LETTERATURA: I MAESTRI: Peter Bichsel12 Marzo 2016 di Giuliano Gramigna PETER BICHSEL Davanti ai ventun racconti, an zi raccontini (in genere una pagi na e mezzo, due) di Peter Bichsel, raccolti sotto un titolo che nell’originale tedesco è, quasi per ironia, estremamente lungo: « La signora Blum vorrebbe proprio conoscere il lattaio », l’atteggia mento più onesto e dunque più salutare è di ridurre al minimo il margine del commento, della pro pria speculazione di lettori. Al li mite, per essere coerenti con il carattere di questa narrativa (si usi solo per comodità il termine convenzionale), una volta con dotta materialmente a termine, la lettura dovrebbe risprofondare nel nulla, non lasciare nessun re siduo sotto forma di emozione o ricordo od opposizione polemica. I racconti di Bichsel, nel loro nocciolo, sono delle pure e sem plici constatazioni: operata la constatazione non resta proprio niente da aggiungere, meglio: non resta proprio niente. Guar dare la propria mano, un foglio, una matita ecc. non dovrebbe im plicare altro che questo guarda re, l’accertamento dell’esser-lì di questi oggetti o « corpi »; a meno che non ci si aggiunga subito una frangia, trasformandoli in simboli ossia in portatori di mes saggi. Il messaggio di un raccon to di Bichsel è che non porta nes sun messaggio. Tutto ciò è abba stanza sconvolgente per chi sia abituato a considerare la lettera tura come una presenza che la scia tracce. Paradossalmente, questi raccontini sono letteratura proprio ignorando i canoni della letteratura: dico ignorando e non rifiutando, perché alla loro estra neità, imperturbabilità e per dir così autodistruzione non ineri sce nessuna intenzione polemica o paradossale. Peter Bichsel è un insegnante svizzero, nato a Lucerna nel ’35, che vive a Zuchwil nel cantone di Solothurn: fece spicco nella riunione del Gruppo 47, in Sve zia, nel 1964 e poco dopo uscì la sua prima raccolta di testi, ap punto Il lattaio; nel novembre scorso è apparso il suo primo ro manzo intitolato Le stagioni. Una carriera astratta da preoccupazio ni di letteratura ossia di strategia letteraria; nell’introduzione al volume mondadoriano Giorgio Zampa ne traccia il profilo utile per un giudizio critico e indica pertinentemente certi rimandi a un filone della letteratura di lin gua tedesca da avvicinare a Bich sel. Per questi racconti non si può parlare né di fatti né di perso naggi. Piani è la descrizione, ma nemmeno molto minuziosa anzi proprio generica, di un casamen to di quattro piani: essa è sostan zialmente costruita su due valori numerali che ne costituiscono l’intelaiatura non fonica ma pro priamente geometrica: « Primo piano… secondo… terzo… Al se condo piano abita… Il quattro di Aprile… La bambina del terzo pia no… Ogni quindici giorni qualcu no… » : a questi numeri non si può attribuire nessun valore al lusivo, simbolico, non sono nien te altro che numeri eppure pro prio essi formano il racconto. Al trove, come in Fiori, l’elemento-pilota, l’elemento-base è la parola « fiore », destituita di ogni emoti vità o semanticità, ridotta a puro oggetto per la composizione: si potrebbe parlare di tema se si riuscisse a detrarre dal termine ogni idea di affabulazione, di ro manzesco e se lo si accettasse nello stesso senso in cui, ad esempio, una sedia è il tema di se stessa. Il gioco delle carte presen ta il signor Kurt che per tutta la vita, al caffè, osserva un tavolo dì giocatori; Il lattaio informa semplicemente dell’esistenza di un anonimo lattaio e di una si gnora Blum che egli rifornisce giornalmente di latte e burro. La rudimentalità, l’approssima zione dei testi di Bichsel sono del tutto ingannevoli. Non ci si im batte qui nella restituzione del brivido esistenziale attraverso l’accumulo di una serie di dati grigi, quotidiani; nessun attimo preferenziale, nessuna folgorazio ne, questo è certo. La chiusa di Piani: « Le case sono case », an che se la richiama esteriormente, non ha proprio nulla a che fare con la famosa formula di Gertru de Stein: « Una rosa è una ro sa ». Alla parola non viene impo sto nessun carico magico e * poe tico », non viene fatta nessuna intimazione d’essenzialità: è una pura e semplice riduzione dell’og getto a se stesso, staccandolo da qualsiasi contesto. Ogni cosa, per sona, parola nei racconti di Bich sel si spicca così, si riferisce solo a se medesima non ad altre cose, persone, parole; non intrattiene legami ma non soffre di solitudi ne. Nel Lattaio, uno dei pezzi più efficaci, non si dà contatto diretto fra il lattaio e la signora Blum; al massimo essi comunicano indi rettamente attraverso qualche bi gliettino ma badando bene a non trasformare la giustapposizione di due monologhi in un inizio di dialogo. « ”Per carità” o ”di nien te” pensa allora il lattaio, e se lo scrivesse sul biglietto sarebbe già una corrispondenza in piena re gola. Non lo scrive ». Bichsel non pare avere partiti presi: né quello di ridurre all’os so la realtà, né quello di metterla in dubbio magari nell’atto stesso dello scrivere. L’uso del condizio nale in certi racconti (Fiori, Lo zoologo) non manifesta il dubbio circa la realtà del narrare ma vuol dire semplicemente che ba sta un « progetto », un’ipotesi per avere già una realtà. Insomma: questa letteratura di inapparte nenza, di pura constatazione, che ignora più che rifiutare ogni pre stigio emotivo della letteratura, risulta alla fine una di quelle che negli ultimi anni hanno dato suo no più autentico. Di là dalla stes sa mitologia del « grado zero del la scrittura » essa si installa nello spazio del lettore con una tran quilla, ottusa, modesta ma ineli minabile presenza: una voce che parli come distrattamente, ca sualmente, senza nessuna prete sa; ma nello stesso tempo con una dispettosa puntigliosità di « cosa ». Bichsel ha raggiunto, ap parentemente senza preparazio ne, risultati piuttosto sorpren denti. Letto 1916 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||