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LETTERATURA: I MAESTRI: L’avanguardia adulterata

22 Febbraio 2012

di Angelo Guglielmi
[da “Quindici”, numero 1, giugno 1967]

Alberto Moravia, « Il mondo è quello che è »,
Bompiani, 1966, pp.144, L. 900.

Alberto Moravia, « Una cosa è una cosa »,
Bompiani, 1967, pp.342, L. 1.800.

Giuseppe Patroni Griffi, « Metti una sera a cena »,
Garzanti, 1967, pp. 82, L. 1.300.

Sì, l’avanguardia è finita o meglio corre un grossissimo rischio e questo da quando i la folla dei suoi denigratori ha deciso di appropriarsene cercando di farla rifluire, di farla agire all’interno di quell’impianto d’im ­maginazione e di concezione artistica proprio ; fuggendo dalla quale, cioè in polemica e in , contrasto con la quale, si era costituita. Mi dispiace di dover far fare le spese di tutte le mie ire, di tutte le mie indignazioni sempre alla stessa persona: ma non è colpa mia se lui è l’unico antagonista valido, cioè l’unico con cui valga la pena di riscaldarsi e per il prestigio di cui gode (e quindi per la sua pericolosità) e per la forza, per l’accanimento con cui sta vivendo il suo fallimento. Stiamo i parlando di Moravia. Sono usciti ultimamente due suoi libri: un volume di racconti (Una cosa è una cosa) e un volume di teatro (Il mondo è quello che è) contenente due piéces che sono state rappresentate quest’anno e che io non ho visto. Di fronte a questi due libri sono stato preso da una grande insoffe ­renza. La stessa che provo davanti al governo di centro-sinistra. L’insofferenza viene dal fatto che la coalizione â— indipendentemente dall’accertamento delle responsabilità perso ­nali â— è la confluenza di due elementi che non possono coesistere: figuratevi che rilievo possono avere (o meglio a quale snaturamento devono andare incontro) le grandi idealità i della sinistra, le prospettive sociali e la ferma volontà di riforme strutturali allorché devono essere comprese nei piani di sviluppo e nei progetti economici allestiti dall’on. Colombo!

L’avanguardia per Moravia, come la sinistra per l’attuale governo, è solo un problema di aggiornamento che ha quale scopo per un verso la creazione di condizioni che permettano di mantenere il monopolio del potere e per l’altro la neutralizzazione, previo conglobamento, di tutte le opposizioni e forze centrifughe.

Nelle ultime prove di Moravia i motivi dell’avanguardia vengono volgarizzati e avviati a costruire un prodotto medio che â— non vi è dubbio â— non scomoda in nulla le vecchie abitudini del pigro lettore. Il mondo è quello che è nasce da una presunta meditazione dei testi di Marx e di Wittgenstein (dico presunta giacché Moravia non sa leggere con libertà e forse a causa del tono pratico della sua mente tende a ridurre tutto ciò che legge ad una misura per così dire bignamesca, di comunicazione diretta). Secondo questa meditazione affatto sui generis, ipotizzata la necessità di dover cambiare il mondo, il problema sarebbe se bisogna cambiarlo cambiando le cose oppure cambiando le parole. Intanto, non so che senso possa avere il proposito di cambiare il mondo. Un tale proposito denota in colui che lo insegue una concezione del mondo ancora compromessa con le filosofie trascendentali e metafisiche. Si può mutare una situazione, rovesciare un governo, abbat ­tere un regime, modificare il letto di un fiume: sono tutti propositi che possono essere pensati e portati a termine. Nella misura in cui il progetto allarga il suo arco di prospet ­tive sfugge alla presa della ragione e diventa di pertinenza di monaci e profeti. Secondo, e di conseguenza: le cose e le parole non sono le une di fronte alle altre, ma sono le une nelle altre: le parole sono le cose, e le cose sono le parole.

Pensare che il mondo stia da una parte e la letteratura dall’altra è all’origine di tutti i misfatti letterari verificatisi negli ultimi anni. Nel contesto di questa credenza, tenuto conto che il mondo non è più il bel mondo dei nostri antenati ma è decaduto dai princìpi di salute e di equilibrio su cui fino allora si era retto, la letteratura verrebbe a trovarsi di fronte a questi due possibili compiti: pro ­porsi di cambiarlo (produzione mistificata e di propaganda) o proporsi di descriverlo (pro ­duzione scandalistica, di consumo). La prima ha fatto il suo tempo, avendo toccato l’apice della sua povera gloria intorno agli anni ’50. Oggi è in voga la seconda (che tuttavia nella sostanza non si discosta per nulla dalla pri ­ma). E’ sempre questione del racconto di un incesto. Solo che ieri questo racconto si con ­figurava come denuncia e in quanto tale possedeva una carica riformatrice e di propa ­ganda, oggi è una pura e semplice descrizione che grazie al suo tono finto neutro e falso illuminato pretende di essere rivoluzionaria e d’avanguardia (ma in realtà è quanto di più rivoltante e di più kitsch si possa imma ­ginare).

La conferma più clamante di quello che stiamo dicendo è Metti una sera a cena di Patroni Griffi (da me letta nell’edizione Gar ­zanti). Patroni Griffi è convinto di averci proposto un’opera nuova. Ha scoperto che la vita di gruppo s’è andata sostituendo alla vita di famiglia e che ogni gruppo si regola secondo leggi e consuetudini proprie, diverse da gruppo a gruppo, e soprattutto tali che nulla hanno a che fare con quelle suggerite dal codice morale e dal buon senso. Si può essere anche d’accordo con lui quanto alla registrazione del fatto, ma non quanto alla valutazione. Giacché non è che la vita di gruppo si sia sostituita alla vita di famiglia: la vita di gruppo non significa che esiste una vita di gruppo, ma soltanto che non esiste più una vita di famiglia: dunque la vita di gruppo non è qualcosa che è ora, ma è quello che non è più.

Così, che esista una vita di gruppo è un fatto, ma che questo non significhi un bel niente è un altro indiscutibile fatto: così non vedo perché si debba raccontarla con lo stes ­so onesto rispetto per l’oggetto e lo stesso abbandono poetico con cui ieri si raccontava l’amore di Enea per il vecchio Anchise (o meglio lo capisco fin troppo bene ma devo prima cambiare punto di vista, cioè devo abbandonare quello della letteratura e acco ­starmi a quello della pubblicistica pornografica e dell’album di fotografie oscene). E lo stesso vale anche per Moravia, anche se ad un altro livello di classe e di responsabilità. Nel volume Una cosa è una cosa sono compresi una serie di racconti tutti destinati a celebrare una cosa che non è. Così nell’« Albero di Giuda » si raccontano le gesta-non-gesta di un giovane la cui attività consiste nel non fare niente. Evidentemente il racconto nasce da una valu ­tazione del mondo di oggi â— che presume di essere effettuata dal punto di vista del pensiero d’avanguardia â— per cui la dimen ­sione del non fare sarebbe più significativa di quella del fare, l’inattività varrebbe più dell’attività. E questo può anche essere vero, non nel senso che il non fare ha preso il posto del fare, ma nel senso che l’inattività ha scoperto i limiti sempre più disperanti dell’attività, cioè i limiti dell’eroismo. Così non si possono raccontare le gesta-non-gesta di Adalberto (cioè di un giovane la cui carat ­teristica essenziale è di non fare niente) con la stessa immedesimazione con cui si raccon ­tano le gesta di Julien Sorel, cioè realizzando lo stesso rapporto di soggezione nei riguardi del personaggio che nella narrativa dell’800 funzionava solo nella misura in cui quel per ­sonaggio era un eroe.

L’insorgenza della vita di gruppo, la pre ­senza del non-eroe non possono non avere, non vi è dubbio, serie conseguenze per la letteratura: ma queste conseguenze riguardano soprattutto i rapporti tra lo scrittore e il mondo: e cioè lo scrittore non potrà più dare conto del mondo attraverso gli aneddoti che questo gli offre: giacché sono aneddoti, lo abbiamo visto, che non hanno più senso, sono « storie » che non significano più niente o, se volete, significano soltanto che non esi ­stono più « storie ».

Lo scrittore può prendere coscienza del nuovo mondo (di cui è spia proprio l’improv ­viso emergere della vita di gruppo e la morte dell’eroe) soltanto attraverso l’invenzione for ­male da attuarsi nelle due direzioni della messa a punto di nuove strutture stilistiche e della rivoluzione del linguaggio. Così Tes ­sersi accorti che la vita di gruppo ha scalzato la vita di famiglia o che l’eroe è morto acqui ­sta valore ai fini di una ricerca di avanguardia solo nella misura in cui grazie a questa sco ­perta lo scrittore si rende conto che la media ­zione dei contenuti non è più utilizzabile e che adesso del mondo si può riuscire a dire qualcosa soltanto se armati di un impegno formale; che il rapporto di imme ­desimazione-soggezione nei riguardi dei con ­tenuti non è più produttivo; che i contenuti vanno stravolti, spiazzati, distrutti in quanto aneddoti e recuperati in quanto campo d’ac ­certamento linguistico, ossia in quanto valore segnico.

Il comico è, come si è detto, che Patroni Griffi è convinto di averci dato con la sua commedia parapornografica un’opera nuova, di avere risposto, se pure a suo modo, alle esigenze di una produzione d’avanguardia. E lo stesso vale per Moravia che con i suoi ultimi libri ci offre un prodotto letterario il cui unico valore (peraltro non rilevante in sede letteraria) è di essere una raccolta di test, di notizie, di prove testimoniali tali da prestarsi a base per una ricerca sociologica. E insieme a loro tutta una folta schiera di autori, anzi si può dire che non vi è romanzo che arrivi in libreria che non si ponga come sperimentale. Ma lo fa rendendo immediata ­mente palese l’equivoco. Qualche giorno fa a una giovane scrittrice si chiedeva in che senso il suo libro dovesse considerarsi d’avan ­guardia. Risposta: « nel senso in cui per avanguardia s’intende l’uso di strumenti stili ­stici nuovi e diversi. Tuttavia io non credo che si possa scrivere un romanzo rinunciando alla psicologia, ai personaggi, alla storia ». Continuava la scrittrice: « l’arte è artificio, sempre comunque. Un artificio però che si deve nutrire della vita ». Queste dichiara ­zioni non suonano molto diverse da quelle che sentiamo proferire così spesso dall’on. Mo ­ro allorché nell’illustrare la sua volontà rifor ­matrice dichiara che essa si ispira al criterio del progresso senza avventure e delle con ­fluenze parallele.

Peraltro la volgarizzazione dei temi del ­l’avanguardia, e quindi la nèutralizzazione della loro carica sovvertitrice, oltre che do ­vere essere messa in conto della volontà dei vecchi gruppi di potere â— volontà messa in moto non tanto dalla consapevolezza del ­l’usura che ha colpito tutti gli strumenti cultu ­rali tradizionali, quanto dalla evidenza, cui oggi nessuno più riesce a sottrarsi, che quanto c’è di meglio in fatto di uomini, capacità intellettuale e anche, perché no, di attitudine nei riguardi dell’assunzione e dell’esercizio delle responsabilità, è tutta dall’altra parte (in questo quadro l’operazione « Espresso » ten ­dente ad assorbire il maggior numero di scrit ­tori d’avanguardia si giustifica non con: voglio migliorare il giornale; ma con: voglio ven ­dere più copie) â— dunque la volgarizzazione della tematica di avanguardia è certo anche da mettere in connessione con certe elabora ­zioni successive cui quella tematica è andata incontro, alcune delle quali, per esempio i concetti di « normalizzazione » e di « recupero dell’oggetto », particolarmente rischiosi.

Ora è vero che proprio per le cosiddette leggi dell’avanguardia nessuna situazione può essere congelata, nessuno stile innovatore può sopravvivere tanto tempo senza diventare a sua volta accademia, comunque è anche vero che il pericolo in cui l’avanguardia sempre incorre quando tenta di andare avanti è di tornare indietro. Di questo pericolo la neo ­avanguardia italiana è sempre consapevole? La risposta è dubbia. Come anche è dubbio, a proposito dei concetti di « normalizzazio ­ne » e di « recupero dell’oggetto », se detti concetti possono essere intesi come indica ­zioni di lavoro in vista di ulteriori sviluppi o piuttosto il loro succo non è quello di ras ­sicurare la letteratura, convincendola che è un esercizio di sempre e, attraverso questa convinzione, mettendola nella situazione di considerare il momento della rivolta superato e non più produttivo. Muovendo in questa direzione la neo-avanguardia fa un concreto e vero passo indietro e, senza volerlo, viene a trovarsi gomito a gomito con gli opportu ­nisti e i profittatori che hanno fatto un finto e falso passo avanti. L’incontro dà ben presto luogo alle orrende nozze. Il frutto è la nascita di creature malformate. Di alcune di queste abbiamo già fatto sopra conoscenza. Ma molte altre ce ne sono. Alcuni nomi? Eccoli: L’ir ­realtà quotidiana, Uccellini uccellacci, Il Tea ­tro del Porcospino, ecc.

 


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