LETTERATURA: I MAESTRI: Pampaloni indaga la vocazione tragica di Moravia12 Gennaio 2016 di Cesare Garboli ALBERTO MORAVIA E’ una lieta sorpresa di questa ma gra invernata letteraria la ristampa nella nuova collezione dei Classici Bompiani dei due primi romanzi di Alberto Moravia, Gli indifferenti (1929), e Le ambizioni sbagliate -(1935), riuniti insieme nel primo volume di una nuova e lussuosa serie di Opere complete. A parte il piacere di rileg gersi Moravia, e di constatare quan to poco sia invecchiata la sensaziona le giovinezza di quel ventenne pro digio, che nel frattempo è diventato un classico. La costosa ristampa of fre un secondo motivo di interesse: la prefazione di Geno Pampaloni, po co più di trenta pagine di introdu zione a tutta l’opera narrativa moraviana. Si vorrebbe definirla un pezzo d’arte, questa inaspettata prefazione: più che un « ritratto » di Moravia, anche se questo è poi l’intento ultimo di Pampaloni, una composizione a sé stante, la « toccata » di un solista vir tuoso, che si cimenta con un tema e sta tutto assorto alla fuga dei motivi, tutto concentrato sui suoi strumenti, incurante di scena e di platea. Può essere che alla perfetta riusci ta del ritratto pampaloniano abbia contribuito anche la sede tecnica del saggio, a metà tra la ricerca e l’affa bile e colloquiale presentazione. Ma quello che colpisce, di queste pagine, con la forza di un bene irrimediabil mente, e, chi sa, forse giustamente perduto, è la pulizia della meditazio ne critica, il disinteresse intellettua le della ricerca, il gusto della verifi ca morale dei metodi d’indagine: la risonanza di una tradizione, in una parola, l’accento del passato. Sia come volete, sembra dirci Pampaloni, sen za nemmeno troppa voglia di persua dere, ma questa, che voi vedete, la religione delle lettere, questa è la « critica ». A prima vista, si ha l’impressione che Moravia sia affrontato da Pampaloni a tu per tu, frontalmente. Poi, ci si accorge a poco a poco del pre meditato effetto ottico. Il critico ingag gia col suo autore, come se si trattas se di un avversario, un duello a di stanza, spiandolo nei punti indifesi, variando di volta in volta gli appo stamenti storici, ideologici, psicologi ci, e lasciando che ai lunghi insegui menti si avvicendino improvvise, im pazienti zuffe di idee. Spesso, duettando con Moravia, Pampaloni canta a sua volta, o sottintende ipotesi che vanno oltre la loro immediata verbalizzazione. Eccitato dalla fantasia del lo scrittore, non può fare a meno di prestargli un ordine di pensieri che gli sonnecchiano in corpo, come a pro posito dell’ultimo Moravia: « L’uomo moderno è uno strumento sempre più perfetto di indagine; ma l’oggetto di tanta dovizia di ricerca è, per defini zione, l’inconoscibile. La crisi, questa è l’intuizione del “terzo” Moravia, è innanzi tutto crisi del male. La gran de prigione non è più il vizio, la col pa, ma la tautologia, l’inerzia della dialettica morale. L’utopia non è più la bontà, o la giustizia, ma l’inter pretazione ». E’ questo un bell’esempio del pun to « caldo » nel quale un critico si tra sforma in saggista. E a mio parere, anche un esempio di quanto un letto re possa inventare quello che uno scrit tore è, citando se stesso e centrando con precisione il bersaglio altrui. Nel lo spazio di poche battute, una raffi ca di luce investe la personalità moraviana nel suo arco. Superiore capa cità di immedesimazione, eterna vir tù mimetica del « critico »? Non ha poi troppa importanza che attraver so il tracciato pampaloniano ci si tro vi tra le mani, alla fine, un Moravia perfettamente ridipinto, messo insie me musivamente con elementi tutti probabili. Si tratta di un Moravia ve ro? Di un Moravia finto? Ai veri cri tici, Pampaloni lo sa benissimo, non piace la verità, ma il mistero. C’è piuttosto da segnalare il singo lare manierismo, non esente da vezzi arcaizzanti, con il quale Pampaloni ha costruito la sua prefazione. A Pampaloni interessava ambientare il Mo ravia artista, riguadagnandolo al grande realismo dei classici e sottraendolo, sia pure in parte, ai parametri del Novecento. Ma nello stesso tempo gli premeva qualche cosa di più, cioè attrarre lo scrittore verso il polo di una problematica che mentre sem bra appartenere strettamente a Moravia, in realtà è una problematica tout court, insomma la « problematica del la verità ». In una luce appena fuori del tempo, simili a spiriti magni rac colti in un vivido cerchio assediato da tenebre, il « critico » e lo « scrit tore », diverse incarnazioni dello spi rito, ci vengono incontro e colloquia no di noi, della vita, della storia, del la società, del futuro, con gesti ampi e solenni. Facce di una stessa meda glia, personaggi di uno stesso copione, figure di un gioco che trascende noi e loro. Ecco la ragione per la quale Pampaloni manierizza se stesso e in tanto lascia volentieri Moravia al suo mistero. Mentre il critico fa mostra di riallacciarsi a modelli di scuola psi cologica (Sainte-Beuve) e idealistica (De Sanctis), appena corretti dal suo Pancrazi, egli ci nasconde invece la sua vera, religiosa, ascendenza. Come tutti i critici di formazione idealistica, Pampaloni mette in evi denza, di Moravia, in primo luogo un aspetto dialettico. « Coesistono in Mo ravia due moralismi, due flussi di tensione nel giudizio sulla realtà. Il primo è un giudizio, e un’acuta vo lontà di giudizio, sulla società. Il se condo è un giudizio, e una così fatale conoscenza del male che è qua si sospensione del giudizio, sull’uomo. Il primo moralismo è di carattere sto rico, e si appunta contro la società borghese decadente. Ecco allora lo scrittore battere contro i tabù, le ipocrisie, la corruzione intellettuale e morale della società… L’altro morali smo si apparenta al primo perché sembra avere l’identico bersaglio, che è l’uomo contemporaneo italiano, figlio di codesta società borghese invecchia ta. Ma trascorre di colpo alla corru zione dei sentimenti, alle stigmate nere del personaggio-uomo. Qui sono in primo piano gli antichi vizi, l’ava rizia, la libidine, la vanità, la fro de, che costituiscono l’oggetto della psicologia morale. Il poeta di questo secondo moralismo è il narratore rea lista, che lavora su una materia anti ca quanto il mondo. A lui appartiene quella vena “religiosa”, cupa, senza speranza, che il Moravia si riconosce e che per molti è difficile da ritro vare ». Personalmente avrei messo i due modi d’essere moraviani, più che non abbia fatto Pampaloni, in forte, irri solvibile opposizione e conflitto. Per essere autentico, dialetticamente com plementare, il Moravia ribelle alla so cietà borghese, contestatore e anticon formista, esigerebbe a contrasto una visione in progresso della storia e del l’uomo, un’idea « sartriana », per co sì dire, della vita, che il Moravia nero e giansenista non possiede. Il mondo, per Moravia, è quello che è. Esiste tuttavia una dialettica tra le opposi zioni moraviane, ma esiste soltanto in riferimento alla vocazione tecnica del lo scrivere, ed è questo un punto da sottolineare due volte in rosso. Esse re scrittore, per Moravia, è il solo mo do di tollerare in se stesso una con vivenza schiacciante di opposti, poi ché gli opposti non appartengono a lui, ma alla struttura della realtà, che non è divenire ma ritmo di distruzione. E’ come dire che Moravia è un gran de scrittore, e lo è. Un grande scrittore che « vede » la vita e la rifiuta in blocco, che c’è e non c’è, che è sempre dentro e sem pre fuori. E’ anche come dire che Moravia coincide con la fatalità del suo pseudonimo. La sua vita, dopo Gli indifferenti, non è stata altro che la funzione di scrivere. E’ naturale che questo scrittore senta oggi come problema essenziale, da cui non si può uscire, la tautologia. Moravia vi ve solo quando si esprime come « scrittore ». Quello che annientereb be chiunque altro, la tensione delle opposizioni, lo fa essere. Non vorrei essere irriverente, ma la definizione più pertinente di Moravia è quella di uno schizofrenico che funziona per fettamente. Esempi della radicalità delle opposizioni moraviane? Moravia è scrittore tragico, e nello stesso tem po nessuno come lui percepisce la falsità dei fatti, la teatralità delle azioni. La sua vocazione tragica, di tipo am letico, si ritorce contro se stessa. Mo ravia sa pensare, possiede il dono del l’ingegneria mentale, ma si annoia a connettere idee, si angoscia a concate nare i pensieri, come chi ritiene che non vale la pena di costruire case, quando la vita esige la loro demoli zione. Terzo esempio: quando usciro no Gli indifferenti, Moravia si ribel lava, si sa, al fascismo, alla borghe sia, alla « realtà ». Ma nello stesso tempo rifiutava anche la contropartita della « poesia », quello che era a por tata di mano: la poesia come figura del Bene, come sguardo supremo e abbracciante, come visione telescopica (diceva Proust) della vita. La poesia, in una parola, come som ma di valori « romantici ». Già allora, fin da quel libro pieno di pianto, Mo ravia imparava ad asciugarsi le lacrime. Non ha mai parlato, questo scrit tore, in nome dell’identità della Vita e della Poesia. L’aridità che gli è sta ta rimproverata era istintiva diffiden za verso valori astratti dal « male », dalla corrotta ma vitale matrice del le cose. Più che della poesia, Moravia si in namorava, fin dagli Indifferenti, della realtà. La poesia, il vero « altro » è qui, per Moravia. Sia detto una volta per tutte, è stata questa la sua grandezza, poiché c’è voluto dell’eroismo, credo, a percorrere fino in fondo questa stra da anti-decadente, stretta e difficile. Era necessaria quella capacità di «solitudine continuamente rinnegata », che Pampaloni ha riconosciuto, in un passante ritratto dal vero, in una spe cie di nobile istantanea fisica incor porata nel diverso contesto della sua introduzione, sul volto « irrequieto, in sieme asciutto e apprensivo » dello scrittore.
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