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LETTERATURA: I MAESTRI: Il mondo è vasellame

24 Febbraio 2018

di Alberto Moravia
[dal “Corriere della Sera”, martedì 7 luglio 1970]

Bandiagara, luglio.

Mi affaccio tra due enormi massi, sul bordo dell’abisso. Davanti a me la scogliera si profila in lontananza, simile ad un’alta costa sospesa a pic ­co sul mare, tutta promontori e insenature, fino a perdersi, sfumata ma pur sempre im ­ponente, nelle nebbie di ca ­lore dell’orizzonte. Ma non è il mare a stendersi sotto la costa, bensì la infinita verde azzurra distesa della savana. Questa costa segna il limite al quale si fermarono i Dogoni quando, chi sa quanti secoli fa, si sparsero per il massiccio di Bandiagara, questo strano gradino di roccia che si sporge dalla savana sulla savana. I Dogoni erano certa ­mente pochi, forse qualche mi ­gliaio e la loro espansione geo ­grafica e demografica dovette essere lentissima: oggi popo ­lano tutto il massiccio e sono circa trecentomila. Resi arditi dall’inaccessibilità della regio ­ne, essi si decisero a scavare delle scalinate e dei passaggi nella scogliera e a scendere nella pianura sottostante. Ma non ebbero il coraggio di al ­lontanarsi molto dal loro ba ­stione naturale.

Se mi sporgo, posso infatti vedere un villaggio dogone giù giù, in fondo allo strapiombo; ma aggrappato al pendio sotto la costa con la sua fungaia di gialli tetti rotondi, come pau ­roso dell’immensa pianura che gli si stende davanti. Senza dubbio, questo villaggio è co ­struito secondo i princìpi del ­la cosmologia dogona. I tetti sono quadrati perché simbo ­leggiano il cielo; le basi delle capanne sono rotonde perché simboleggiano il sole. Ma visto di quassù il villaggio sembra soprattutto un semplice, pove ­ro, casuale e per niente sim ­bolico villaggio di contadini africani. Affacciato nel vuoto, guardo affascinato il villaggio, domandandomi perché i Dogoni e in genere tutti i popoli elaborano nella loro fase primitiva una spiegazione mitica del mondo. La risposta non è facile, anzi è impossibile. La spiegazione del mondo, infatti, non interessa e coin ­volge di solito coloro che l’am ­ministrano, la difendono e ori ­ginariamente l’hanno rivelata e istituzionalizzata; i sacer ­doti. gli stregoni, i saggi e così via. Gli uomini comuni, Dogoni o altri, si contentano di sapere che questa spiega ­zione c’è e sta lì pronta per quando ne abbiano bisogno; e per il resto vivono secondo i loro sensi e le loro mode ­ste preoccupazioni quotidiane. Questo vale per la cosmolo ­gia antropomorfica dei Dogo ­ni come per quella di Einstein. Ma allora perché una spiega ­zione del mondo? Evidente ­mente per motivi misteriosi, intendendo per misterioso tut ­to ciò che non è pratico e uti ­litario e che ha a che fare, in qualche modo, con l’immagi ­nazione. Sta di fatto però che le credenze distinguono e ca ­ratterizzano gli uomini più di qualsiasi altra cosa, più dei ca ­ratteri razziali, o del modo di comportarsi, o delle occupa ­zioni e dei mestieri.

*

Tra queste riflessioni, mi volto e vedo che mentre mi stavo affacciando sul precipi ­zio, sbucati da non so dove, sono accorsi una quantità di ragazzi i quali, adesso, mi at ­torniano guardandomi in un silenzio stupefatto. Li guardo a mia volta e allora mi torna la strana sensazione che ho provato poco fa osservando il villaggio ai piedi della costa: sono Dogoni, cioè apparten ­gono ad un gruppo umano particolarissimo; e tuttavia, visti così, in cerchio davanti a me, sembrano nient’altro che ragazzi africani qualsiasi. Anzi poiché il colore della pelle e i tratti fisici dopo un poco che si viaggi in Africa, scompaiono e diventano « in ­visibili », sono ragazzi come ce ne sono in tutto il mondo.

Tutt’al più dalle pance gonfie nel mezzo delle quali l’ombe ­lico sporge come un tumore, si può pensare che sono ragaz ­zi poveri, denutriti. Eppure io so di certo che non è così.

Questi ragazzi tanto simili ad altri ragazzi credono per esempio che un dio unico, il dio Amma, ha creato il mondo nello stesso modo con cui il vasaio crea i suoi cocci. Secondo la cosmologia dogona, infatti, il cosmo non è che vasellame, cominciando dal sole e dalla luna che sono due con ­coni l’uno di rame rosso e l’altro di rame bianco. Altresì questi ragazzi che sembrano tanto simili ai loro coetanei del resto del mondo, credono in realtà, come si può leggere nello studio definitivo di Geneviève Calarne Griaule, que ­sta cosa strana, direi strana soprattutto perché creduta in Africa: che il dio Amma, va ­saio del cosmo, ha fecondato, con la Parola, la Terra. Dal connubio, assai difficile e anzi quasi mancato, sono nati due gemelli androgini, il primo dei quali rivoltato con il padre al punto da congiungersi a sua volta, incestuosamente, con la propria madre, la Terra; il se ­condo, invece, favorevole al padre divino e riparatore, col sacrificio della propria vita, dei mali provocati dal fratel ­lo. Ucciso e poi risuscitato, il gemello, diciamo così, posi ­tivo ha creato gli uomini, gli animali, le piante. Il gemello, diciamo così, negativo, invece, è stato per punizione cambia ­to in volpe e condannato a menare un’esistenza errante e miserabile.

Insomma questi ragazzi dall’aria così innocente e naturale credono (o per lo meno fanno parte di una società che ci crede) in un mito della creazione del mondo che ha molti singolari punti di rasso ­miglianza con i miti della Gre ­cia e dell’Oriente mediterra ­neo. Particolarmente curiosa ci sembra l’idea che la creazione del mondo, a tutta prima, sia stata un fiasco (il peccato ori ­ginale?); che due gemelli (Cai ­no e Abele) siano all’origine, l’uno del male e l’altro del bene del mondo; che uno dei gemelli sia stato ucciso e poi sia risuscitato e abbia salvato gli uomini, morendo per loro (Gesù?); e che il gemello cat ­tivo, in seguito trasformato in volpe, si sia rivoltato contro il proprio padre e abbia commes ­so incesto con la propria ma ­dre (Edipo?).

Semmai, a questo punto, bi ­sognerebbe domandarsi perché i Dogoni pur arrivando a formulare miti così « umanisti », siano poi restati fermi ai miti medesimi, mentre altrove si è verificato il passaggio dal mito alla scienza cioè dal pensiero simbolico al pensiero propriamente scientifico. Con questo non si vuole suggerire una su ­periorità degli Europei sui Do ­goni e neppure, come molti sono tentati di fare, il contra ­rio. Ma solo fare una doman ­da forse non del tutto oziosa.

*

A ben guardare mi sembra di potere indicare come moti ­vo la differenza sostanziale che passa tra la cosmologia dei Dogoni e quelle analoghe della nostra antichità. La cosmologia dei Dogoni è molto più realistica, anzi naturalistica di qualsiasi nostra cosmologia.

L’idea che il dio Amma fosse un vasaio e che il cosmo di conseguenza è vasellame non pare poter condurre al con ­cetto del mondo come sistema o ordine scientificamente spie ­gabile, definibile e misurabile. Tra il dio Amma e Giove oppure Brahma oppure il Dio della Genesi, c’è la stessa differenza che passa tra un arti ­giano che fabbrica le cose con le mani, alla buona, secondo empiriche necessità, e il genio che fa sorgere dal nulla o, se si preferisce, dal caos un mondo autonomo secondo una complessa e riflessa volontà creatrice. Frutto di un’osservazione attenta dell’umile realtà, e non di una riflessione me ­tafisica, il dio Amma è troppo concreto e insieme troppo biz ­zarro per rimandare ad altro che al modesto modello umano che l’ha ispirato.

A riprova, si veda come la Parola, presso i Dogoni, è tanto meno astratta, tanto più fisica del Verbo occidentale. Per i Dogoni non esiste un pensiero propriamente detto.

Il pensiero consiste di « paro ­le che stanno nel fegato » os ­sia di « vapori »; e infatti la « parola interiore » (cioè il pensiero) sarebbe costituita di acqua, aria, terra e fuoco; a loro volta questi quattro ele ­menti si fonderebbero in una proiezione sonora della perso ­nalità, ossia in suono. D’altra parte, analogamente al dio Amma che è un vasaio, l’uomo che parla è un tessitore. Par ­lare infatti è sinonimo di tes ­sere nel linguaggio antropo ­morfico dei Dogoni. La bocca è un telaio; i denti, la lingua, il palato, la gola sono parti del telaio; il discorso che esce do ­po che il telaio ossia la bocca ha fatto il suo lavoro, è un tes ­suto. Forse, quando adoperia ­mo il luogo comune: « un tes ­suto di menzogne », senza sa ­perlo non parliamo in italiano ma in dogone. Comunque è chiaro che una concezione così fisiologica e fisica della parola può condurre difficilmente al pensiero razionale e astratto.

*

Ma questa estraneità dovuta ad un diverso sviluppo del mito, è più che compensata dalla simpatia spontanea e quasi inspiegabile che gli Africani dimostrano verso gli Europei.

Certo c’è stato il colonialismo con tutti i suoi orrori; ma esso sembra cancellato, obliterato e perdonato da un’attrazione invincibile. La volontà di comunicazione degli africani appare tanto più notevole se paragonata con l’assoluta refrat ­tarietà degli Amerindi e con la cerimoniosa impassibilità degli asiatici orientali. Come ce ne torniamo a piedi verso il luogo dove abbiamo lasciato le macchine, i ragazzi non si contentano più di seguirci; ma ci danno la mano e ci parla ­no, un po’ come guide e un po’ come compagni o, come dicono loro, come « camarades ». Ci raccontano non ri ­chiesti delle loro famiglie, dei loro poderi, dei loro animali domestici, delle loro occupa ­zioni. Si informano su di noi con una curiosità sciolta e giusta, come da pari a pari.

S’intende che si aspettano alla fine della gita un piccolo compenso; ma come il solito in Africa, il tornaconto non basta a spiegare il carattere così naturale e così fiducioso dell’approccio. Guardando al ­la mano del mio piccolo com ­pagno chiusa nella mia e no ­tandone la palma rosea non posso fare a meno di pensare come altre volte, che l’Africano, un po’ come l’androgino di Platone, è la metà irrazio ­nale e primitiva dell’Europeo razionale e civilizzato. E che la vicendevole attrazione (an ­che gli Europei sono attirati dagli Africani, se si deve cre ­dere al cosidetto, ben noto « mal d’Africa ») va spiegata con la complementarità.

 


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Bart