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LETTERATURA: I MAESTRI: La critica e il paradiso di Dante

6 Aprile 2013

di Vittore Branca
[dal “Corriere della Sera”, giovedì 2 aprile 1970]

Già il Foscolo, ispirandosi a Michelangelo e a Vasari, notava che Dante «oltre alla lingua, ai versi e alla armonia, a modellare le immagini insignorivasi delle forme della scultura e delle tinte della pittura ». Eppure nella fittis ­sima serie di studi sollecitati dalle celebrazioni del settimo centenario dantesco limitatis ­sima è stata la porzione dedi ­cata ai rapporti con le arti fi ­gurative.

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Ma ora un contributo gran ­dioso, veramente risolutivo per un settore, è offerto dall’ope ­ra Illuminated Manuscripts of the Divine Comedy a cura di Peter Brieger, Millard Maiss, Charles S. Smgleton, pubblica ­ta dalla Princeton University Press (voll. 2, di pp. XX-380 con 130 ill., e di pp. XXII- 540 con 1020 ill. e 41 tavole a colori; $ 45). Proprio nelle miniature si coglie direttamen ­te la determinante azione del ­le potenti visualizzazioni dan ­tesche: specialmente quando ci si trova di fronte a perso ­nalità artistiche di forte tem ­peramento come quelle acuta ­mente identificate con estrema probabilità dal Meiss in Pria ­mo della Quercia, fratello del grande scultore, in Giovanni di Paolo e forse in Domenico Veneziano (cod. del British Museum), in Francesco Trai ­ni o suoi allievi (cod. di Chan ­tilly), in Cristoforo Cortese (cod. della Nazionale di Pa ­rigi).

Descrivendo puntualmente 54 manoscritti miniati fra la morte di Dante e la metà del Quattrocento, significativi per valori iconografici o per qua ­lità figurative, il Brieger e il Meiss offrono anche argomen ­ti inattesi per la anticipazio ­ne della data del famoso commento di frate Guido da Pisa (dal 1328 circa al 1348 circa) e per l’interpretazione di passi molto discussi della Com ­media. « Colui che fece per viltade il gran rifiuto » era, ad esempio, quasi sempre raf ­figurato colla mitria o col tri ­regno: era dunque nell’età di Dante identificato con Cele ­stino V, non con altri perso ­naggi indicati poi dalla cri ­tica.

La stessa lettura cristocentrica del poema, proposta sug ­gestivamente dal Singleton, sembra avvalorata da tutta una serie di rappresentazioni figurative. Anzi il vasto e com ­plesso corpus delle più anti ­che miniature punta verso in ­terpretazioni simboliche e al ­lusive, secondo la più ricca e autorevole tradizione figurale della cultura dugentesca.

E’ questo, com’è noto, an ­che l’indirizzo più positivo del ­la critica dantesca di questi nostri decenni: e informa giu ­stamente il recentissimo volu ­me di uno studioso e saggista di esperienze singolarmente ricche e varie â— tra filosofia, storia, letteratura, moralismo civile â— come Manlio Mario Rossi (Problematica della Di ­vina Commedia, Le Monnier, pp. 240, L. 4000). Sia che indaghi i « valori dramma ­tici » della Commedia, ri ­levandone l’impostazione « tea ­trale » nella lingua, nello sti ­le, nelle strutture; sia che identifichi â— in senso diver ­gente dal Contini â— l’espe ­rienza tutta personale che av ­viva esemplarmente la rappre ­sentazione dell’al di là, il Ros ­si ambienta e articola le sue analisi e le sue conclusioni nel quadro del più autorevole pensiero medievale. Nuove e acute riescono cosi, ad esem ­pio, le osservazioni sul ritmo discendente â— da commedia â— delle chiuse degli episodi e dei canti, proprio secondo i precetti di Alano di Lilla per le trattazioni morali; o quelle sulla trasformazione della religiosità fra il terzo e il quarto decennio del Tre ­cento â— per l’attenuarsi del ­la coscienza apocalittica â— in seguito alla quale la rappre ­sentazione degli spiriti nell’ol ­tretomba dantesco è stata ac ­cusata di eterodossia o am ­messa solo come licenza poe ­tica; o quelle sulla singolare demonologia che accoglie sug ­gerimenti dalla tradizione fi ­gurativa medievale (p. es. Ca ­ronte era già rappresentato come un demone in un’Eneide dei primi del Duecento). La ragionata conoscenza di teo ­rie e tecniche letterarie del tempo permette anche al Ros ­si di identificare l’unità mu ­sicale del poema non nel ver ­so o nella terzina ma nell’epi ­sodio (con osservazioni vera ­mente penetranti circa l’uso dell’allitterazione ).

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Quella sempre variata e « circulata » armonia costitui ­sce anche il tema del più im ­pegnativo saggio di Luigi Blasucci (Studi su Dante e Ario ­sto, Ricciardi, pp. 208, L. 3000). Dalla tormentata vigilia d’ar ­mi nelle « rime petrose » il linguaggio poetico di Dante ascende alla eccezionale ma ­gnanimità lessicale e rit ­mica della Commedia, in cui può inserirsi coerente anche la volontà di esprimere l’inef ­fabile. E’ questo insieme un topos e una meta della poe ­sia dantesca, come osserva An ­gelo Jacomuzzi in un’elegan ­te serie di saggi nutriti con le esperienze della critica di Auerbach e di Frye (L’imago al cerchio, Silva, pp. 240, L. 3000).

Un interesse caratteristico domina questi studi, pur di impostazioni e di metodologie diversissime: l’interesse al Pa ­radiso come esperienza decisi ­va e conclusiva della poesia dantesca. Siamo ben lontani sia dai tempi in cui la terza cantica era ostentatamente trascurata dal Carducci, sia da quelli in cui era tacciata di noiosa pedagogia dal Croce.


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