LETTERATURA: I MAESTRI: Il sigaro del re19 Aprile 2018 di Mosca Avete notato come l’uso del le lettere maiuscole â— le quali una volta variavano il paesaggio della pagina popo landolo di torri e di campani li â— vada così decadendo da far preveder prossima la sua completa estinzione? Sopravvive negli indirizzi. «All’Esimio Avvocato… », «All’Illustrissimo Dottor… », « Al Molto Reverendo Padre… », dove anche un modesto av verbio di quantità giunge, per contagio, a godere dell’onore della maiuscola, « A Sua Ec cellenza il Signor Ministro… », eredità tenace d’una nostra storia fatta di servitù, di pau re, di inchini, di suppliche, di rispettose e adulatorie dedi che al potente: « A Sua Al tezza Imperiale Eugenio Napoleone Di Francia, Viceré D’Italia, Arcicancelliere Di Stato Dell’Impero Francese, Principe Di Venezia, Eccete ra… », così Vincenzo Monti presentò la traduzione del l’Iliade, maiuscoleggiando, per motivi di simmetria, non solo le preposizioni semplici e ar ticolate, ma perfino l’eccetera, e non vi sembra questo un paesaggio tutto italiano, nel quale ogni parola è un paese dalle piccole case dominate da un castello, da un torrione, da una cattedrale? Pensate a una pagina tutta fatta di minuscole. Niente di più piatto, di più monotono. In Italia la varietà e la bel lezza nascono dalla paura. Paesi e città arroccati sulle cime dei monti, cinti da mura merlate, sentinelle dalle arma ture scintillanti sulle torri, chiese robuste come fortilizi, la croce del campanile simile all’impugnatura d’una spada, e freddo, fame, sete, mentre giù, nella pianura continua mente percorsa da truppe stra niere, fiumi limpidi, terre fer tili, boschi ricchi di selvaggi na, e laggiù il mare popolato di navi saracene dalle lunghe orifiamme colorate. * Ora che la paura è finita, tutto quello ch’è in alto si spopola. Le finestre contro i cui vetri fiammeggiava, una volta, il sole al tramonto, e che la sera s’accendevano ad una ad una di lumi tremo lanti, ora sono nere occhiaie vuote. Abbandonate le chie se, arrugginita la spada sul campanile, diroccate le for tezze, poche le mura ancora in piedi. Crollato il regno delle ma iuscole. I discendenti del Si gnore che, Padrone di quelle Torri e di quei Castelli, eser citava, riverito, lo Jus Primae Noctis, ora sono nei guai con la giustizia per certe note com promettenti trovate nel tac cuino d’una lolita. Il Progresso che con le sue Meraviglie scatenò gli entusiasmi dell’Ot tocento, popolò di maiuscole i romanzi di Giulio Verne e ispirò il Ballo Excelsior, ades so, dopo la bomba atomica e le camere a gas, si scrive soltanto progresso, e se, Dio ne guardi, dovesse succede re qualcos’altro di molto gra ve finirà con lo scriversi progresso. Residui di vecchi entusia smi troviamo, ogni aprile, al la Fiera di Milano, ostentante ancora i suoi ottocenteschi Viali del Lavoro, delle Indu strie, dei Commerci, delle Sco perte e delle Invenzioni, e a Tarbes, la cittadina della Gua scogna che dette i natali a D’Artagnan, laggiù, in vista dei Pirenei, le cui strade prin cipali sono intitolate alla Li bertà, all’Uguaglianza, alla Fraternità, ai Diritti dell’Uo mo, e ci sono anche, in pe riferia, verso la strada che porta a Bagnères de Bigorre, i Vicoli dell’Onestà e della Dignità. Col cadere dei sogni, sono cadute le maiuscole, le quali, da molti, non vengono più usate anche per significare che l’importanza d’un uomo o di un istituto dipendono dalla loro sostanza e non dai pen nacchi (vedi maiuscole) di cui si adornino. Se c’è ancora il Dottor Professor Tal dei Tali Primario del…, quanti bi glietti da visita non ricevete in cui non si legge che « carlo rossi » o « filippo bianchi »? Eppure sappiamo che Rossi ha tanto di laurea e che Bianchi è stato insignito di più ono rificenze, non solo, ma è an che barone. Perché tanta mo destia? Un po’ per contesta zione (« Io valgo per me stes so, non per i miei titoli »), ma soprattutto per quell’orgo glio che è tanto più forte quanto più si compiace di amman sarsi di modestia. * A questo si aggiunga un certo qual desiderio di distrug gere che ci ha presi tutti, forse per vendicare i nostri nonni e i nostri padri che passarono la vita nel rispetto e venerazione di valori sui quali non si osava discutere. Ricordo che da bambino credevo che il governo fosse un signore molto alto, vecchio, la barba, la tuba, e sempre vestito di nero, press’a poco come il Direttore della scuola descritta da Edmondo De Amicis. Quando venni a sapere che il governo era co stituito da un insieme di per sone alcune delle quali di bassa statura e vestite di chiaro, provai una grave delusione, ma non per questo cessai di chiamarlo il Governo, con tanto di maiuscola. Potevo for se fare altrimenti? Era il tem po dei Bersaglieri, dei Carabi nieri, di Sua Maestà il Re d’Italia, della Patria, dei Sa cri Confini. Naturale che an che il Governo, i Ministri, e perfino i Sottosegretari aves sero diritto alla maiuscola. Non parliamo della Giustizia. Mio padre era impiegato al Ministero di Agricoltura In dustria e Commercio (oh i via li della Fiera di Milano!) e se anche, appartenendo alla categoria C, non guadagna va più di cento lire al mese aveva dietro le spalle questa selva di torrioni che lo ren deva importante. Fu Cavaliere dell’Ordine Mauriziano. Da ragazzo, abitando in via Nomentana assisteva dal bal concino al passaggio quotidia no di Re Umberto che gui dando personalmente il pro prio phaéton andava a pren dere aria in campagna, dov’è adesso la « città giardino ». Una mattina il re buttò via la cicca d’un sigaro che mio padre â— tanto precipitosa mente discese i cinque piani di scale â— raccolse ancora accesa. La spense rispettosa mente perché non si consumasse di più, non possedendo oro le fece una base di ottone, e il Sigaro del Re di ventò il più bell’ornamento della casa. Mio padre me ne fece dono il giorno in cui en trai al ginnasio. Ce l’ho an cora. Dovete perciò scusar mi se rimpiango le maiuscole. Vengo da una famiglia vissu ta per molti anni nella vene razione d’un Sigaro. * E se veneravo un Sigaro, potevo non venerare il Governo, i Ministri, i Sottosegretari, la Scuola, il Direttore, il Preside, l’Ordine, l’Igiene, la Donna, la Poesia, la Bellezza, l’Onore? Erano tanti pilastri che mi davano una sensazione di for za, di sicurezza. Avevo tren tasei anni quando per la pri ma volta nella mia vita venni presentato a un ministro, la personificazione della qual pa rola era per me Giolitti. Nell’anticamera tremavo tutto. Mi chiedevo se avrei mai avuto il coraggio d’aprir bocca da vanti a un ministro. Cosa avrei potuto dire che non fosse sta to povero, misero, sciocco? Altra terribile delusione. Le cose povere, misere, sciocche le disse il Ministro, e quella maiuscola, ricordo, mi crollò ai piedi con lo stesso schianto che un campanile o un torrio ne corrosi dal tempo. Sì, lo so, i miti se li è por tati via il vento, nelle città e nei paesi sulle cime delle mon tagne non vi sono che i cani e la luna, la M del ministro è un mucchietto di macerie ricoperto d’erbacce, ma per me che vengo dai tempi del Sigaro, è una pena, credete, leggere palazzo di giustizia, uf fici del registro, direttore, pre side, ministro dei trasporti, esercito, quarto corpo d’arma ta, procuratore della repubbli ca, e, soprattutto, non più Sta to ma stato. Sembra che tutto quell’in sieme di genti, di terre, di isti tuti, di leggi, di tradizioni, di memorie, di glorie, di sventure, nel quale a ogni uomo è dato di esaltare fino alla maiuscola la propria Dignità imperso nando la sovranità di tutto un popolo, si sia ridotto a nient’altro che a un participio passato.
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