LETTERATURA: I MAESTRI: Manzoni e la critica24 Agosto 2010 di Cesare Angelini Lanfranco Caretti nel presentare questa antologia della critica manzoniana (Manzoni e la critica, ed. Laterza, pp. 319, L. 1700) ha l’aria di scusarsi d’avere « antologizzato » anche se stesso « adoperando sue parole precedenti per costitui re le note introduttive e di primo orientamento critico che introducono ciascuna delle tre sezioni della prima parte del libro », che è poi quella che più prende e più conta: il noviziato poetico (1801-1809), la grande liri ca e il teatro (1810-1822), il romanzo e il suo matu rarsi attraverso le tre suc cessive stesure (1821-1840). In verità, la discreta presenza dei suoi corsivi ha il peso di un sapiente arbi traggio oltre che d’un ponte tra l’una e l’altra sezione, formando tutt’insieme uno dei capitoli più illumi nanti del volume. Il quale, dunque, è diviso in due parti: la prima rac coglie i giudizi dei critici in senso stretto, diremmo gli addetti al lavoro; l’altra, i giudizi degli scrittori, come dire i colleghi di lavoro. Ora, contando i critici che sono ventitré, più gli scrittori che sono diciannove, ne vien fuori un vistoso e mai visto schieramento di testimonianze da formare una autorevole linea critica del l’opera manzoniana, men tre si risolve in un omag gio al poeta grazie al qua le l’Italia moderna è riuscita ad avere una grande letteratura. Su tutti, si alza il De Sanctis coi suoi grandi capi toli di fondatore della cri tica manzoniana: il Cristianesimo degli inni e il Realismo manzoniano, nei quali sostiene che la base idea le degli inni è sostanzial mente democratica, « è l’i dea del secolo evangelizzata ». Verità anche più po tentemente espressa nel ro manzo dove il cristianesimo è ricondotto alla sua idealità armonizzata con lo spi rito moderno. Cosi il De Sanctis individuava i gran di temi manzoniani, via via ripresi da quelli venuti do po di lui per le impostazio ni di fondo dei loro scritti critici. Inni e romanzo Non parve giovarsene lo stesso Carducci? Al quale, dopo la leggenda d’una sua avversione giovanile al Manzoni, bastò entrare in Lombardia e spingersi fino a Lecco, per sentire il volo dell’aquila lombarda e di chiarare che «negli inni, così schivi di dogmatica, vedeva risplendere i princi pi della rivoluzione »; do lendosi, lui che amava la gran poesia in versi, che il Manzoni «giunto alla mag gior potenza della sua fa coltà poetica coi cori dell’Adelchi e con la Penteco ste, ristesse »; ma conso landosi che poi, vòltosi alla prosa del romanzo, « rin novasse la coscienza lette raria e civile di nostra gen te con la verità che, intuita in tutti i suoi aspetti, di veniva per se stessa idea lità ». Più spicco, forse, merita va il Croce, il quale col suo criterio di « poesia e non poesia », trova che le liri che e l’Adelchi rappresen tano veramente la poesia del Manzoni per il libero moto che vi scorre delle pas sioni, e quindi per un’au tentica vibrazione poetica; mentre nel romanzo si ini zia â— dice â— il periodo della riflessione morale e della prosa a danno della fantasia. Ne deriva che il carattere del romanzo, più che poetico è oratorio e di propaganda, rispondendo a un proposito etico. Dell’e quivoco si rese conto lo stes so Croce nei suoi ultimi tempi, confessando di tro vare nel romanzo qualcosa di più di un’opera oratoria: un’opera di alta poesia. L’equivoco continuò ne gli scolari; nel Russo, per esempio, che torna a chie dersi: â— Poeta an orator? E, da buon scolaro, calcò la mano, e mise sotto ac cusa non soltanto il ro manzo ma anche la lirica, in ogni sua parte, trovan dovi, con vicenda assidua, l’alternativa di momenti li rici, di momenti riflessivi e momenti di parenetica cat tolica. E’ da dire che que sta invenzione dell’orato ria in Manzoni, è caduta oramai con la scomparsa dei suoi sostenitori, sgon fiandosi come un fantoccio polemico. Se il Croce e i suoi han no letto il Manzoni por tandovi qualche diffidenza, per i loro pregiudizi este tici e morali, altri lo han no letto con una più umile disposizione di partecipa zione e di consenso, avvi cinandosi meglio alla sua verità: il Momigliano. Nes suno ci ha insegnato a leg gerlo meglio di questo pro bo israelita, e a capirne l’anima e l’arte e il pro fondo senso cristiano; sicché il suo resta un com mento perpetuo alle liriche, ai drammi, al romanzo che egli intende « come un poe ma ». E trova la ragione della sua armonia («Dio gli ha dato un po’ della sua armonia ») nella fede, la quale « è la chiave che ha aperto alla fantasia del Manzoni le porte del mondo e gliel’ha spiegato dinanzi in una chiarità contempla tiva che nessun altro poeta nostro ha conosciuto ». E dice anche: «Nel roman zo, le Osservazioni sono di ventate creature, un mon do vivo e luminoso ». Cecchi e Bacchelli E’ la finissima scoperta che svilupperà, più tardi, il De Robertis, quando nelle Osservazioni (sulla morale cattolica) sentirà già di lontano la voce di Federi co, o la verità che si fa creatura viva. Ascoltatore attentissimo di poesia, il De Robertis arriva in tempo a fare il bilancio di un lungo lavoro, di un’epoca; sopra tutto per quella sua capa cità dì ascoltare e assapo rare i valori verbali e gli echi e le voci segrete che si alzano dalle pagine, non senza un effetto di sugge stione. E, in fatto dì lingua, fu il primo a segnalare l’uso che il Manzoni ha fatto del Vocabolario milanese-toscano del Cherubini, o la prima sciacquata dei panni in Arno; magari per farci con cludere che, in fondo, era meglio l’Adda che l’Arno. Finissime cose dice an che il Cecchi, parlando deilla elaborazione del romanzo, cioè « percorrendo le grandi tappe attraverso le quali raggiunge la sua ul tima perfezione il più bel romanzo che sia mai sta to scritto, e la formida bile conquista poetica ». E pagine sostanziose scrive il Bacchelli sullo « sliricamento » (abbandono del verso, ripudio della lingua classica e poetica, con la creazione di un linguaggio nuovo, il parlato) e sulla « diseroicizzazione » o mor tificazione dell’ eroico, di ogni eroico, che non sia quello della Fede, ragione e gloria della sua poesia su prema. In questa linea di ammi razione consapevole dell’ar te manzoniana e del rico noscimento che essa culmi na nella rappresentazione del sentimento religioso, piace trovare anche il Sa-pegno che, in pagine sulla novità del Manzoni, affer ma che il romanzo « è una grande opera di poesia pro prio in virtù dei suoi pre supposti morali che hanno dato fastidio a più d’uno ». E aggiunge: «Proprio per il tramite della conversio ne e della adesione al cattolicismo, l’ideale morale del giovane Manzoni si riempie di un contenuto vero e acquista una for za espansiva, riconoscendosi nella faticata saggezza e nella secolare esperienza degli umili, e, inversamen te, il principio egualitario cristiano per la prima vol ta scende con lui dal cielo sulla terra e diventa crite rio di interpretazione e di scriminazione delle vicende storiche e degli atteggia menti umani ». Coi critici o lettori del poeta per amore di poesia, si mescolano, negativi e il legittimi, i « progressisti » che nella lettura del poeta portano i loro umori infe lici e le loro passioni di par te e di partito. Gramsci, per esempio; che parlando de gli umili nei Promessi spo si (fra Galdino, il sarto, Renzo e la stessa Lucia) di ce che il Manzoni li presen ta « in maniera sprezzante e ripugnante »; dice che « i popolani per il Manzoni non hanno vita interiore né personalità morale, ma sono animali, e il Manzo ni è benevolo verso di loro della benevolenza di una cattolica società di prote zione degli animali ecc. ». Opinioni imprudenti e in giuriose che nascono quan do uno legge il Manzoni pensando a Marx. Canoni marxisti Della stessa parrocchia è il Moravia, viziato delle stesse ideologie, rispettabili nella vita, ma assurde quan do si prendono come crite rio di giudizio in sede let teraria. Lette le sue pagine (accuse di decadenza, di oratoria, di propaganda, di presenza ossessiva della re ligione) non si sa da dove incominciare per ribatter le, tanto sono poi contrad dittorie. Ma siamo grati al l’antologia che le fa subito seguire da quelle ariose e divertite del Gadda; il qua le, col suo sano senso mila nese e manzoniano, s’inca rica di smontarle tutte, a una a una, e gli oppone « ciò che incanta in quel li bro, e incanta massima mente un lombardo ». Nel nostro elenco, ci sia mo fermati particolarmente sui nomi che nell’antologia sono presenti con saggi o trattazioni di problemi o esperienze fondamentali che più direttamente aiutano la formazione della critica manzoniana e, coi loro ri sultati, ne segnano e deter minano il progresso. Ma altri sono presenti con saggi e contributi tut-t’altro che secondari, an che se parziali e di aspetti minori. Il Baldini, per esempio, a cui l’epilogo del romanzo pare una cosa a se stante, quasi un passag gio dal romanzo storico al la novella borghigiana. O il Contini, che nel Cànone della Messa rintraccia l’onomastica manzoniana con pia e argutissima sagacia. Il Raimondi, che negli inni sacri vede una svolta capitale nella storia del Manzoni, dov’è in gioco tutto il suo futuro di romantico. Il Migliorini, che trova la grande innovazione manzoniana della lingua nel trasformare una disputa di letterati in un problema civile. Il Terracini, che pe netrando nel mondo lessi cale del Manzoni, cerca « le parole umane e fraterne ». E chiudiamo con uno sti molante avvertimento del De Sanctis, che par racco gliere il senso del nostro discorso: « Ora ci siamo ri svegliati e cominciamo una nuova storia; e la pietra miliare della nostra nuova storia è questo romanzo, dove risuscita con tanta potenza il senso del reale e della vita ». Letto 2833 volte. Nessun commentoNo comments yet. 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