LETTERATURA: I MAESTRI: La poesia di Borges21 Settembre 2017 di Mario Luzi Da quando l’Italia conobbe per la prima volta La biblioteca di Babele e L’Aleph non sono passati molti anni; ma quei pochi sono stati suf ficienti a portare il loro auto re, Jorge Luis Borges, da una notorietà circoscritta a una fama molto diffusa. Il successo di uno scrittore cosi difficile â— di una diffi coltà non esteriore â— non è però troppo arduo da spiega re. Il fatto è che nessuna let teratura esprime le tentazio ni e le frustrazioni del let terato moderno meglio di quanto le esprima la lettera tura di Borges. Per molte ra gioni tra cui l’aspetto di ra rissima summa culturale po trebbe essere la prima. In se condo luogo essa è fortemen te « contaminata » dalla scienza, e â— fatto significativo â— meno dalle sue ipotesi che dai suoi processi interni. Per di più non dà, si può dire, corpo alle ombre ma esercita la sua quasi algebrica facoltà di congettura allo stato di semplice avventura della men te e nella consapevolezza del la sostanza soltanto mentale di quell’esercizio, conferman do con questo il potere e nel lo stesso tempo accusando la vanità della letteratura. Uso questa parola a ragion veduta: precorrendo di qual che decennio il pensiero strut turalista (del quale è poi di venuto â— et pour cause â— una specie di nume), lo scrit tore argentino ha creduto in fatti nell’esistenza oggettiva, materica, della letteratura che è poi, né più né meno, il regno della scrittura, dei se gni variamente ricorrenti che si designano con questo no me. Un universo destinato a muoversi entro i suoi eterni confini, autonomo e insieme prigioniero di se stesso, al l’interno del quale la presen za individuale dell’autore è puramente incidentale eppu re decisiva. Non appena un uomo fornito d’immaginazione speri mentale si mette a pensarla in queste sembianze, la lette ratura diventa per lui un campo aperto a qualsiasi pos sibile rispondenza, combina zione e proliferazione di ma teriali. La riflessione sulle opere scritte eccita l’inven zione a prospettarsi una se rie illimitata di svolgimenti eventuali, di spostamenti, in versioni, concomitanze: nel suo spazio mentale la lettera tura cresce sulla letteratura, si dilata, si modifica rima nendo sempre se stessa â— un limbo affascinante. Borges ha questo tipo d’immaginazione, ma non se ne parlerebbe nem meno se essa non fosse l’esat to corrispettivo di una visio ne ambigua e speculare della realtà in cui finito e infini to trasmutano continuamen te l’uno nell’altro come in una tavola numerica: uno sguardo sul mondo per cui matematica e magia vanno a collocarsi in una posizione di rigorosa reciprocità. Neppure l’ottimo studio di Gerard Genot (Borges, La Nuova Italia, pp. 169, L. 750) si compromette molto con la filosofia di Borges, salvo a sottolineare che sarebbe dif ficile definirla per il gioco delle continue contraddizioni e demolizioni che costituisce il suo stesso illusorio proce dimento e lascia in definitiva tutto irrisolto. Lo scrittore in persona del resto scorag gia qualsiasi tentativo del ge nere e preferisce richiamare alla natura artistica del suo lavoro, qualunque sia l’esten sione dei temi e dei metodi mutuati dalle scienze e dalla filosofia. Le autotestimonian ze a discarico che usano fare gli scrittori godono di poco credito, ma in questo caso penso si possano prendere al la lettera le parole di Borges. La sua arte è di per se stessa un metodo e perfino un sistema sia che persegua la progressione dal moltepli ce verso l’unico â— il libro che contiene tutti i libri, l’uo mo nascosto a cui risalgono una quantità di uomini ma nifestatisi alla spicciolata â— sia quando inversamente mol tiplica all’infinito l’unico da to iniziale. Del resto la ripe tizione ciclica o l’eterno ritor no valgono la propagazione illimitata. La sintesi risponde con perfetta analogia allo scindersi innumerevole del l’unità. Contrapposta a esplo sione, la parola implosione riesce abbastanza chiara: è la parola che userei per de scrivere questa immagine del mondo che scoppia all’interno restando fissa nella sua im mutabilità: una immagine lo gica ed esoterica che faceva un po’ di raccapriccio a Cecchi come effetto, insinuava, di sortilegio e stregoneria. Recensioni di libri veri o immaginari, notizie d’enciclopedia rielaborate fantastica mente, racconti di aperta fin zione costituiscono senza ge rarchia la letteratura o super-letteratura di Borges. Quan to alla produzione in versi (del resto poco conosciuta in Europa) era sembrata un pre liminare poco meno che tra scurabile o un lavoro in mar gine. Carme presunto, una scelta da tutta l’opera poeti ca a cura di Umberto Cian ciolo (Einaudi, pp. 167, L. 2000), corregge sensibilmente quella opinione. E’ da premettere che le poesie di Borges si articola no in quattro volumi, i primi tre accentrati negli anni Venti e l’altro, mai apparso co me libro a sé, di composizio ne più tarda. Si aggiunga che le disparità tra i due tempi sono molto forti e crea no qualche difficoltà a chi vorrebbe far coincidere l’in sieme con la poetica espressa a posteriori da Borges nel Prologo alla sua opera completa. In realtà sentiamo in Fervor de Buenos Aires e nel le altre poesie della prima stagione una presenza individuale più diretta di quanto vorrebbe sostenere quel tardo enunciato alla maniera di Valéry. Non che Borges abbia af fidato ai suoi versi la parte più familiare di sé: la sua città allucinata, quei sobbor ghi ai limiti della pampa e ai limiti dell’inesistenza non sono luoghi da passeggiarvi, ma paesaggi pensati altret tanto che visti e vissuti. Tut tavia il poeta è lì nella sua relativa incarnazione o se non altro nell’urgente inquie tudine del suo interrogativo mentre confronta le cose vi sibili, presenti, storiche con il tempo, la morte, la vanifi cazione; nell’atto di aprirsi gli spazi e le misure che gli saranno proprie ma non an cora sparito dentro la sua magica letteratura. Le poesie del secondo tem po nella classicità formale, nella volontaria esagerazione dei caratteri convenuti del linguaggio poetico tradiziona le (simili a Valéry) più che rispondere alla teorica forma, disponibile e cangiante per ogni lettore, vivono parados salmente per i loro contenu ti magici e metafisici, e que sti sono per lo più di riporto, già inventati altrove. In cer ti casi si tratta anzi di un bellissimo richiamo a sé, alla propria individuale esistenza, di speculazioni condotte in astratto nelle sue prose. Tutto insomma congiura a far credere che la poesia non sia integrata completamente nel sistema letterario di Bor ges ma ne sia piuttosto un vivido reagente, sia pure pro fondamente omogeneo. Forse più che il centro, come so stengono alcuni, essa è l’epi centro dell’opera. Letto 1291 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||