Libri, leggende, informazioni sulla città di LuccaBenvenutoWelcome
 
Rivista d'arte Parliamone
La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

LETTERATURA: I MAESTRI: La droga

5 Maggio 2018

di Mosca
[dal “Corriere della Sera”, martedì 26 maggio 1970]

Comincia a svegliarsi. Fategli largo, deve respirare aria buona, ammesso che ancora ce ne sia. Chi è? Un ragazzo. Svenu ­to? No, l’hanno trovato in una baracca sul fiume, tutti am ­mucchiati. Ha aperto gli occhi. Ma sbarrati, non vede. Inutil ­mente il vento spinge nel cie ­lo di Roma una corsa di nu ­vole bianche. Gli altri? Se ne sono andati via con le loro gambe, come sorpresi nudi, una fuga di vermi. Ecco il più suonato. E’ ancora in preda ai fumi di non si sa che dro ­ga. Sembra uno straccio ba ­gnato. Tutta l’acqua che gli hanno buttato addosso per strapparlo a un sonno che sembrava una morte, ed era invece popolato di sogni. Per svegliarlo, dicevano, ma il de ­siderio segreto era d’affogar ­lo, come un cane. Vederlo mo ­rire sul lungotevere tra le ra ­dici nodose del platano scop ­piate di sotto l’asfalto. Per chi cerchi di sottrarsi al mondo nel quale bisogna pur vivere viene una sorta d’odio fatto di ribrezzo e d’invidia. Ora vede, insegue le nuvole. Per ­ciò non muore. Ha perso ogni interesse.

Ci pensa lei? Ci penso io, troverò nelle tasche il nome e l’indirizzo. Volevi andare nel mondo dei sogni? A so ­gnare che cosa? Che doman ­de! Il mondo nel quale vorrebbe vivere. E che mondo vorrebbero questi ragazzi che s’ammucchiano nelle barac ­che sul fiume, con un fumo celeste che esce da un tubo di latta? Di preciso non lo sanno, ma nuovo, diverso, libero. Libero da che? Da tutto.

Prima di drogarsi S. T. ha fatto l’anarchico. Non sap ­piamo che mondo vogliamo? Poco importa, quel che im ­porta è distruggere il vecchio. Non facciamo che distrugger ­lo e mette sempre foglie nuo ­ve. I vecchi anarchici dell’Ot ­tocento erano più bambini di noi, credevano che, morto lo Zar, la vita sarebbe diventa ­ta una primavera senza fine, gli uomini, liberi come uccelli, avrebbero potuto farsi il nido nel folto delle querce e dei castagni. Andavano a mettere le bombe tenendo già pronti, fra le labbra, fuscelli e fili di paglia.

Morto fucilato lo Zar, si dettero a squittire e a saltare di ramo in ramo, ma nacque un altro più grande impero con un nuovo più terribile Zar. Finita la speranza dei nidi. Si fece fuoco contro i vecchi anarchici. Caddero dal ­le ascelle dei rami, nelle quali s’erano rifugiati. Al nuovo im ­pero, che voleva conquistare il mondo, se ne oppose un al ­tro, più grande, irto, oltre che di armi, di macchine produ ­centi fiumi di cose delle quali si rimane schiavi e di cervelli elettronici che dispensano dal far funzionare quello natura ­le. Ora il vento era cessato e le nuvole s’erano fermate sul fiume. L’acqua scorreva senza portarne via l’ombra. Lo dis ­se il ragazzo con le labbra ancora impastate del dolcia ­stro della droga, e molti altri dell’età mia c’eravamo illusi che, nonostante tutto, una vita nuova fosse cominciata, le bar ­riere abbattute, la fine delle bandiere, stare sdraiati a fare l’amore, ridere di tutto, vitu ­perare il padre e la madre, mettere una scimmia al posto delle ossa del milite ignoto, quando udimmo il nuovo im ­pero chiamare con voce anti ­ca, dalle rive del fiume Amur, alla difesa del « sacro suolo della Patria », e vedemmo la bandiera dell’altro levarsi dal Cimitero degli Eroi e giun ­gere sulla Luna. Fu il più duro dei colpi.

 

*

 

Povero ragazzo. Non posso aiutarti. Per me fu invece una notte meravigliosa. Il più duro dei colpi? Desideravo con tut ­te le mie forze la catastrofe. Il fallimento ci avrebbe sal ­vati. Ma quando vidi quel gioco perfetto, il Lem staccar ­si non un attimo prima non un attimo dopo dalla navicel ­la che il giorno seguente, non un attimo prima non un atti ­mo dopo, si sarebbe trovata all’appuntamento, calarsi si ­curo sul suolo lunare come già, per lunga esperienza, ne conoscesse tutte le vie, e il piede di Armstrong cercarlo come si cerca la terra del pro ­prio paese, allora pensai con terrore alla futura condizione umana regolata minuto per minuto, attimo per attimo dagli ordigni che, operato il pro ­digio sulla Luna, sarebbero diventati i padroni della Terra.

Sul fiume pesavano Castel Sant’Angelo e la cupola di San Pietro. Povero ragazzo, non posso aiutarti. Fu per me una notte meravigliosa. Per lui, invece, il principio della fine, e il colpo di grazia venne quando gli uomini nuovi compirono sulla Luna i riti più remoti: la preghiera di ringraziamento e il saluto alla bandiera, una bandiera ferma, rigida, come di pietra, come il monumento alle   bandiere di tutto il mondo. Quegli uomini nuovi avevano messo piede sulla Luna in nome di Lincoln, Von Braun, Marconi, Galileo, Copernico, Leopardi, Ariosto, Icaro, il trionfo dei vecchi e degli antichi, credevamo di averli liquidati e muovevano alla conquista dell’universo, per quanti secoli ancora, avremmo avuti padroni e signori?

E noi giovani? Esclusi dal gioco. Ridotti a dare spetta ­colo di barbe, di chitarre, di bandiere nere, di insulti ai poliziotti. Uno squillo di tromba e dovremo marcia ­re o con gli uni o con gli al ­tri, uniforme zaino e mitra, noi che volevamo danzare nudi sui prati così come cen ­t’anni fa quei vecchi bambi ­ni dalle svolazzanti cravatte nere volevano farsi i nidi nel folto delle querce e dei ca ­stagni. Abbiamo perciò scel ­to la fuga, lassù con quelle nuvole a sognare il mondo che vorremmo, tanto più bello quanto più incapaci sia ­mo, non che di realizzarlo anche solo di disegnarlo. Non potrei dare un’altra boccata? Dove sono i miei compagni? Perché volevano affogarmi come si fa con i piccoli gat ­ti ciechi?

 

*

 

Mio caro ragazzo non pos ­so far niente per te. Ho i ca ­pelli bianchi. Tra noi cor ­rono quanti secoli? Le rive che il mio arco di vita con ­giunge sono le più lontane che la storia dell’uomo ricor ­di. Ho veduto le ultime diligenze (quella da Vignanello a Viterbo, così festosa di so ­nagliere) e il piede di Arm ­strong cercare la Luna. Quel ­la notte mi gonfiò il petto tutto il vecchio spirito d’av ­ventura fatto d’argonauti, di caravelle, di mongolfiere, del ­le ali di tela dell’apparecchio di Lindbergh, e quanti non fummo, lassù, a seguire, in ­visibili, i balzi di Armstrong e del suo compagno. Una fe ­sta di vecchi. Ricordi, sul breve orizzonte, la cresta del piccolo cratere vicino alla bandiera di marmo? Io sta ­vo lì dentro, acciambellato, con lo stesso piacere che un cane che si sia scavato una buca giusta per il suo corpo, e se tutti hanno visto l’im ­pronta delle suole di gomma dei due astronauti, io avevo presso la guancia, così da po ­termela sfiorare con gli occhi, quella d’un ferro della caval ­catura d’Astolfo, coi suoi set ­te chiodi, tanti quanti le stelle dell’Orsa. Felice età la mia, che mi permise, quella notte prodigiosa, di veder av ­verati dalla tecnica i sogni dei poeti, e mi permette, og ­gi, di non temer nulla, ra ­gazzo, dei tuoi timori. Per lunga che possa essere, anco ­ra, la mia permanenza sulla terra io non vedrò i giorni in cui i cervelli elettronici che portarono l’Apollo 11 sulla Luna regoleranno atti ­mo per attimo la vita uma ­na, io non farò in tempo a ricevere da un computer gli ordini sul modo di usare il tempo libero di questa o di quella settimana, io non giungerò a sentire una mac ­china darmi, per aver com ­piuto un errore, dell’imbe ­cille.

Tutto il mio tempo è libe ­ro, e tutta la mia vita â— es ­sendo assai più lunga quel ­la trascorsa che non quella da trascorrere â— è mia. Pos ­so aggirarmici a mio piaci ­mento, come in un giardino, come in un labirinto. Tu hai bisogno della droga, sei un povero straccio bagnato, a me bastano i ricordi, sono un uc ­cello, uno scoiattolo. La mia giovinezza è così lontana che nessuna macchina, per quan ­to potente e perfezionata può giungere a regolarla. Perciò la posseggo intatta da tutto fuorché dagli anni, i quali non hanno l’ufficio, co ­me si crede, di ucciderla, ma di tenerla nascosta. Chi può sospettare pensieri leggeri sotto i capelli bianchi? Mi dispiace di non poterti aiu ­tare a passeggiare libero nel labirinto dei cervelli elettro ­nici. Ho anzi il dovere di fru ­garti nelle tasche per getta ­re nel fiume la droga che ti sia rimasta, di chiedere l’ina ­sprimento delle pene per chi te la procaccia.

M’acciambello sul cratere e mi godo l’impronta del fer ­ro, coi sette chiodi quanti le stelle dell’Orsa.


Letto 1092 volte.


Nessun commento

No comments yet.

RSS feed for comments on this post.

Sorry, the comment form is closed at this time.

A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart