LETTERATURA: I MAESTRI: Jaun Carlos Onetti: L’asceta del peccato23 Settembre 2017 di Mario Luzi Il nostro taccuino di appun ti latino-americani si in fittisce rapidamente di nomi nuovi o che arrivano in Ita lia per la prima volta. Forse l’ho già scritto, ma è bene ribattere che non si tratta di un fuoco d’artificio editoria le: la letteratura del conti nente si trova davvero in un periodo di manifesto rigoglio. Non tento neppure di spie garne il perché, sapendo quanto il rapporto di causa ed effetto sia aleatorio se applicato a questo argomen to. E’ vero che il forte di al cuni tipi di critica â— non più soltanto dello storicismo â— è appunto di fornire quel le spiegazioni; ma il fenome no ricorrente delle stagioni creative rimane, tutto som mato, inesplicabile e peren torio. Mi limito così ad os servare che la letteratura la tino-americana usufruisce di una condizione unica (non in tutto invidiabile, certo, ma indubbiamente vitale) deter minata soprattutto dal coesi stere di questi fattori: l’a prirsi e l’insorgere della co scienza alla tragedia sociale e politica del continente, la scoperta simultanea della realtà e del mito autoctoni, il trapianto vigoroso di tecni che artistiche europee e nor damericane. Per ultimo il più prezioso: l’integrità non cor rosa dei sentimenti dell’uo mo. Non mancano come si ve de alimenti efficaci per la fertilità e la salute; e sono di una qualità che esercita una intensa attrattiva sulla stanchezza europea, il faticoso decollo, la breve prosperità e la rapida rovina di una casa chiusa, questo il soggetto di Raccattacadaveri, romanzo di Juan Carlos Onetti (ed. Feltrinelli, pp. 274, Lire 2500) che dunque a prima vista non giustificherebbe una premessa così impegnativa. La rilevanza che assume l’impresa in una piccola città di provincia potrebbe d’altra parte sembrare buon argo mento per una cronaca iro nica o deformante o per altro gioco letterario già anche troppo noto. Invece il libro non ha un sorriso né un am micco furbesco e neppure ge lida comicità alla Buster Keaton. Serio, fitto di diramazio ni nella sua lenta filigrana, coinvolge nella spirale di quei fasti e nefasti postribolari le inquietudini, le scontentezze, i deliri, le squallide ambizioni politiche che covano nella inerzia del piccolo centro, nel la sua umanità repressa. Co me se in un mondo dove nul la si muove fosse un lusso fuo ri luogo distinguere tra cose più o meno importanti, Onet ti non dà segno di ritenere per nulla umoristico o para dossale il movente di questo generale rimescolio. E’ il pri mo segno di un’amarezza pro fonda che ritroviamo, più o mento tormentosa, nello stato dei vari protagonisti, destina ta ad esplodere in violenza o isteria, o a limarsi in crucci e struggimenti. Nel reticolo sonnolento di impotenza e di nevrosi, l’uo mo d’azione è proprio lui, il forestiero Larsen, detto Rac cattacadaveri, che ha nutrito per anni asceticamente l’idea della « casa » e vi ha proteso le sue forze ed esperienze (quanto inadeguate, queste, al suo sogno visto che si era no limitate alla professione precaria, imperfetta del pro tettore!) come al termine su premo, al capolavoro. Non è un personaggio ironico. C’è anzi molta desolazione nel fatto che questo « eroe » non possa essere preso in scherzo né sul tragico. Vuol dire che il mondo in cui agisce (e fa spicco per questo) è talmente destituito che non permette la sottigliezza di alcun giudizio. Sarebbe, ripeto, un lusso, una superfetazione. Sullo sfondo depresso ed amorfo di Santa Maria l’intraprendenza « ispi rata » di Larsen è al di là o al di qua di qualsiasi morale: è solo il movimento insidioso della vita che disturba, senza veramente interromperlo, un letargo generale pieno di acri monie e di frustrazioni. Può darsi, a giudicare da alcune maglie troppo febbrili del lungo tessuto, che il ro manziere intenda forzare la significazione apocalittica di questa storia. D’altra parte il quadro appiattito, formicolan te di sonno, abiezione e deli rio, è di per sé abbastanza elo quente sul piano di una real tà definita, riconoscibile per latino-americana: non so se in crisi di crescita, come af fermano alcuni critici, o sol tanto di disperazione. Juan Carlos Onetti che è uruguaiano e ha sessant’anni richiama da vicino la com plessità stilistica e la raffina tezza introspettiva degli scrit tori di Buenos Aires, dove in fatti ha vissuto a lungo. Le opere che precedono questa del 1964 potrebbero illumi narci sulla progressiva con quista di autonomia che qui appare compiuta, specialmen te nei riguardi di Faulkner e di Celine, ricordati spesso co me suoi maestri. Non impor ta, anche sulla base di questo solo testo il lettore potrà far si l’idea di uno sforzo di mo dernità e d’intelligenza narra tiva ben assecondato da risor se spontanee. Ma c’è ancora qualcosa da annotare. Non si può dire che Onetti cerchi l’anima popolare o nazionale, eppure la sua acuta e imma ginosa percezione si applica a una contemporaneità tutt’altro che generica. Come gli scrittori più significativi del continente, anche Onetti è le gato alla condizione reale e concreta dell’uomo sudameri cano da radici forti anche se più capillari del solito. Il fa vore di cui gode presso i gio vani della nouvelle vague con tinentale dunque non meravi glia; e neppure che essi lo ri conoscano per uno degli au tori più influenti.
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