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LETTERATURA: I MAESTRI: Jaun Carlos Onetti: L’asceta del peccato

23 Settembre 2017

di Mario Luzi
dal “Corriere della Sera”, domenica 9 novembre 1969]

Il nostro taccuino di appun ­ti latino-americani si in ­fittisce rapidamente di nomi nuovi o che arrivano in Ita ­lia per la prima volta. Forse l’ho già scritto, ma è bene ribattere che non si tratta di un fuoco d’artificio editoria ­le: la letteratura del conti ­nente si trova davvero in un periodo di manifesto rigoglio. Non tento neppure di spie ­garne il perché, sapendo quanto il rapporto di causa ed effetto sia aleatorio se applicato a questo argomen ­to. E’ vero che il forte di al ­cuni tipi di critica â— non più soltanto dello storicismo â— è appunto di fornire quel ­le spiegazioni; ma il fenome ­no ricorrente delle stagioni creative rimane, tutto som ­mato, inesplicabile e peren ­torio. Mi limito così ad os ­servare che la letteratura la ­tino-americana usufruisce di una condizione unica (non in tutto invidiabile, certo, ma indubbiamente vitale) deter ­minata soprattutto dal coesi ­stere di questi fattori: l’a ­prirsi e l’insorgere della co ­scienza alla tragedia sociale e politica del continente, la scoperta simultanea della realtà e del mito autoctoni, il trapianto vigoroso di tecni ­che artistiche europee e nor ­damericane. Per ultimo il più prezioso: l’integrità non cor ­rosa dei sentimenti dell’uo ­mo. Non mancano come si ve ­de alimenti efficaci per la fertilità e la salute; e sono di una qualità che esercita una   intensa attrattiva sulla stanchezza europea, il faticoso decollo, la breve prosperità e la rapida rovina di una casa chiusa, questo il soggetto di Raccattacadaveri, romanzo di Juan Carlos Onetti (ed. Feltrinelli, pp. 274, Lire 2500) che dunque a prima vista non giustificherebbe una premessa così impegnativa.

La rilevanza che assume l’impresa in una piccola città di provincia potrebbe d’altra parte sembrare buon argo ­mento per una cronaca iro ­nica o deformante o per altro gioco letterario già anche troppo noto. Invece il libro non ha un sorriso né un am ­micco furbesco e neppure ge ­lida comicità alla Buster Keaton. Serio, fitto di diramazio ­ni nella sua lenta filigrana, coinvolge nella spirale di quei fasti e nefasti postribolari le inquietudini, le scontentezze, i deliri, le squallide ambizioni politiche che covano nella inerzia del piccolo centro, nel ­la sua umanità repressa. Co ­me se in un mondo dove nul ­la si muove fosse un lusso fuo ­ri luogo distinguere tra cose più o meno importanti, Onet ­ti non dà segno di ritenere per nulla umoristico o para ­dossale il movente di questo generale rimescolio. E’ il pri ­mo segno di un’amarezza pro ­fonda che ritroviamo, più o mento tormentosa, nello stato dei vari protagonisti, destina ­ta ad esplodere in violenza o isteria, o a limarsi in crucci e struggimenti.

Nel reticolo sonnolento di impotenza e di nevrosi, l’uo ­mo d’azione è proprio lui, il forestiero Larsen, detto Rac ­cattacadaveri, che ha nutrito per anni asceticamente l’idea della « casa » e vi ha proteso le sue forze ed esperienze (quanto inadeguate, queste, al suo sogno visto che si era ­no limitate alla professione precaria, imperfetta del pro ­tettore!) come al termine su ­premo, al capolavoro. Non è un personaggio ironico. C’è anzi molta desolazione nel fatto che questo « eroe » non possa essere preso in scherzo né sul tragico. Vuol dire che il mondo in cui agisce (e fa spicco per questo) è talmente destituito che non permette la sottigliezza di alcun giudizio. Sarebbe, ripeto, un lusso, una superfetazione. Sullo sfondo depresso ed amorfo di Santa Maria l’intraprendenza « ispi ­rata » di Larsen è al di là o al di qua di qualsiasi morale: è solo il movimento insidioso della vita che disturba, senza veramente interromperlo, un letargo generale pieno di acri ­monie e di frustrazioni.

Può darsi, a giudicare da alcune maglie troppo febbrili del lungo tessuto, che il ro ­manziere intenda forzare la significazione apocalittica di questa storia. D’altra parte il quadro appiattito, formicolan ­te di sonno, abiezione e deli ­rio, è di per sé abbastanza elo ­quente sul piano di una real ­tà definita, riconoscibile per latino-americana: non so se in crisi di crescita, come af ­fermano alcuni critici, o sol ­tanto di disperazione.

Juan Carlos Onetti che è uruguaiano e ha sessant’anni richiama da vicino la com ­plessità stilistica e la raffina ­tezza introspettiva degli scrit ­tori di Buenos Aires, dove in ­fatti ha vissuto a lungo. Le opere che precedono questa del 1964 potrebbero illumi ­narci sulla progressiva con ­quista di autonomia che qui appare compiuta, specialmen ­te nei riguardi di Faulkner e di Celine, ricordati spesso co ­me suoi maestri. Non impor ­ta, anche sulla base di questo solo testo il lettore potrà far ­si l’idea di uno sforzo di mo ­dernità e d’intelligenza narra ­tiva ben assecondato da risor ­se spontanee. Ma c’è ancora qualcosa da annotare. Non si può dire che Onetti cerchi l’anima popolare o nazionale, eppure la sua acuta e imma ­ginosa percezione si applica a una contemporaneità tutt’altro che generica. Come gli scrittori più significativi del continente, anche Onetti è le ­gato alla condizione reale e concreta dell’uomo sudameri ­cano da radici forti anche se più capillari del solito. Il fa ­vore di cui gode presso i gio ­vani della nouvelle vague con ­tinentale dunque non meravi ­glia; e neppure che essi lo ri ­conoscano per uno degli au ­tori più influenti.

 


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