario, uno spicco esemplare. In quanto nella analisi rigorosa di un solo sonetto dell’autore dell’Après- Midi d’un Faune, il critico mette in opera, specie per superare le difficoltà del lin ­guaggio criptografico del poe ­ta, una conoscenza acuta ­mente puntuale di tutta l’o ­pera mallarmeana, additando con logica indefettibile la sempre viva presenza del pensiero unitario da cui es ­sa è via via scaturita.

Non possiamo accennare qui all’iter (e d’altronde ne ha già parlato qui il nostro Montale da par suo) per il quale l’Agosti arriva a dichiarare il « senso » di que ­sta lirica, opponendosi vitto ­riosamente alle interpretazio ­ni di tanti esegeti, a partire dal libro classico di Albert Thibaudet del 1912; e ciò con una applicazione, ma piena di tatto anche se non priva di civetteria nell’uso troppo insistito d’una no ­menclatura specialistica, del cosiddetto metodo struttura ­le. Ci limitiamo a dire che questo studio autorizza a sperare il meglio da quella « nuova lettura » di tutta l’o ­pera poetica mallarmeana cui egli da anni attende.


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Bart