Libri, leggende, informazioni sulla città di LuccaBenvenutoWelcome
 
Rivista d'arte Parliamone
La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

LETTERATURA: I MAESTRI: Le gambe corte

20 Ottobre 2011

di Virgilio Lilli
[dal “Corriere della Sera”, mercoledì 13 maggio 1970]

Mi ricordo di quand’ero soldato. Mi ricordo dei miei vent’anni al reggimento. Mi ricordo l’« istruzione a piedi » in caserma e le marce d’ad ­destramento in campagna. Mi ricordo la sofferenza che mi davano le gambe. Non le gam ­be mie, bensì le gambe degli altri, di alcuni altri miei com ­militoni. Le gambe corte.

Al reggimento vigeva la « teoria » delle gambe corte (e credo viga tuttora non so ­lo in quel reggimento â— se pure esso è sopravvissuto agli avvenimenti che da oltre trent’anni sono passati sull’esercito italiano â— -ma in tutti i   reggimenti del mondo). Era una teoria piuttosto elemen ­tare: in testa al reparto stan ­no i soldati più piccoli, quel ­li dalle gambe corte, in coda stanno i più grandi, quelli dal ­le gambe lunghe. I più bassi in primissima fila, i più alti in ultimissima. Tale teoria si basava su un principio di giustizia: il passo doveva essere eguale per tutti, per gli alti e per i bassi.

I sergenti ce lo avevano spiegato fin dal primo giorno Ci avevano detto: « Se in te ­sta ci mettiamo gli spilungoni, come fanno a stargli dietro i piccoli? ». Così dicendo essi guardavano noi alti con oc ­chio beffardo. Dicevano: « Mettere gli alti in testa si ­gnificherebbe sfasciare l’unità del reparto, perché col passo lungo degli alti â— che i bas ­si non possono fare â— il re ­parto si dividerebbe in tanti gruppi che marcerebbero a ve ­locità diverse: il gruppo degli alti se ne andrebbe per conto suo e a un certo punto si per ­derebbe di vista; poi verreb ­bero, distanziati l’uno dall’al ­tro, ognuno per suo conto, i gruppi dei meno alti ».

« Chi lo comanderebbe più un reparto di questo genere? â— gridavano i sergenti. â— Come farebbe a sentire un co ­mando che è uno solo per tutti? ». Si mettevano improv ­visamente a sghignazzare: « Se il Padreterno a quelli alti gli ha dato le gambe lunghe, che colpa hanno i bassi delle loro gambe corte? ».

 

*

 

Mi ricordo il martirio delle ore di istruzione a piedi, dicevo. Al grido dei sergenti che scandivano l’uno-due con voce tagliente, percorrevamo decine di volte in lungo e in largo il cortile della caserma: Avanti-march! Compagnia alt! Riposo! Attenti! Avanti-march! Per fila destra-destr! Per fila sinistra-sinistr! Un-due, un-due! In testa alla compagnia i nostri compagni piccoli muovevano le loro gambette con diligenza e mar ­zialità; e noi « spilungoni », in coda, facevamo passi rat ­trappiti, da donnette per la nostra statura.

La crisi si produceva ai « dietro-front », quando erava ­mo noi alti a trovarci in te ­sta e, senza che ce ne avve ­dessimo, pur rimanendo lo stesso il ritmo degli un-due dei sergenti, il nostro pas ­so assumeva automaticamente un’ampiezza doppia: i piccoli erano allora costretti ad al ­lungare le gambe penosamen ­te, sudavano, il reparto si fra ­zionava nonostante gli ultimi si mettessero addirittura a cor ­rere. Alla vista di quel caos i sergenti perdevano la testa, davano l’alt urlando con la bava alla bocca. Il reparto si fermava sui due piedi tutto spezzato. Per rimettere le co ­se a posto non avevano altro mezzo che ordinare immedia ­tamente il dietro-front. La compagnia si ricomponeva, noi alti, di nuovo in coda, riprendevamo a muoverci co ­me paralitici.

Durante le marce di cam ­pagna, per avvezzare gli alti ai passi piccoli, i sergenti si rifiutavano di dare il cosiddetto-passo di strada, conti ­nuavano a gridare i loro un-due per ore e ore. Finiva così che, a servizio militare ulti ­mato, i soldati alti avevano preso l’abitudine del passo corto dei bassi. I piccoli l’a ­vevano avuta vinta sui grandi i quali si erano dimensionati sulla misura minima rinun ­ciando automaticamente alla massima concessagli dalla na ­tura.

 

*

 

Era una « teoria » buona o cattiva?

La « teoria » delle gambe corte, nonostante la sua estre ­ma elementarità, domina il nostro secolo. E’, anzi, la sua elementarità a conferirle una forza formidabile. La sua chiarezza cristallina ha una carica di persuasione che non può trovare obbiezioni valide. Che colpa hanno i bassi se il Padreterno gli ha dato le gam ­be corte?… Per obbligare gli alti a stare coi bassi non c’è che fargli fare il passo corto dei bassi… Il passo è uguale per tutti. Unica differenza è che non si tratta solo delle gambe: si tratta di tutto, delle gambe, del cervello, del cuore, dei nervi. Non si tratta più del passo: si tratta dell’intel ­ligenza, dei sentimenti, dell’umore. Non si tratta più dell’istruzione militare: si trat ­ta delle vocazioni, delle aspi ­razioni, della volontà, della cultura, dell’educazione, del gusto. Né si tratta del repar ­to, si tratta della società. E non, infine, del servizio di le ­va; si tratta della vita.

Una esemplificazione sia pu ­re non sistematica, a caso? Ecco, la tendenza alla rarefa ­zione dell’insegnamento delle lingue classiche nelle scuole risponde perfettamente alle possibilità dei bassi, obbligan ­do gli alti al loro passo ri ­dotto. L’abolizione del diretto rapporto di gerarchia fra co ­lui che insegna e colui che apprende indulge alla carenza di serietà dei bassi e costrin ­ge gli altri ai passettini della indisciplina. L’intervento di chi siede sul banco di scuola nella formulazione dei piani di studio; la riduzione delle materie d’esame a piacimento del candidato; l’aumento sen ­za limitazione delle sessioni di esame; la interferenza dello scolaro come giudice dell’insegnante; lo sciopero contro le materie di studio, l’occupazione delle scuole da parte dei bocciati, siano scuole ele ­mentari o universitarie: tutto ciò, per quanto riguarda la istruzione della società, è pra ­ticamente una rivoluzione di gambe corte.

Il rigoglio della musica leggera al posto della musica-musica risponde alle esigenze dei bassi, obbliga, l’orecchio degli alti al limite della capa ­cità dei bassi. Potrebbe defi ­nirsi una musica da orecchie corte, corte nel diametro del timpano vale a dire nella ido ­neità ad assimilare la musica degna di tale nome. Abbia ­mo sotto gli occhi, più che sotto gli orecchi, un trionfo di prodotti musicali da super ­market percepibili da tutti i timpani come i passi corti possibili a tutte le gambe.

Nel giro di alcuni decenni abbiamo visto il sesso diveni ­re una mercanzia di vendita boulevardière, alla portata del ­le tasche nervose e mentali delle masse, in razioni in sca ­tola, sia la scatola della stam ­pa più o meno pornografica, sia la scatola del cinema, sia la scatola della narrativa e perfino la scatola della pub ­blicità. Smercio di sesso a gambe corte, ai minorenni, ai frustrati, ai pigri, agli inverti ­ti, ai riottosi. Un fenomeno che esclude la conquista del bene sessuale con l’impegno individuale di capacità natu ­rali che presuppongono forza di volontà, iniziativa, aggres ­sività, vigore e potenza di im ­maginazione.

 

*

 

Ancora nel giro di alcuni anni abbiamo visto molti scienziati mutarsi in tecnici, o perlomeno la scienza spo ­gliarsi spesso del rigore dot ­trinale per assumere una ve ­ste utilitaria (e a volte stret ­tamente edonistica) capace di essere passata al filtro di vol ­garizzazioni anche grossolane, raccattata poi dai giornali in rotocalco o dai documentari cinematografici in chiave pizzicosa di « educazione sessua ­le » o sotto l’alibi dilettante ­sco dell’indagine psicologica o della sperimentazione sociolo ­gica. Non che la scienza ab ­bia rinunciato ai suoi itine ­rari austeri di ricerca e di sca ­vo puramente analitici, ma che abbia non di rado indos ­sato abiti da gambe corte, questo sì: basti l’esempio di quel Barnard il quale, allo stesso tempo che demolisce mirabilmente il mito del cuo ­re, viene messo (e si lascia mettere) al livello delle stelle dello strip-tease.

E la poesia si è arresa al giornalismo; e la filosofia ha attraversato la corrente del fiume del pensiero per appro ­dare alla riva sabbiosa di una sociologia condizionata da ideologie politiche troppo spes ­so ignare della economia e dei suoi ferrei dettati. E gli artisti non hanno avuto esi ­tazioni nel mercificare le loro opere destinandole alle quota ­zioni profane dei mercati o nell’imboccare le strade della propaganda; e i moralisti han ­no accolto con piacere le pos ­sibilità di recitare il ruolo di predicatori da strapazzo dalla vanitosa finestrella convessa del video. E quanti sacerdoti non sono entrati nelle file de ­gli agenti elettorali?

Gambe corte. La canzonet ­ta che schiaccia la sinfonia, il cinema che schiaccia il tea ­tro, il cartellone pubblicitario che schiaccia il quadro, lo stadio che schiaccia lo sport; senza contare la civiltà dei consumi che schiaccia la se ­renità, per adoperare una pa ­rola detestata, dell’anima. Tut ­to ciò (e gli esempi potreb ­bero continuare per intere pa ­gine forse non senza superfi ­cialità ma sempre con perti ­nenza), tutto ciò sta cambian ­do il volto del mondo in un vivido tormento d’uomini e paesi.

Mentre finalmente intere nazioni adottano in blocco il tenore di vita dei ricchi sia pure miniaturizzato per le possibilità dei poveri, la « teo ­ria » dei sergenti della mia lontana giovinezza ha per ­meato le fibre più intime del ­la nostra vita, ponendoci da ­vanti a un interrogativo al quale forse potranno rispon ­dere un giorno solo i nostri figli o addirittura i figli dei nostri figli: i sergenti avevano ragione o avevano torto?

 


Letto 1437 volte.


Nessun commento

No comments yet.

RSS feed for comments on this post.

Sorry, the comment form is closed at this time.

A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart