LETTERATURA: I MAESTRI: Le gambe corte20 Ottobre 2011 di Virgilio Lilli Mi ricordo di quand’ero soldato. Mi ricordo dei miei vent’anni al reggimento. Mi ricordo l’« istruzione a piedi » in caserma e le marce d’ad destramento in campagna. Mi ricordo la sofferenza che mi davano le gambe. Non le gam be mie, bensì le gambe degli altri, di alcuni altri miei com militoni. Le gambe corte. Al reggimento vigeva la « teoria » delle gambe corte (e credo viga tuttora non so lo in quel reggimento â— se pure esso è sopravvissuto agli avvenimenti che da oltre trent’anni sono passati sull’esercito italiano â— -ma in tutti i reggimenti del mondo). Era una teoria piuttosto elemen tare: in testa al reparto stan no i soldati più piccoli, quel li dalle gambe corte, in coda stanno i più grandi, quelli dal le gambe lunghe. I più bassi in primissima fila, i più alti in ultimissima. Tale teoria si basava su un principio di giustizia: il passo doveva essere eguale per tutti, per gli alti e per i bassi. I sergenti ce lo avevano spiegato fin dal primo giorno Ci avevano detto: « Se in te sta ci mettiamo gli spilungoni, come fanno a stargli dietro i piccoli? ». Così dicendo essi guardavano noi alti con oc chio beffardo. Dicevano: « Mettere gli alti in testa si gnificherebbe sfasciare l’unità del reparto, perché col passo lungo degli alti â— che i bas si non possono fare â— il re parto si dividerebbe in tanti gruppi che marcerebbero a ve locità diverse: il gruppo degli alti se ne andrebbe per conto suo e a un certo punto si per derebbe di vista; poi verreb bero, distanziati l’uno dall’al tro, ognuno per suo conto, i gruppi dei meno alti ». « Chi lo comanderebbe più un reparto di questo genere? â— gridavano i sergenti. â— Come farebbe a sentire un co mando che è uno solo per tutti? ». Si mettevano improv visamente a sghignazzare: « Se il Padreterno a quelli alti gli ha dato le gambe lunghe, che colpa hanno i bassi delle loro gambe corte? ».
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Mi ricordo il martirio delle ore di istruzione a piedi, dicevo. Al grido dei sergenti che scandivano l’uno-due con voce tagliente, percorrevamo decine di volte in lungo e in largo il cortile della caserma: Avanti-march! Compagnia alt! Riposo! Attenti! Avanti-march! Per fila destra-destr! Per fila sinistra-sinistr! Un-due, un-due! In testa alla compagnia i nostri compagni piccoli muovevano le loro gambette con diligenza e mar zialità; e noi « spilungoni », in coda, facevamo passi rat trappiti, da donnette per la nostra statura. La crisi si produceva ai « dietro-front », quando erava mo noi alti a trovarci in te sta e, senza che ce ne avve dessimo, pur rimanendo lo stesso il ritmo degli un-due dei sergenti, il nostro pas so assumeva automaticamente un’ampiezza doppia: i piccoli erano allora costretti ad al lungare le gambe penosamen te, sudavano, il reparto si fra zionava nonostante gli ultimi si mettessero addirittura a cor rere. Alla vista di quel caos i sergenti perdevano la testa, davano l’alt urlando con la bava alla bocca. Il reparto si fermava sui due piedi tutto spezzato. Per rimettere le co se a posto non avevano altro mezzo che ordinare immedia tamente il dietro-front. La compagnia si ricomponeva, noi alti, di nuovo in coda, riprendevamo a muoverci co me paralitici. Durante le marce di cam pagna, per avvezzare gli alti ai passi piccoli, i sergenti si rifiutavano di dare il cosiddetto-passo di strada, conti nuavano a gridare i loro un-due per ore e ore. Finiva così che, a servizio militare ulti mato, i soldati alti avevano preso l’abitudine del passo corto dei bassi. I piccoli l’a vevano avuta vinta sui grandi i quali si erano dimensionati sulla misura minima rinun ciando automaticamente alla massima concessagli dalla na tura.
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Era una « teoria » buona o cattiva? La « teoria » delle gambe corte, nonostante la sua estre ma elementarità, domina il nostro secolo. E’, anzi, la sua elementarità a conferirle una forza formidabile. La sua chiarezza cristallina ha una carica di persuasione che non può trovare obbiezioni valide. Che colpa hanno i bassi se il Padreterno gli ha dato le gam be corte?… Per obbligare gli alti a stare coi bassi non c’è che fargli fare il passo corto dei bassi… Il passo è uguale per tutti. Unica differenza è che non si tratta solo delle gambe: si tratta di tutto, delle gambe, del cervello, del cuore, dei nervi. Non si tratta più del passo: si tratta dell’intel ligenza, dei sentimenti, dell’umore. Non si tratta più dell’istruzione militare: si trat ta delle vocazioni, delle aspi razioni, della volontà, della cultura, dell’educazione, del gusto. Né si tratta del repar to, si tratta della società. E non, infine, del servizio di le va; si tratta della vita. Una esemplificazione sia pu re non sistematica, a caso? Ecco, la tendenza alla rarefa zione dell’insegnamento delle lingue classiche nelle scuole risponde perfettamente alle possibilità dei bassi, obbligan do gli alti al loro passo ri dotto. L’abolizione del diretto rapporto di gerarchia fra co lui che insegna e colui che apprende indulge alla carenza di serietà dei bassi e costrin ge gli altri ai passettini della indisciplina. L’intervento di chi siede sul banco di scuola nella formulazione dei piani di studio; la riduzione delle materie d’esame a piacimento del candidato; l’aumento sen za limitazione delle sessioni di esame; la interferenza dello scolaro come giudice dell’insegnante; lo sciopero contro le materie di studio, l’occupazione delle scuole da parte dei bocciati, siano scuole ele mentari o universitarie: tutto ciò, per quanto riguarda la istruzione della società, è pra ticamente una rivoluzione di gambe corte. Il rigoglio della musica leggera al posto della musica-musica risponde alle esigenze dei bassi, obbliga, l’orecchio degli alti al limite della capa cità dei bassi. Potrebbe defi nirsi una musica da orecchie corte, corte nel diametro del timpano vale a dire nella ido neità ad assimilare la musica degna di tale nome. Abbia mo sotto gli occhi, più che sotto gli orecchi, un trionfo di prodotti musicali da super market percepibili da tutti i timpani come i passi corti possibili a tutte le gambe. Nel giro di alcuni decenni abbiamo visto il sesso diveni re una mercanzia di vendita boulevardière, alla portata del le tasche nervose e mentali delle masse, in razioni in sca tola, sia la scatola della stam pa più o meno pornografica, sia la scatola del cinema, sia la scatola della narrativa e perfino la scatola della pub blicità. Smercio di sesso a gambe corte, ai minorenni, ai frustrati, ai pigri, agli inverti ti, ai riottosi. Un fenomeno che esclude la conquista del bene sessuale con l’impegno individuale di capacità natu rali che presuppongono forza di volontà, iniziativa, aggres sività, vigore e potenza di im maginazione.
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Ancora nel giro di alcuni anni abbiamo visto molti scienziati mutarsi in tecnici, o perlomeno la scienza spo gliarsi spesso del rigore dot trinale per assumere una ve ste utilitaria (e a volte stret tamente edonistica) capace di essere passata al filtro di vol garizzazioni anche grossolane, raccattata poi dai giornali in rotocalco o dai documentari cinematografici in chiave pizzicosa di « educazione sessua le » o sotto l’alibi dilettante sco dell’indagine psicologica o della sperimentazione sociolo gica. Non che la scienza ab bia rinunciato ai suoi itine rari austeri di ricerca e di sca vo puramente analitici, ma che abbia non di rado indos sato abiti da gambe corte, questo sì: basti l’esempio di quel Barnard il quale, allo stesso tempo che demolisce mirabilmente il mito del cuo re, viene messo (e si lascia mettere) al livello delle stelle dello strip-tease. E la poesia si è arresa al giornalismo; e la filosofia ha attraversato la corrente del fiume del pensiero per appro dare alla riva sabbiosa di una sociologia condizionata da ideologie politiche troppo spes so ignare della economia e dei suoi ferrei dettati. E gli artisti non hanno avuto esi tazioni nel mercificare le loro opere destinandole alle quota zioni profane dei mercati o nell’imboccare le strade della propaganda; e i moralisti han no accolto con piacere le pos sibilità di recitare il ruolo di predicatori da strapazzo dalla vanitosa finestrella convessa del video. E quanti sacerdoti non sono entrati nelle file de gli agenti elettorali? Gambe corte. La canzonet ta che schiaccia la sinfonia, il cinema che schiaccia il tea tro, il cartellone pubblicitario che schiaccia il quadro, lo stadio che schiaccia lo sport; senza contare la civiltà dei consumi che schiaccia la se renità, per adoperare una pa rola detestata, dell’anima. Tut to ciò (e gli esempi potreb bero continuare per intere pa gine forse non senza superfi cialità ma sempre con perti nenza), tutto ciò sta cambian do il volto del mondo in un vivido tormento d’uomini e paesi. Mentre finalmente intere nazioni adottano in blocco il tenore di vita dei ricchi sia pure miniaturizzato per le possibilità dei poveri, la « teo ria » dei sergenti della mia lontana giovinezza ha per meato le fibre più intime del la nostra vita, ponendoci da vanti a un interrogativo al quale forse potranno rispon dere un giorno solo i nostri figli o addirittura i figli dei nostri figli: i sergenti avevano ragione o avevano torto?
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