LETTERATURA: I MAESTRI: Puskin poeta26 Settembre 2017 di Mario Luzi Il più elementare contrassegno di un poeta autentico è il suo verso: che subito si fa riconoscere per l’intonazione insostituibile, radicale, anteriore a ogni mediazione della cultura e del gusto non meno che a ogni possibile arte combi natoria. Non c’è grande poeta il cui verso possa confondersi con altri: e non c’è verso di grande poeta che non abbia quel l’accento fondamentale, pri mario, e non s’insinui nella sensibilità del lettore come un’incidenza della natura. Com’è il verso di Puskin? â— mi sono domandato tante volte fino dai tempi che Renato Poggioli me ne affabulava appunto la su prema naturalezza, l’im prendibile profondità na turale. Lui, fortunato tra duttore dal russo (e da al tre lingue), sapeva che pro prio qui sta l’intraducibile della poesia. * Non ho ricordo di conver sazioni con Tommaso Landolfi su questo argomento, ma seguendo la arguta e tormentata discettazione che apre il suo volume di Poemi e liriche puskiniani (Einaudi 1960) tutto pare rimesso in dubbio e assol to â— come dire? â— per in sufficienza di prove secondo la ben nota maieutica del nostro grande scrittore e amico: tutto, compresa la ineffabile profondità e na turalezza del verso di Pu skin, di cui viene accusata la prevalente musicalità esterna e meccanica ma non smentita la proprietà di essere « riconoscibile sot to la lingua » e infine am messa â— specie negli ulti mi componimenti â— la mu sica aspra e sublime, non però come naturale soffio e pronuncia ma come effet to della facoltà ordinatrice, della sintassi del testo. Com’è dunque il verso di Puskin dal momento che la bellezza formale di gran parte delle sue versioni Landolfi l’ha raggiunta scar tando a ragion veduta, con fessa, l’impossibile calco verbale e l’altrettanto im possibile calco musicale? Neppure la scorrevolezza della lingua e delle cadenze che trovo, come risultato di una molatura di anni e di lustri, nel dottissimo libro di Ettore Lo Gatto, il grande benemerito di questi studi (Puskin, Lirica, ed. Sansoni, pp. 1201, lire 8000), può evidentemente ridurre al silenzio la domanda. Il verso di Puskin rimane per me, digiuno di russo (e d’infinite altre cose), un’incognita e un mito: il che significa che del fervido universo del poeta non sono in grado di percepire, se non per congettura, il respiro ed il battito. Quel fervido universo abbraccia, come tutti sanno, una gamma molto variata di occasioni, di temi e di forme e si scinde apparen temente in un vasto cam pionario di generi â— dalla lirica soggettiva al poema byroniano, al racconto in prosa o in versi, alla fiaba popolare, al dramma â— cia scuno dei quali costituisce un po’ una inaugurazione per la letteratura russa che cerca giusto in quegli anni la propria originalità così come la nazione russa va cercando la coscienza di se medesima. L’autore del Boris Godunov e dell’Euge nio Oneghin rivela ai suoi compatrioti la loro anima spontanea e molteplice cap tandola a tutte le fonti, dal le tribù caucasiche al po polo alle élites, e nello stes so tempo dimostra le virtù espressive della loro lingua, inventa il pentagramma della prosa e del verso rus si. Su questo la tradizione critica sembra tutta, o qua si, concorde anche se poi si divide in tutti i modi con trapposti di lettura che un’opera viva consente, in clusi i canonici verdetti di classico e di romantico, di soggettivo e oggettivo, in cluse anche le astrazioni ideologiche di realismo e di poesia pura o arte per l’ar te. Naturalmente. Ma a me sembra fondamentale la prima constatazione che è assai più di un semplice dato storico. Il fatto di agi re all’origine di una possi bile tradizione e di scopri re le illimitate risorse di contenuti e di forme che le si aprivano o, più sem plicemente, la scoperta del meraviglioso gioco della prosa e del verso russi de cidono forse della persona lità artistica di Puskin as sai più delle saltuarie e contrastanti dichiarazioni di principio. Lavorare in un cantiere nuovo con mate riali e regole vergini a sua completa discrezione, assi stito dal fuoco della giovi nezza (la sua gioventù nel la gioventù della nuova Russia), dà al poeta una vera euforia creativa e im pronta la sua opera dell’ila rità delle cose allo stato nascente. Non riesco a ve dere Puskin che come un poeta ludens, sia frivolo o grave il tema dei suoi sin goli componimenti. Tutto gli è permesso nell’inebrian te felicità di aver trovato i mezzi per farlo: la solen nità in falsetto e quella vera, la tensione narrativa o evocativa e il malizioso a parte, l’ascesa del tono e la sua spicciola aderenza al quotidiano, la disinvolta mescolanza di generi, mo di, accenti. Nondimeno Puskin vive in un’epoca troppo matura per non sentire con un ve ro sdoppiamento della co scienza l’incantevole gioco suo e del poeta in generale come un limite dell’arte nei confronti della realtà e del la vita. L’auto-ironia mi pare diffusa almeno quanto la satira nella sua poesia; vinta solo dalla passione di verità spoglia e brusca di certe liriche. Ma non direi che la coscienza del limite sciupasse la bellezza del gioco o rimordesse come una diminuzione al poeta; anzi entra a far parte an ch’essa del quadro inesau ribile e vario che sta di fronte al suo sguardo pron to a coglierne il movimen to. La festa di Puskin ar tista si svolse, tutto som mato, senza grandi ombre. * Ettore Lo Gatto ritiene che tutto quanto ha scritto Puskin sia in essenza lirico e la sua scelta di conse guenza oltre a spaziare tra le liriche, i poemi e le fia be comprende anche l’Eu genio Oneghin. Il lettore italiano non potrà non es sergliene grato: per quanto si possa ricevere la bellez za del Cavaliere di bronzo o di Poltava e, ovviamente, di certe intense liriche nul la passa così felicemente in italiano come la verve del famoso « romanzo in ver si », e d’altra parte poche altre cose puskiniane sem brano assistite da una tale grazia.
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