LETTERATURA: I MAESTRI: Pascoli – Caselli. Silenzio, ho parenti16 Gennaio 2016 di Cesare Garboli GIOVANNI PASCOLI In quello stupendo, incosciente libro che è Lungo la vita di Giovanni Pasco li. la Mariù ci aveva già raccontato le vicende che condussero il Pascoli, su perata la crisi di gelosia per le nozze della sorella Ida, ad affittare una rusti ca villa nella campagna toscana. Inse gnante di liceo a Livorno, il Pascoli ignorava l’esistenza di Barga. Ma il poeta sta organizzando se stesso, sta già inventando, dopo la ricostruzione del nido familiare, dopo la riunione delle « colombelle spaurite » a Massa e a Livorno, la difficile, precaria fabbri ca della propria vita. Sembra guidato da un istinto infallibile. Va a Barga, la prima volta, nel settembre 1895, ac compagnato da un conoscente bargeo, il maestro Carlo Conti, amministrato re del collegio San Giorgio all’Arden za. Visita la casa, dà un’occhiata intor no, vede la Pania alta tra le nuvole, fir ma il contratto. Le Myricae sono di tre anni prima. In quello stesso autun no ’95, la mattina prestissimo del 15 ottobre, « con Gulì e i nostri uccellini in una gabbietta fatta fare apposta per il viaggio, partimmo in treno alla vol ta di Lucca, donde con una vettura, mandataci da Barga, ci avviammo per raggiungere Castelvecchio ». Dall’ottobre ’95 fino alla morte, ogni volta che potesse liberarsi dagli impe gni universitari, Pascoli abitò nella ca sa di Caprona, in cima al poggio di Ca stelvecchio. Trascorre a Barga le va canze del ’96 ci resta fino a tutto l’in verno e alla primavera del ’97, dimis sionario dalla cattedra di grammatica greco-latina a Bologna. Alle origini di queste dimissioni è una storia familia re, nemmeno un dissapore, ma una fu ga. Pascoli temeva d’incontrarsi, a Bo logna, con la sua bestia nera, il danna to, e certo più sciagurato di lui, fratel lo Giuseppe. Era tipo curioso, questo Peppino Pascoli, detto anche « il Pa- glierani tale da inventarsi storie di do lore, disgrazie inesistenti. E difatti si era presentato pochi anni prima, in male arnese, a Livorno, annunziando ai fratelli la morte della moglie e i ca si tristissimi della figlia. Fu rivestito, ospitato, si pianse con lui ». « Giusep pe », racconta la Mariù, « ripartì da ca sa dando segni di grande commozione. Gli si dettero denari; gli si dettero pu re, dietro sua richiesta, oggetti di ve stiario e di biancheria. Sembrerà in credibile, ma tanto la morte della mo glie quanto le cose riguardanti la figlia non erano per niente vere ». Frattanto il Pascoli era chiamato a tener cattedra a Messina. Son questi, tra il ’98 e il 1902, i suoi anni cruciali, tempo di vena ribollente, « impetuo sa ». Il poeta lavora a più cose, alle nuove antologie scolastiche, ai discor di, alle interpretazioni dantesche. Prende gioia perfino a insegnare. Or ganizza la sua ispirazione in una « poetica », definisce il suo « sociali smo patriottico », si costruisce una fisionomia di apostolo e vate in con correnza con Carducci e d’Annunzio. Porta avanti i Canti di Castelvecchio, ma ha già in mente il piano dei Convi viali, composta qualcuna delle Odi. Era arrivato a Messina in formazione, in crescita, ne esce ridipinto a nuovo. E’ il suo periodo difficile, splendido. Pascoli sa da dove gli viene la forza: dal « nido », dal campanile di Barga, dal suo felice trapianto in terra tosca na, che gli ha concesso di esistere. Mancano solo due cose, ormai, alla sua compiutezza: l’acquisto della casa di Castelvecchio, la cura meticolosa nella stampa delle sue opere. E a colmare le due lacune, senza neppure saperlo, di contribuire a erigere il monumento di un vivo, penserà un agiato dolciere, letterato e viaggiatore lucchese, Al fredo Caselli. « Se tu sei nulla, noi siamo nulli; / ché in tutto, Alfredo, simile io t’amo. / Per le fanciulle, per i fanciulli / noi lavoriamo… ». Per essere stata oggetto di attenzione da parte di pascolisti pri mari, il Pancrazi ed Emilio Cecchi, la figura del Caselli è ormai nota a tutti gli affezionati del Pascoli. Ma soltanto oggi vedono la luce, sempre a cura di Felice del Beccaro, dopo la raccolta parziale del ’60, tutte le lettere indiriz zate dal poeta al « prediletto degli amici lucchesi »: 556 pezzi tra lettere, cartoline postali e illustrate, telegram mi, biglietti. Può anche essere, come scrive il Cecchi, che questo materiale « costituisca uno dei più ricchi deposi ti e cafarnai della biografìa pascoliana ». Certo quello che avvince, in que ste lettere, è la suspense, il thriller nella trattativa per l’acquisto della ca sa di Barga. Che storia! La compra, non la compra, il Pascoli passa da uno stato d’animo all’altro, in « un suppli zio infernale d’acqua bollente e d’ac qua gelata ». C’è un litigio coi contadi ni, la famiglia Arrighi: o vanno via lo ro o Pascoli non compra. Corrono let tere anonime, saltano fuori ipoteche, doppiezze, persecuzioni. « Oh i miei canti! con che cuore vuoi che canti an cora un campanile che non vedrò più!… Era il mio capolavoro! Accidenti alla borghesia ladra, bugiarda, infame, luida! ». Ma ci siamo, la compra. « Oh Serchio nostro! Dunque, no stro. Siamo decisi… il Dio di Mariù mi aiuterà. E avrò conquistato il mio ni do con gran fatica. A proposito, fa che non si sappia, specialmente pei giorna li, l’acquisto che è destinato a farsi: ho parenti! ». E’ un urlo che viene dal cuore. Ed è l’ombra del bugiardo Peppino, che torna a riaffacciarsi, a sca denze improrogabili come le cambiali, all’anima del povero, angustiato Zvanì. Letto 1166 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||