LETTERATURA: I MAESTRI: Le fiabe di Hoffmann14 Ottobre 2017 di Claudio Magris Agli occhi di Baudelaire, «le désordonné Hoffmann, le divin Hoffmann », com’egli lo chiamava, era uno dei crea tori dei « catechismi d’alta estetica » moderna; un maestro dell’ « essenza del riso », di quella tragica e grottesca comicità che il poeta dei Fio ri del Male considerava uno dei caratteri satanici dell’uo mo e uno dei frutti dell’al bero della conoscenza. Caro a Baudelaire e a Gogol’, a Dostoevskij ed ai surrealisti francesi, Hoffmann fu, insie me a Heine, l’unico scrittore tedesco fra Goethe e i gran di della fin de siècle ad ave re una risonanza internazio nale: la sua opera, tradotta quasi completamente in fran cese e in russo pochi anni dopo la sua morte (1822), venne immediatamente acqui sita al patrimonio comune della cultura europea e ven ne quindi salvata da quell’iso lamento periferico, dovuto più a fattori sociologici d’ordine generale che a ragioni d’in trinseco valore estetico, che nel secolo XIX restrinse il romanzo tedesco in un am bito nazionale quando non regionale. E Hoffmann con tinua, ancor oggi, a venir letto da un vasto pubblico non specializzato, per il qua le la letteratura tedesca del l’Ottocento â— a differenza di quella francese, russa, ingle se o americana â— è una zo na pressoché ignorata. Oggi più che mai il « nar ratore » Hoffmann, così ric co di linfe vitali e così vi cino alle radici del mitico e del favoloso, si presenta co me un originalissimo innova tore delle strutture stilisti che e come uno dei padri del romanzo moderno. Dietro lo sbrigliato inventore di ara beschi fantastici affiora l’ar tiglio dello scrittore che, gra zie ad una scomposizione lin guistica del dozzinale mate riale spettrale e pauroso, ap proda a intuizioni psicologi che più tardi celebrate da Freud; sotto gli ingredienti fumettistici dei romanzi not turni emerge l’ironia dell’ar tista il quale, parlando degli Elisir del Diavolo, traccia il rendiconto etico – intellettuale di una civiltà in crisi e in sieme l’analisi di una disso ciazione psichica; la parodi stica sovrapposizione della pa rabola d’un musicista votato alla disgregazione e dei com promessi filistei d’un benpen sante gatto borghese (Murr) si accosta, anche sul piano degli esperimenti formali, al clima dell’avanguardia con temporanea di cui anticipa, riallacciandosi a Sterne e gettando un ponte verso i grandi autori del Novecento, lo scetticismo sulle possibili tà della narrazione, la con sapevolezza del « romanzo del romanzo ». Lo scrittore ro mantico, che ha suggerito a Dostoevskij il tema del so sia, si rivela uno spirito di vorante ed enciclopedico, tra gico come può esserlo un te stimone dell’assurdo caos mo derno: lo scrittore bizzarro si profila un attento realista, che negli eccentrici fantasmi ritrae l’esilio del borghese, la sua condizione esistenziale di angelo caduto. Inesauribile e talora privo di freno e di controllo, Hoff mann si misurò con i più di sparati generi letterari, come rivelano anche le tre opere riunite nel volume II vaso d’oro e curate con la con sueta finezza da Ervino Pocar (ed. Garzanti, pp. 283, L. 500). Regista e scenografo oltre che narratore, Hoff mann offre nelle Singolari pene d’un direttore di teatro una ricca e variegata pano ramica della vita spettaco lare della sua epoca e so prattutto della problematica teatrale romantica; questo racconto-dialogo segna forse uno dei momenti più contin genti della produzione hoffmanniana, legato com’esso è al clima del tempo e al l’ideale romantico dell’inter pretazione come immedesima tone: posizione decisamente invecchiata, anche se ravvi vata da stimolanti riferimenti culturali (Shakespeare, Gozzi), da interessanti contributi d’ordine tecnico e dalla piroetta finale che identifica teatro ideale (spersonaliz zazione dell’attore, antidivismo e così via) col teatro delle marionette. Il vaso d’oro, la novella che dà il titolo al volume, costituisce invece uno dei ca polavori hoffmanniani, un ca polavoro di ambiguità di mol teplicità di piani e signifi cati, di profondità simbolica. Favola angosciosa, metafora d’una nevrosi o iridescente allegoria, a seconda della prospettiva da cui lo si legga, Il vaso d’oro intreccia cro naca quotidiana e avventura fantasmagorica, l’incontro del lo studente Anselmo con un rispettabilissimo ambiente bor ghese di vicepresidi, attuari di cancelleria ed archivisti e l’improvviso ingresso del me desimo Anselmo in un mon do mitico, incantato e stre gato. Contrapposizione di un pa radiso di fiaba alla « mise ria tedesca » e trasfigurazio ne dei più complessi motivi filosofici dell’Idealismo tede sco, Il vaso d’oro è però so prattutto un grande raccon to a struttura simbolica in cui Hoffmann, precorrendo il Musil delle geniali analogie, traduce in chiave narrativa il processo associativo della vita psichica, l’imprevedibilità delle concatenazioni d’idee che presiedono al meccani smo della coscienza, e, in questo caso, di una coscienza alterata: il battente di una porta può trasformarsi in un sogghignante volto di vec chia e un uomo può assume re un deforme sembiante ani male, degno del tratto di un Hogarth o di un Callot. Se ne II vaso d’oro la solu zione della fiaba psicologica sembra essere positiva, nel Piccolo Zaches, detto Cinabro il motivo magico-surreale (sor tilegi di fate benigne o ma lefiche, prodigi di negroman ti, poteri sovrannaturali) e la gustosa satira della pedantissima cultura accademi ca e delle minuscole corti assolute della Germania si concludono invece in una cru dele tragedia, nella morte del nano eroe del racconto che annega in un vaso da notte. E’ questo il senso ama ro in cui, per il nichilismo esistenziale di Hoffmann, la vita â— secondo la celebre e fortunata frase di Conrad â— è una cosa buffa. Letto 1668 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||