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LETTERATURA: I MAESTRI: La poesia di Borges

21 Settembre 2017

di Mario Luzi
[dal “Corriere della Sera”, giovedì 26 febbraio 1970]

Da quando l’Italia conobbe per la prima volta La biblioteca di Babele e L’Aleph non sono passati molti anni; ma quei pochi sono stati suf ­ficienti a portare il loro auto ­re, Jorge Luis Borges, da una notorietà circoscritta a una fama molto diffusa.

Il successo di uno scrittore cosi difficile â— di una diffi ­coltà non esteriore â— non è però troppo arduo da spiega ­re. Il fatto è che nessuna let ­teratura esprime le tentazio ­ni e le frustrazioni del let ­terato moderno meglio di quanto le esprima la lettera ­tura di Borges. Per molte ra ­gioni tra cui l’aspetto di ra ­rissima summa culturale po ­trebbe essere la prima. In se ­condo luogo essa è fortemen ­te « contaminata » dalla scienza, e â— fatto significativo â— meno dalle sue ipotesi che dai suoi processi interni. Per di più non dà, si può dire, corpo alle ombre ma esercita la sua quasi algebrica facoltà di congettura allo stato di semplice avventura della men ­te e nella consapevolezza del ­la sostanza soltanto mentale di quell’esercizio, conferman ­do con questo il potere e nel ­lo stesso tempo accusando la vanità della letteratura.

Uso questa parola a ragion veduta: precorrendo di qual ­che decennio il pensiero strut ­turalista (del quale è poi di ­venuto â— et pour cause â— una specie di nume), lo scrit ­tore argentino ha creduto in ­fatti nell’esistenza oggettiva, materica, della letteratura che è poi, né più né meno, il regno della scrittura, dei se ­gni variamente ricorrenti che si designano con questo no ­me. Un universo destinato a muoversi entro i suoi eterni confini, autonomo e insieme prigioniero di se stesso, al ­l’interno del quale la presen ­za individuale dell’autore è puramente incidentale eppu ­re decisiva.

Non appena un uomo fornito d’immaginazione speri ­mentale si mette a pensarla in queste sembianze, la lette ­ratura diventa per lui un campo aperto a qualsiasi pos ­sibile rispondenza, combina ­zione e proliferazione di ma ­teriali. La riflessione sulle opere scritte eccita l’inven ­zione a prospettarsi una se ­rie illimitata di svolgimenti eventuali, di spostamenti, in ­versioni, concomitanze: nel suo spazio mentale la lettera ­tura cresce sulla letteratura, si dilata, si modifica rima ­nendo sempre se stessa â— un limbo affascinante. Borges ha questo tipo d’immaginazione, ma non se ne parlerebbe nem ­meno se essa non fosse l’esat ­to corrispettivo di una visio ­ne ambigua e speculare della realtà in cui finito e infini ­to trasmutano continuamen ­te l’uno nell’altro come in una tavola numerica: uno sguardo sul mondo per cui matematica e magia vanno a collocarsi in una posizione di rigorosa reciprocità.

Neppure l’ottimo studio di Gerard Genot (Borges, La Nuova Italia, pp. 169, L. 750) si compromette molto con la filosofia di Borges, salvo a sottolineare che sarebbe dif ­ficile definirla per il gioco delle continue contraddizioni e demolizioni che costituisce il suo stesso illusorio proce ­dimento e lascia in definitiva tutto irrisolto. Lo scrittore in persona del resto scorag ­gia qualsiasi tentativo del ge ­nere e preferisce richiamare alla natura artistica del suo lavoro, qualunque sia l’esten ­sione dei temi e dei metodi mutuati dalle scienze e dalla filosofia. Le autotestimonian ­ze a discarico che usano fare gli scrittori godono di poco credito, ma in questo caso penso si possano prendere al ­la lettera le parole di Borges.

La sua arte è di per se stessa un metodo e perfino un sistema sia che persegua la progressione dal moltepli ­ce verso l’unico â— il libro che contiene tutti i libri, l’uo ­mo nascosto a cui risalgono una quantità di uomini ma ­nifestatisi alla spicciolata â— sia quando inversamente mol ­tiplica all’infinito l’unico da ­to iniziale. Del resto la ripe ­tizione ciclica o l’eterno ritor ­no valgono la propagazione illimitata. La sintesi risponde con perfetta analogia allo scindersi innumerevole del ­l’unità. Contrapposta a esplo ­sione, la parola implosione riesce abbastanza chiara: è la parola che userei per de ­scrivere questa immagine del mondo che scoppia all’interno restando fissa nella sua im ­mutabilità: una immagine lo ­gica ed esoterica che faceva un po’ di raccapriccio a Cecchi come effetto, insinuava, di sortilegio e stregoneria.

Recensioni di libri veri o immaginari, notizie d’enciclopedia rielaborate fantastica ­mente, racconti di aperta fin ­zione costituiscono senza ge ­rarchia la letteratura o super-letteratura di Borges. Quan ­to alla produzione in versi (del resto poco conosciuta in Europa) era sembrata un pre ­liminare poco meno che tra ­scurabile o un lavoro in mar ­gine. Carme presunto, una scelta da tutta l’opera poeti ­ca a cura di Umberto Cian ­ciolo (Einaudi, pp. 167, L. 2000), corregge sensibilmente quella opinione.

E’ da premettere che le poesie di Borges si articola ­no in quattro volumi, i primi tre accentrati negli anni Venti e l’altro, mai apparso co ­me libro a sé, di composizio ­ne più tarda. Si aggiunga che le disparità tra i due tempi sono molto forti e crea ­no qualche difficoltà a chi vorrebbe far coincidere l’in ­sieme con la poetica espressa a posteriori da Borges nel Prologo alla sua opera completa. In realtà sentiamo in Fervor de Buenos Aires e nel ­le altre poesie della prima stagione una presenza individuale più diretta di quanto vorrebbe sostenere quel tardo enunciato alla maniera di Valéry.

Non che Borges abbia af ­fidato ai suoi versi la parte più familiare di sé: la sua città allucinata, quei sobbor ­ghi ai limiti della pampa e ai limiti dell’inesistenza non sono luoghi da passeggiarvi, ma paesaggi pensati altret ­tanto che visti e vissuti. Tut ­tavia il poeta è lì nella sua relativa incarnazione o se non altro nell’urgente inquie ­tudine del suo interrogativo mentre confronta le cose vi ­sibili, presenti, storiche con il tempo, la morte, la vanifi ­cazione; nell’atto di aprirsi gli spazi e le misure che gli saranno proprie ma non an ­cora sparito dentro la sua magica letteratura.

Le poesie del secondo tem ­po nella classicità formale, nella volontaria esagerazione dei caratteri convenuti del linguaggio poetico tradiziona ­le (simili a Valéry) più che rispondere alla teorica forma, disponibile e cangiante per ogni lettore, vivono parados ­salmente per i loro contenu ­ti magici e metafisici, e que ­sti sono per lo più di riporto, già inventati altrove. In cer ­ti casi si tratta anzi di un bellissimo richiamo a sé, alla propria individuale esistenza, di speculazioni condotte in astratto nelle sue prose.

Tutto insomma congiura a far credere che la poesia non sia integrata completamente nel sistema letterario di Bor ­ges ma ne sia piuttosto un vivido reagente, sia pure pro ­fondamente omogeneo. Forse più che il centro, come so ­stengono alcuni, essa è l’epi ­centro dell’opera.


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