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LETTERATURA: I MAESTRI: Peter Bichsel

12 Marzo 2016

di Giuliano Gramigna
[da “La fiera letteraria”, numero 14, giovedì, 4 aprile 1968]

PETER BICHSEL
Il lattaio
Mondadori, pagine 89, lire 800.

Davanti ai ventun racconti, an ­zi raccontini (in genere una pagi ­na e mezzo, due) di Peter Bichsel, raccolti sotto un titolo che nell’originale tedesco è, quasi per ironia, estremamente lungo: « La signora Blum vorrebbe proprio conoscere il lattaio », l’atteggia ­mento più onesto e dunque più salutare è di ridurre al minimo il margine del commento, della pro ­pria speculazione di lettori. Al li ­mite, per essere coerenti con il carattere di questa narrativa (si usi solo per comodità il termine convenzionale), una volta con ­dotta materialmente a termine, la lettura dovrebbe risprofondare nel nulla, non lasciare nessun re ­siduo sotto forma di emozione o ricordo od opposizione polemica.

I racconti di Bichsel, nel loro nocciolo, sono delle pure e sem ­plici constatazioni: operata la constatazione non resta proprio niente da aggiungere, meglio: non resta proprio niente. Guar ­dare la propria mano, un foglio, una matita ecc. non dovrebbe im ­plicare altro che questo guarda ­re, l’accertamento dell’esser-lì di questi oggetti o « corpi »; a meno che non ci si aggiunga subito una frangia, trasformandoli in simboli ossia in portatori di mes ­saggi. Il messaggio di un raccon ­to di Bichsel è che non porta nes ­sun messaggio. Tutto ciò è abba ­stanza sconvolgente per chi sia abituato a considerare la lettera ­tura come una presenza che la ­scia tracce. Paradossalmente, questi raccontini sono letteratura proprio ignorando i canoni della letteratura: dico ignorando e non rifiutando, perché alla loro estra ­neità, imperturbabilità e per dir così autodistruzione non ineri ­sce nessuna intenzione polemica o paradossale.

Peter Bichsel è un insegnante svizzero, nato a Lucerna nel ’35, che vive a Zuchwil nel cantone di Solothurn: fece spicco nella riunione del Gruppo 47, in Sve ­zia, nel 1964 e poco dopo uscì la sua prima raccolta di testi, ap ­punto Il lattaio; nel novembre scorso è apparso il suo primo ro ­manzo intitolato Le stagioni. Una carriera astratta da preoccupazio ­ni di letteratura ossia di strategia letteraria; nell’introduzione al volume mondadoriano Giorgio Zampa ne traccia il profilo utile per un giudizio critico e indica pertinentemente certi rimandi a un filone della letteratura di lin ­gua tedesca da avvicinare a Bich ­sel.

Per questi racconti non si può parlare né di fatti né di perso ­naggi. Piani è la descrizione, ma nemmeno molto minuziosa anzi proprio generica, di un casamen ­to di quattro piani: essa è sostan ­zialmente costruita su due valori numerali che ne costituiscono l’intelaiatura non fonica ma pro ­priamente geometrica: « Primo piano… secondo… terzo… Al se ­condo piano abita… Il quattro di Aprile… La bambina del terzo pia ­no… Ogni quindici giorni qualcu ­no… » : a questi numeri non si può attribuire nessun valore al ­lusivo, simbolico, non sono nien ­te altro che numeri eppure pro ­prio essi formano il racconto. Al ­trove, come in Fiori, l’elemento-pilota, l’elemento-base è la parola « fiore », destituita di ogni emoti ­vità o semanticità, ridotta a puro oggetto per la composizione: si potrebbe parlare di tema se si riuscisse a detrarre dal termine ogni idea di affabulazione, di ro ­manzesco e se lo si accettasse nello stesso senso in cui, ad esempio, una sedia è il tema di se stessa. Il gioco delle carte presen ­ta il signor Kurt che per tutta la vita, al caffè, osserva un tavolo dì giocatori; Il lattaio informa semplicemente dell’esistenza di un anonimo lattaio e di una si ­gnora Blum che egli rifornisce giornalmente di latte e burro.

La rudimentalità, l’approssima ­zione dei testi di Bichsel sono del tutto ingannevoli. Non ci si im ­batte qui nella restituzione del brivido esistenziale attraverso l’accumulo di una serie di dati grigi, quotidiani; nessun attimo preferenziale, nessuna folgorazio ­ne, questo è certo. La chiusa di Piani: « Le case sono case », an ­che se la richiama esteriormente, non ha proprio nulla a che fare con la famosa formula di Gertru ­de Stein: « Una rosa è una ro ­sa ». Alla parola non viene impo ­sto nessun carico magico e * poe ­tico », non viene fatta nessuna intimazione d’essenzialità: è una pura e semplice riduzione dell’og ­getto a se stesso, staccandolo da qualsiasi contesto. Ogni cosa, per ­sona, parola nei racconti di Bich ­sel si spicca così, si riferisce solo a se medesima non ad altre cose, persone, parole; non intrattiene legami ma non soffre di solitudi ­ne. Nel Lattaio, uno dei pezzi più efficaci, non si dà contatto diretto fra il lattaio e la signora Blum; al massimo essi comunicano indi ­rettamente attraverso qualche bi ­gliettino ma badando bene a non trasformare la giustapposizione di due monologhi in un inizio di dialogo. « ”Per carità” o ”di nien ­te” pensa allora il lattaio, e se lo scrivesse sul biglietto sarebbe già una corrispondenza in piena re ­gola. Non lo scrive ».

Bichsel non pare avere partiti presi: né quello di ridurre all’os ­so la realtà, né quello di metterla in dubbio magari nell’atto stesso dello scrivere. L’uso del condizio ­nale in certi racconti (Fiori, Lo zoologo) non manifesta il dubbio circa la realtà del narrare ma vuol dire semplicemente che ba ­sta un « progetto », un’ipotesi per avere già una realtà. Insomma: questa letteratura di inapparte ­nenza, di pura constatazione, che ignora più che rifiutare ogni pre ­stigio emotivo della letteratura, risulta alla fine una di quelle che negli ultimi anni hanno dato suo ­no più autentico. Di là dalla stes ­sa mitologia del « grado zero del ­la scrittura » essa si installa nello spazio del lettore con una tran ­quilla, ottusa, modesta ma ineli ­minabile presenza: una voce che parli come distrattamente, ca ­sualmente, senza nessuna prete ­sa; ma nello stesso tempo con una dispettosa puntigliosità di « cosa ». Bichsel ha raggiunto, ap ­parentemente senza preparazio ­ne, risultati piuttosto sorpren ­denti.


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