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LETTERATURA: I MAESTRI: La Berlino di Wolfe

11 Aprile 2012

di C. Hugh Holman
[da “La Fiera Letteraria”, numero 19, giovedì 11 maggio 1967]

La passione di Thomas Wolfe per Berlino fu in ­tensa e reciproca, byroniana nella sua strava ­ganza, come una blitzkrieg per la sua brevità, e un tantino comica.
« Si dice che Byron a ventiquattro anni si destasse un mattino celebre », disse Wolfe. « Io dovetti aspet ­tare dieci anni di più, ma il giorno arrivò ugualmen ­te; mentre passeggiavo perla Porta di Brandeburgo, lungo i viali incantati del Tiergarten, mi accorsi che la notorietà… mi era venuta incontro ».

Wolfe si recò per la prima volta a Berlino nel maggio-giugno del 1935 e vi fece ritorno nell’agosto-settembre dell’anno successivo in occasione dei giochi olimpici. I suoi incontri con Berlino in quelle due estati furono caratterizzati da iniziali esaltazioni e da dolorosi addii. Prima di allora aveva conosciuto sol ­tanto la parte meridionale della Germania e di questa diceva: « Vi sono riandato con la memoria innume ­revoli volte e con struggente nostalgia: la campana sommersa, la città gotica, il gorgogliare dell’acqua nella fontana a mezzanotte, l’Antico Posto, l’interrotto scampanio e la chiara pèlle di donne discrete e ge ­nerose ».

Wolfe arrivò a Berlino in questo stato d’animo ec ­citato che lo portava a lavorare per la Berlinodi Hi ­tler più del romanticismo wagneriano. Era pur sem ­pre un provinciale, attratto, ma anche un po’ sopraf ­fatto dal fascino delle città nuove. Per quanto avesse trascorso un quarto del periodo che andava dal 1924 al 1936 ingiro per l’Europa, restava essenzialmente un turista e raramente riusciva a superare l’imma ­gine superficiale dei Paesi che visitava. Giungeva a Berlino sfinito, dopo l’estenuante fatica di Of Time and River durata ben 5 anni ed era, come egli stesso dice « stanco fin nel profondo dell’animo di… essere solo ». Non ci si deve quindi meravigliare se a Berli ­no trovò l’amante più compiacente per il suo roman ­ticismo di adoratore.

Il suo primo romanzo, Look Homeward Angel, pub ­blicato a Berlino in una buona traduzione di Hans Schiebelhuth venne accolto da una favorevole criti ­ca, sintetizzabile nelle parole di Hermann Hesse « l’opera poetica più considerevole che ci giunga dal ­l’America d’oggi ». Le sue qualità poetiche e l’astra ­zione da qualsiasi ideologia politica facevano di Wol ­fe uno scrittore ben accetto sia dagli intellettuali sof ­focati dal regime, sia dagli esponenti del partito nazi ­sta ; soddisfaceva inoltre l’avidità culturale dei berli ­nesi e le sue apparizioni furono ciò che Martha Dodd, la figlia dell’ambasciatore americano, definì « l’espe ­rienza letteraria più vitale che Berlino avesse negli anni di Hitler ».

Quella di Wolfe erala Berlinodel Tiergarten, del Charlottenburg, che si estendeva a Est, oltre la porta di Brandeburgo, lungo l’Unter den Linden, a Ovest raggiungeva i quartieri eleganti, i bagni e i ristoran ­ti sul Wannsee e il Grunewaldsee. Era la medesima Berlino che si presenta al turista d’oggi: la città del ­la gaia vita notturna, dei ristoranti, dei caffè, dei ric ­chi negozi dalle luci scintillanti e degli alberi e par ­chi imponenti.

La vide per la prima volta dal finestrino del treno che da Hannover porta alla Bannhof Am Zoo da do ­ve raggiunse l’albergo, tre isolati più in là, per poi recarsi a un ricevimento nella casa dell’ambasciatore americano nella Tiergarten Strasse. Così descrive quei luoghi: « Lungo le strade del Tiergarten, nei vasti giardini, e lungo lo Spree Canal era tutto un fiorire di ippocastani. La gente bighellonava sotto gli alberi della Kurfürstendamm, le terrazze dei caffè erano af ­follate, e nelle giornate scintillanti d’oro, nell’aria ri ­suonava musica per ogni dove ». Si trattava di amo ­re a prima vista.

Tutte e due le volte Wolfe prese alloggio all’Hotel Am Zoo sulla Kurfürstendamm, che godeva fama d’es ­sere il migliore albergo di Berlino e quartier genera ­le di scrittori e giornalisti e che è oggi sede del Fe ­stival Internazionale Cinematografico. Ma la maggior parte del suo tempo la trascorreva presso i Dodd, tan ­to che poteva dire d’esser ospite dell’Ambasciata ame ­ricana.
Martha. Dodd presentò Wolfe nei circoli importanti, a personaggi politici e a celebrità quali Charles A. Lindbergh e William L. Shirer che gli dedicò un’af ­fettuosa vignetta nel suo Berlin Diary.

Sempre in compagnia della signorina Dodd visitò Weimar dove declamò versi al « vento folle » tra gli enormi alberi del giardino della casa di Goethe, così come aveva fatto nel vento e tra gli alberi del suo Paese natale: la montagnosa Carolina del Nord. Era entusiasta delle ardenti spiagge, dei pini, dei tigli e degli ippocastani della Germania del Nord. Visitò la tomba di Schiller a Weimar, credette di aver tro ­vato lo spirito di Lutero a Eisenach, rivisse il dram ­ma di Venusburg a Wartburg e ritornò a Berlino at ­traversando la fosca bellezza del monte Harz. Il pas ­sato della Germania lo invadeva fino al punto da far ­gli dire che « non esisteva al mondo uomo o donna che, per un verso o per l’altro, non fosse stato arric ­chito… da questo spirito tedesco che permeava l’arte, la letteratura, la musica e la filosofia ».

Si trovava al centro di quello che sembrava un re ­vival di questo spirito. Il Romanisches Café sulla Budapester Strasse, all’ombra della Kaiser Wilhelm Gedächtniskirche, fulcro letterario della Berlino pre-hitleriana, si animò nuovamente per la presenza di Wol ­fe, che sulla terrazza come nelle sale interne raduna ­va numerosi personaggi della vita intellettuale e let ­teraria che da quando Hitler era salito al potere si vedevano ben di rado.

Wolfe fece sua la vita degli artisti e degli scrittori tra i caffè e le fiaschetterie intorno al giardino zoolo ­gico e il Tiergarten; assieme a Ledig-Rowohlt, figlio del suo editore Ernst Rowohlt, vagavano perla Kurfürstendamm, l’equivalente berlinese della Fifth Avenue. Frequentavano il giardino della Alte Klause, il caffè di Anne Menz sulla Augsburger Strasse, dove mangiavano zuppa di pollo verso le tre del mattino, e il Café Bristol sulla Kurfürsterdamm, locale famoso per i suoi torroni. Partecipava alle feste, notoriamen ­te chiassose, che Ernst Rowohlt teneva nel suo ap ­partamento della Rankenstrasse. Faceva acquisti nel ­la Tauentzionstrasse, la strada più elegante, e passa ­va molto del suo tempo ad ascoltare il suono dei col ­pi dell‘orologio nelle « grandi e squallide messe » del ­la Gedächtniskirche.

Quello che gli appariva era una città enorme, la più estesa del mondo a quei giorni, i cui edifici si alter ­navano a laghi, giardini e alberi. Parlò delle « catene di innumerevoli laghetti » e del « meraviglioso colore bronzeo della sommità degli alberi kiefern ». Lodava l’ampia curva della Unter den Linden e gli spaziosi sentieri del fatato Tiergarten e gli alberi della Kurfürsterdamm che erano di quella « profonda e cupa in ­tensità di verde tedesco che… ha in sé l’oscurità del ­la foresta ». Scrisse versi dedicati ai « scintillanti terni della Stadtbahn » e le loro « belle, lucenti vetture â— brune, rosse, giallo oro â— ». Elogiava i tram che era ­no « come tutte le cose in Germania perfetti e fun ­zionali ». Un noto fotografo ritrasse Wolfe sul pre ­dellino di un tram che appariva ridicolmente rimpic ­ciolito per la imponente mole dello scrittore.

Qualche volta si spingeva più in là. Una volta, dopo aver trascorso l’intera notte in un caffè della Kurfürstendamm, si recò a Grunewaldsee, la cui nera su ­perficie rispecchiava così fedelmente la corona di antichi abeti che cingeva le sponde, da strappare a Wolfe un grido selvaggio di gioia. Laggiù, allo Schioss Marquandt, fece la prima colazione e divertì gli ami ­ci imitando i pellerossa americani. Frequentava il lo ­cale di Schlichter sulla Martin-Luther Strasse, un luo ­go di delizie epicuree e qualche volta pranzava da Habel sulla Unter den Linden. Fece una breve puntatina a Potsdam;la Funkturma Charlottenburg, una torre per la radio in tralicci d’acciaio alta137 metrie che a metà accoglie un ristorante da cui si gode una superba vista della città, lo entusiasmava.

Affermava che lo stadio olimpico di Charlottenburg era « il più bello e il più perfetto per disegno architettonico ». La pompa delle parate che aprirono i gio ­chi olimpici del 1936 era a parer suo « da mozzare il fiato per magnificenza e bellezza », « uno splendore di mille bandiere », tributo a quell’organizzazione che ebbe a definire « superba ».

Si infiammò anche al passo di marcia delle Camicie Brune e scrisse: « Giovani uomini sorridenti agli or ­dini dei loro superiori marciavano a ranghi compat ­ti, nelle loro uniformi diverse in file serrate si dires ­sero dalla Wilhelm-Strasse alla torre di Brandeburgo ». E quasi con approvazione ripeteva più avanti « il suono secco di 10.000 stivali che si avvicinano con un suono di guerra ». E’ innegabile come qui si senta il giovane che risponde con fervore quasi tede ­sco allo spettacolo e ai suoni della Germania di Hitler.

La città che egli conobbe non esiste più poiché si estendeva proprio lungo la rotta dei bombardieri al ­leati. I suoi monumenti furono distrutti o irrimedia ­bilmente compromessi: la torre di Brandeburgo,la Kurfürstendamm, il giardino zoologico ; gli alberi del Tiegarten vennero bruciati dai berlinesi negli ultimi anni della guerra. Il Romanisches Café, dove Wolfe aveva primeggiato è stato ricostruito ma è diventato un edificio ultramoderno, dove sopravvive solo qual ­che resto di quello che era stato in passato.La Kai ­ser Wilhelm Gedächtniskirche innalza la sua torre spezzata assurdamente affiancata a una struttura tipi ­camente moderna. Se Wolfe potesse visitarela Ber ­lino del 1967, non solo il muro, ma quasi ogni cosa sarebbe diversa.

Infattila Berlinoamata da Wolfe non esisteva già più ai tempi dello scrittore, era ormai caduta, vitti ­ma del Terzo Reich di Hitler. Per quanto le misure restrittive prese dai nazisti in politica monetaria aves ­sero forzato Wolfe a recarsi a Berlino per spendere le percentuali che altrimenti non avrebbe mai potuto godere, ci volle molto tempo prima che si accorges ­se chela Germania che aveva tanto amata era cadu ­ta prima della marcia delle Camicie Brune. Riuscì però alla fine a vedere quei soldati non già simili a eroi, come li aveva descritti, bensì come «giovani barbari vestiti da soldati » ; e comprese anche che tut ­to quel verde, quell’efficienza, colore e organizzazione della Berlino di allora, altro non erano se non « un affresco del Medioevo rinato » terribile fino all’in ­verosimile, purtroppo vero come l’inferno che l’uomo ha sempre creato per se stesso.

Quando questa consapevolezza lo raggiunse, capì che era giunto il momento di salutare la sua città-aman ­te, e lo fece con scoramento e con la sensazione di una grande perdita, ciononostante ancora con paro ­le wagneriane: « …antico maestro, malefico Faust, vec ­chio padre dell’antica e inquieta mente dell’uomo, an ­tica terra, antica terra di Germania, con tutto il peso della tua verità, della tua gloria, bellezza, magia, e della tua rovina ; e la tenebrosa Elena che brucia nel nostro sangue, grande regina e amante, strega â— te ­tra terra, tetra terra, antica terra che io amo… Addio ». Qui finisce la storia d’amore e la Germaniache gli aveva dato il maggiore riconoscimento e la maggiore gioia gli fu sempre vicina dopo la pubblicazione del suo breve romanzo I Have a Thing to Tell You, nel quale dava un quadro dell’inumanità nazista contro l’Uomo. Poiché, con il senso della gente e delle emo ­zioni proprio dello scrittore, Wolfe scorse al di là del mondo dei verdi alberi, dei laghi, al di là delle am ­pie strade pulite e delle maestose costruzioni gotiche, l’oscurantismo del mondo nazista.

La passione di Wolfe per Berlino fu breve, estatica, tumultuosa, esplosiva e d’adolescente e si concluse con la tristezza della separazione ; ma, come spesso ac ­cade, la passione giovanile fu per lui la miglior inizia ­zione alla maturità.

C. Hugh Holman è rettore dell’Università della Carolina del Nord dove Thomas Wolfe compì i suoi studi. Holman su Wolfe ha scritto due libri. Oltre a cinque romanzi, Holman ha pubblicato un saggio sugli sviluppi della critica americana.


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Bart