LETTERATURA: I MAESTRI: Il capolavoro di Lewis Carroll20 Settembre 2010 di Alberto Arbasino Alice ritorna sempre più spes so. Quest’inverno, già due volte. L’editore Sugar ha infatti ripro posto Alice nel paese delle me raviglie con le tradizionali, mor bidissime illustrazioni di Sir John Tenniel. Bambinesche e perverse come tutte le vessa zioni perpetrate (coscientemen te o no) dall’Ottocento sadico contro i deboli indifesi: bimbi maltrattati in Dickens e De Amicis, soprano doloranti da Donizetti a Puccini. « Milano-libri » presenta invece un’Alice illustrata dai disegni capriccio si e dispettosi di Ralph Steadman. Perfidi e macabri come tutta la « grafica della crudel tà » nella Londra contempora nea, golosa d’irritazioni. Però nessuna figurazione riesce an cora a competere con le punte tetaniche dissimulate (volontariamente, o no?) nel gran testo. L’autore, il Rev. Charles Lutwidge Dodgson, com’è noto, era professore di matematica in un college di Oxford. Aveva tradotto i suoi due nomi di battesimo in latino; Carolus, Ludovicus. Poi li aveva ritra dotti in inglese, invertendo l’or dine; di qui lo pseudonimo Lewis Carroll. Aveva un hobby spasmodico: fotografare bam bine. Mai maschietti: li detestava. Così come rifuggiva da ogni persona adulta. Il Reverendo era misantropo, balbuziente, ti midissimo: era il primogenito di sei sorelline. Si pettinava a bandeaux come Elizabeth Barrett alla vigilia della fuga con Robert Browning, come Oscar Wilde alla vigilia del carcere. Però, ogni timidezza gli passava in compagnia delle bambine; e anche la balbuzie. Ne conosceva moltissime, ad dirittura centinaia. Le incon trava ai giardinetti, sulle spiag ge, anche in treno; e se ne faceva presentare parecchie da una vedova. Portava sempre in tasca balocchi per divertirle, tortine per la merenda, spille da balia per fermare i vestiti ni giocando nell’acqua, una for bicina per tagliare i riccioli co me ricordo. Quando compivano i quattordici anni, era inesorabile: non le voleva più vedere. Ma intorno ai dieci-dodici anni, le fotografava in tutte le po se: piccole fiammiferaie, cappuccetti rossi, pastorelle, cinesine, camerierine. Molte, an che, secondo un gusto tipica mente deamicisiano: non liete, mai ridenti, spesso piangenti, sofferenti, spaventate in cami cia da notte. Non per nulla, viene considerato il miglior ri trattista d’infanzia dell’età vit toriana: insieme al famoso ba rone von Gloeden, che fotografò in vesti di faunetti tre generazioni di bambini a Taormina. Solo un paio di mamme, ap parentemente, s’inquietarono. Si sa: i vittoriani non sentiva no mai parlare delle Lolite di Pinerolo o delle ninfette di Saluzzo, e quando vedevano Car roll con le bambine, o Whitman coi tranvieri, o Symonds coi gondolieri, generalmente ritene vano che si trattasse di ottimi signori, generosi e «molto democratici ». Ma non sarebbe neanche giusto ritenere Carroll un nefando «cattivo signore », probabilmente. Tutta la sua opera indica semmai che si tro vava tanto bene in compagnia delle bambine perché «si iden tificava » con loro. Si sentiva bambina, come loro, e parteci pava senza inibizioni a tutti i loro giochi. Solo al momento delle fotografie, ecco il vero pro blema: tenerle ferme per i 4 o 5 minuti necessari alla «posa ». Ecco dunque l’origine pratica delle fiabe. Le bambine non ne avevano mai abbastanza: specialmente le preferite, Lorina, Alice e Edith, tre sorelline, di 13, 10 e 8 anni, figlie di un Decano. Co stringevano il Reverendo trentaduenne a raccontare storie sempre diverse, illustrandole con disegni sempre nuovi. La loro mamma era scontentissi ma, e li bruciava tutti. Si ar riva così alla famosa gita sul fiume: 4 luglio 1862. Carroll, un amico, e le tre sorelline, re mano fino a una riva riparata. Dopo un buon pic-nic su un mucchio di fieno, in un « dispe rato tentativo » d’inventare qualche nuova storia per Alice, il Reverendo immagina che la bambina inseguendo un Coni glio Bianco con gli occhi rosa e un orologio nuovissimo nel taschino del gilet precipiti in una tana profondissima dove non si troveranno solo vasi di marmellata vuoti e tavoline di vetro a tre zampe e gatti che mangiano pipistrelli (o pipi strelli che mangiano gatti?). Vi si trovano già tutte le fondamenta della Poetica dell’As surdo. Le tre bambine di Oxford assistono a uno spettacolo davve ro straordinario, quel pomerig gio di luglio; e in anticipo di circa un secolo. Il programma continua a estendersi, quasi mostruosamente, lungo la ge nealogia dei dialoghi filosofici sulla natura e le trappole del linguaggio, e magari della vita umana. Basta paragonare il Té del Cappellaio Pazzo con La cantante calva di lonesco, il Campo di Croquet della Regi na di Cuori con i nonsensi e le rudezze di Pinter, la villana Cucina della Duchessa coi de solati alberghi e negozi di Billetdoux, di Dubillard, di N.F. Simpson… Come se l’eterno malinteso dell’Incomunicabilità si aprisse, ironicamente, con la Quadriglia delle Aragoste, e con la domanda stizzosa del Bruco: « Chi sei, se non sei tu? »… La lista delle affinità sorpren denti pare ormai smisurata, ca pace d’includere insieme Beckett e Tati, lo Shaw di Casa Cuorinfranto dove figlie e sorelle si presentano e litigano senza riconoscersi, e il Cechov delle Tre sorelle quando si fa voleggia che a Mosca « un mer cante ha mangiato 50 torte » oppure « hanno tirato una gran corda da un capo all’altro del la città »; e le «parabole di idee » di Brice Parain «mala to di parole »; e i messaggi di Radio-Londra durante la guer ra, tipo «La tartaruga ha sor riso due volte » (intendendo, naturalmente, tutt’altro)… Ec co perché Alice non riappare soltanto nelle riedizioni del gran libro. Elusiva e ghignan te come il Gatto dello Cheshire, si ripresenta insieme a Strindberg e a Pirandello, su tutti i palcoscenici, a riscuote re gli applausi che le sono do vuti, a ogni nuovo spettacolo « dell’Assurdo ». E specialmen te a quelli di Albee. Letto 2371 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||