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LETTERATURA: I MAESTRI: La scrittrice Eleonora Duse

26 Settembre 2010

di Vittore Branca
[dal “Corriere della Sera”, sabato 19 aprile 1969]

Un anno fa, preceduta da una incalzante e lampeggian ­te telefonata di Gianfrancesco Malipiero, approdava a San Giorgio da Asolo, dove s’era raccolta in preghiera sulla tom ­ba della nonna, una suora do ­menicana anglo-italiana dagli oc ­chi chiari e dai gesti speditivi.

Aveva lasciato per un’ora sulla Riva degli Schiavoni la sua schiera di donzellette britanniche a saltellare e squittire nella Venezia di primavera. Era venuta, lei – Suor Maria di San Marco ma al secolo an ­ch’essa Eleonora – nipote ed ultima erede della Duse, a chie ­dere di donare alle raccolte della Fondazione Giorgio Cini, dedicate alle più preziose me ­morie della civiltà della Serenissima, quanto conservava an ­cora delle carte e dei cimeli della « divina » attrice venezia ­na: una eredità eccezionale giuntale attraverso la devozio ­ne conservatrice di sua madre, Enrichetta, la figlia della Duse andata sposa al professor Bullough di Cambridge.

Ora quel complesso di documenti unico per la storia del nostro teatro, della nostra vita culturale, del nostro costume fra Ottocento e Novecento è stato depositato a San Giorgio ed è affidato alle cure di uno specialista sensibilissimo e col ­tissimo, Piero Nardi. Quelle fo ­tografie familiari o teatrali, quei copioni segnati appassio ­natamente e annotati con scru ­poloso puntiglio (e alle volte autografi degli autori stessi), quelle lettere mosse e accorate, quegli appunti di Eleonora e di Enrichetta, stanno ordinandosi in una trama suggestiva, van ­no aprendosi nei loro sensi più rivelatori e nelle loro allusioni più illuminanti grazie a chi è stato il rievocatore penetrante della vita di Fogazzaro, di Boito, di Giacosa.

Proprio Arrigo Boito e Gia ­cosa, D’Annunzio e la Negri, Pirandello e la Deledda, Papini e Govoni, e cento altri scrit ­tori e artisti si affacciano in questi carteggi accanto ai
« grandi » del teatro (da Sarah Bernhardt e Copeau a Zacconi e Benassi), accanto a spiriti europei come Ibsen e Maeterlinck, Romain Rolland e Rodin, Claudel e Yeats. Fra le appassionate ondate del carteggio con Arrigo â— una gran ­de sinfonia isottea, di un ro ­manticismo grave e abbandonato -campeggia l’insistenza sulla dedizione assoluta, quasi ascetica, a un ideale artistico, anzi all’Arte (con tanto di maiuscola), e si sviluppa l’impegno per rivelare al pubbli ­co italiano â— come già proprio per merito del Boito avveniva attraverso la musica di Verdi â— la forza e la ricchezza del ­la poesia di Shakespeare.

Accanto al manoscritto della traduzione di Antonio e Cleopatra, Nardi ha trovato l’autografo boitiano della traduzione assolutamente sconosciuta del Macbeth (fra le pagine sono ancora disseccate foglie di alloro), e una parte di quella di Romeo e Giulietta, punteggiata da varie note â— anche registiche â— di pugno di Arrigo e di Eleonora.

Ma al di là dell’importanza eccezionale per ricostruire e ri ­vivere quella che fra i due secoli fu la « grande conversa ­zione » letteraria e teatrale del ­l’Italia, non senza risonanze europee, queste carte segrete rivelano nella Duse una scrit ­trice di razza. Quattro prezio ­sissimi quaderni di lettere e di note di Eleonora, fra il 1914 e il 1924, trascritte amorosa ­mente da Enrichetta, costitui ­scono un diario intimo da au ­tentico memorialista.

La desolata solitudine di Boi ­to sul viale del tramonto è ri ­tratta, dopo una visita fugace, con un realismo insistito ma pacato. Fra « un povero cane, un   setter   bianco   e   nero,     im ­prigionato     in     una     gabbia     di rete     metallica,     a     ridosso     del muro,     umida,     triste,     soffoca ­ta » e le rampogne di un ser ­vo   dispettoso,     Eleonora     ritrae Arrigo « muto, triste, tanto tri ­ste,     le     belle   spalle   sue     d’una volta, curve in alto, come d’un albero che non vuole piegarsi ». E continua: « Io immobile sulla sua sedia, che mi faccio piccola per non aumentargli il disagio… avevamo entrambi,   quieta la stanza, e la strada e la luce. Il ritratto di una donna giovane, di trent’anni prima (il mio d’una volta), alla sua destra, e il ritratto   di   Verdi   sulla   sua scrivania: tutto lì e libri, libri ovunque.     ‘Partite? ‘.     ‘Sì,     alle otto’.   ‘Si è   già partiti, quando si deve partire’ ». Ma questa sconsolata chiaroveggenza sa impennarsi anche in     una     forza     sdegnosa     e     in un’energia espressiva da tragico o da moralista. D’Annunzio –   sul     cui     stesso   stile,     come queste carte confermeranno, influì proprio la Duse â— dopo i tradimenti d’amore e d’arte (la Figlia     di     Jorio     negatale     nel 904)   le si rivolge ancora per averla interprete dei suoi dram ­mi: «poiché tu sei la sola rivelatrice degna di un grande poeta, e poiché io sono un grande poeta     è     necessario     –     dinanzi alle sacre leggi dello Spirito – che tu dia la tua forza alla mia forza – tu Eleonora Duse a me Gabriele   D’Annunzio ».

«Non alterare la verità â— risponde con disadorna risolu ­tezza la Duse. â— Non parliamone più. Son vane le parole. Lascia la spada e la penna quando mi pensi. Non ti difendere, figlio, perché io non t’accuso. Così è, così sia. Il mondo è pieno di tali miserie. Non parlarmi dell’impero della tua vita carnale, della tua sete alla vita gioiosa: sono sazia di que ­ste parole, da anni ti ascolto dirle. Se tante volte negli anni che mi dicevi ti ero necessaria, se tante volte ho potuto spa ­rire d’accanto a te, nelle ore della tua insaziabilità (parole tue), a che serve, figlio, ciò che tu dici? ». E’ una sequenza di sdegni e di tenerezze, scandita potentemente da quell’iacoponico « figlio » e retta da un’umanissima e sofferta forza di amo ­re e di verità.

Aveva ragione Papini quan ­do nel ’17 esortava la Duse a lasciare le scene per la penna: quel Papini che ai tempi della Voce le si era rivolto in un disperato momento di miseria e di sconforto. « Vengo da lei come un povero che chiede qual ­cosa e non offre, come nei ro ­manzi, il cuore a consolare, ma stende proprio la mano, la ma ­no vera, di carne, magra come quella dei poveracci di Goya… Da due mesi sto qui in libreria dalla mattina alla sera e non prendo nulla, perché la Voce è povera ». Due giorni dopo, pro ­prio in quella libreria (scrive ancora Papini) apparve la Duse «improvvisa e inaspettata, con quei suoi occhi così neri di ansiosa e intensa passione… Una donna grande perché don ­na, ed ha un’anima. Un’anima sua ma capace di veder le altre. Tanto generosa da ringraziare chi riceve da lei ».

E’ questa l’immagine di Eleo ­nora che domina le pagine del ­l’ultimo quaderno: taccuino dell’ansietà tormentosa e della ge ­nerosità serena degli anni estre ­mi. «Voglio che su la mia tom ­ba sia scritto: fortunata, dispe ­rata, fidente ».


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1 commento

  1. Pingback by Bartolomeo Di Monaco » LETTERATURA: I MAESTRI: La scrittrice … — 26 Settembre 2010 @ 17:07

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