LETTERATURA: I MAESTRI: Il noce di Positano10 Giugno 2017 di Carlo Laurenzi Anche se nulla è stato tra scurato per avvilirla (architet tonicamente, urbanisticamente eccetera), la costiera di Amal fi, con Positano, resta forse il luogo più bello che io sappia. Ma esistono la prepotenza e il disagio della bellezza. La bellezza può essere luttuosa. Incombono su Positano mon tagne spettrali, rocce bianche o verdi d’un verde elusivo, lustro come di serpe. Il cielo non è mai ampio, né dà ri poso. Questo lembo azzurro non è che lo spazio fra i pic chi e il mare: una sfera chiusa, un carcere dove infuria la lu ce. La notte è più amara, se il plenilunio vi guati. La luna sorge dal mare, immensa, e poi, attraverso le finestre spa lancate nell’afa, scruta la vo stra insonnia. Vi assorbe, que sta regolatrice delle maree: vi chiama nei giardini o sulle terrazze, vi ferma sgomenti a guardare. Vi accorgete che Positano con le sue forre ap partiene alla luna piuttosto che al sole: è un satellite del satellite violato: ha una sua minuscola dimensione astrale, non è umano, non della Ter ra. C’era solo un noce, in una notte di plenilunio, a darmi conforto con il suo fogliame così cupo da restare impene trabile al raggio: fresco albe ro, sordo albero, nostalgia del settentrione. Naturalmente può darsi che a molti tutto ciò â— questo spietato fulgore â— porti alle grezza, pace, disposizione com piaciuta a rileggere i versi di Cimitière marin trovandoli adeguati al paesaggio. Poi, non si esclude che siate gio vani o giovanili e vi attragga quella sorta di vocazione na zionale che va sotto il nome di caccia alle turiste. Se le cose stanno così, prenotate un letto a due piazze a Positano per l’estate prossima. Obbiet tivamente, resterete delusi. Pe rò, siccome vi sarà impossi bile considerarvi obbiettivi, vi reputerete soddisfatti e invi diabili, in completa buona fede. Ho studiato i conquistatori di Positano, curiosa società maschile legata dalle stesse mire e da delusioni comuni: per capirla, per apprezzarne l’omertà ho dovuto riportarmi all’aura degli anni di liceo, sebbene parecchi di quegli uo mini sospirosi abbiano supe rato la quarantina. Sono ro mantici e teatrali; non a caso vengono in buona parte da Napoli. A gruppi complotta no, si deridono, si congratu lano. E’ difficile vederli in compagnia di donne; ma i loro racconti, i quali evoca no ore segrete e notturne, at testano le avventure. La ba se (indispensabile) è la fidu cia reciproca: ciascuno si com porta come se credesse alle fortune dell’altro. Così, non si ragiona che di conquiste o di propositi di conquiste. I sospetti sorgono quando, co m’è successo a me, un tale, che avevate incontrato la sera prima ad Amalfi in compagnia della vecchia madre al seguito di una processione re ligiosa, vi comunica con aria di mistero: « Mi sarebbe pia ciuto andare ad Amalfi, ieri sera, per la festa di Sant’An drea, ma non mi è stato pos sibile. Inutile opporsi: ciò che donna vuole… ». Questo è antico come il mondo, si obbietterà. Eppure pensavo che in una certa ma niera i tempi fossero mutati, le situazioni si fossero evolu te. In particolare, continuo a credere che non tutte le turi ste straniere siano soddisfatte di una galanteria tanto effusa, vischiosa e platonica. Tutta via, fedele al principio che sia opportuno documentarsi piuttosto che intuire, presi parte, anni fa, a una « spe dizione » di cui la mattina dopo qualcuno dei protagoni sti â— dimentico del fatto che c’ero anch’io â— mi parlò co me d’un viaggio a Citera o forse come di un’orgia. In realtà fu una candida gita in barca, una « spiaggiata » in fantile. « Spiaggiata » è paro la elbana che usavo quand’ero ragazzo. L’innocenza della spedizione positanese me la restituì. Dunque. Stavamo per par tire, alcuni conquistatori napoletani e io, a bordo di una barca a motore diretti verso il largo: il bagno non è pia cevole sulla riva torrida di Positano. A un tratto ecco al tri due « leoni » (così usava no chiamarsi quell’estate) che corrono verso di noi e ci gri dano di aspettarli. Scortano cerimoniosamente una giovane inglese: l’hanno scovata in una pensioncina, le hanno propo sto il battesimo del mare. In quietudine, un’attesa mistica scendono sull’equipaggio. La ragazza è issata a bordo, co me un idolo. E’ graziosa, con il nasino diritto e due divertiti occhi azzurri. Protegge con un asciugamano le spalle; null’altro la preoccuperà, per tutta la gita, se non la cura di sottrarsi con l’ausilio di unguenti alla molestia del sole. I programmi della spedizione sono cambiati in onore dell’ospite: andremo a Nerano, spiaggia che allora si raggiungeva solo per mare, e mangeremo in una trattoria primitiva gli spaghetti con gli zucchini, vanto del luogo. Non si discute su chi debba met tersi al timone: tocca a me per designazione tacita e con corde. I leoni attorniano l’ospi te, accoccolati ai suoi piedi o appollaiati sui bordi. La fis sano con occhi teneri e malin conici. Nessuno apre bocca; la ragazza, di quando in quan do, sorride. Il silenzio, a par te qualche rara interiezione, è il nume di questa gita; le in teriezioni, in un inglese molto cauto, riguardano la maestà del paesaggio. « Il mare è bel lo ». « Le rocce sono belle ». « I colori sono meravigliosi, in Italia ». La colazione offre qualche spunto nuovo: « Come dire voi zucchini in inglese? ». Più tardi, al ritorno, mentre la barca solca con lentezza il mare color viola, un leone più concettoso degli altri intona il « Britannia rule the wares », in ossequio- all’ospite e all’an tica potenza marittima del Re gno Unito. Successivamente vengono cantate in coro me lodie napoletane. Prendiamo terra al crepuscolo. La ragaz za saluta, dopo avere annun ciato che andrà a dormire prestissimo e non scenderà a ballare. « Chi di noi avrà scelto? » leggo nel cuore di ciascun leone. Quella stessa estate, mi sem bra, andai a Palinuro. Mi at trasse un clamore, a sera: l’al toparlante imperava da una terrazza, al di là di un’inse gna sulla quale era scritto Pizzeria-Dancing. Le coppie che ballavano erano formate da ragazzi, o da bambini, con assenza di femmine. Altri giovanotti, altri uomi ni stavano poco lontano, ai tavoli di un caffè; altri anco ra sedevano sui gradini della chiesa, nell’ombra. Qualcosa, un fermento buio, ammoniva che quella siesta era senza pa ce. Avessi compreso il dia letto di Palinuro, più Calabro che campano, avrei potuto se guire quel chiacchiericcio nel l’oscurità, e quegli scoppi di grida. Mi si sarebbe chiarito il senso di un’inquietudine lan guida, indispettita e vogliosa. Gli uomini di Palinuro rimembravano le francesi. Le donne del camping, avevano arroventato il luglio di Palinuro. Erano state nude, petulanti, arroganti come di regola le francesi al mare. Non so quale fosse stato il loro comportamento con i na tivi. Certi giovani, poi, mi ri ferirono episodi pruriginosi, simili alle leggende dalle qua li fu turbata la mia infanzia su un altro mare. Mi colpì la desolazione negli occhi di co loro che venivano narrando favole amatorie. Ma disse Mat teo, un ragazzo di sedici an ni: « Tutte le volte che le francesi mi hanno invitato a ballare ho risposto di no. Le odio ». Rideva; e non seppe spiegarmi quell’odio. Letto 1148 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. 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