Libri, leggende, informazioni sulla città di LuccaBenvenutoWelcome
 
Rivista d'arte Parliamone
La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

LETTERATURA: I MAESTRI: Pinocchio. Quando si è vivi si è buffi

21 Gennaio 2016

di Cesare Garboli
[da “La fiera letteraria”, numero 29, giovedì, 18 luglio 1968]

COLLODI
Le avventure di Pinocchio a cura di G. Jervis.
Einaudi, pagine 175, lire 1500.

Per quale ragione Pinocchio ci appa ­re sempre di più come un capolavoro? E per quale motivo, da un pezzo a questa parte, ci si adopera intorno al burattino di Collodi con tanto spreco d’interpretazioni capziose? In ogni fia ­ba si nasconde una foresta di simboli, sta bene. Ma guai a sottrarre la storia di Collodi al dominio della letteratura infantile, e soprattutto a quel gusto, che doveva essere vivissimo nel Collo ­di, dell’ispirazione un po’ oziosa, mos ­sa dal puro piacere di una scrittura fantastica, esattissima e vernacolare, in qualche modo perfino « automati ­ca ». Spesso il libro di Collodi dà un’impressione di ghirigoro, di un esercizio di penna miracolosamente smentito dalla felicità inventiva. La freschezza di un segno sempre pulito, la svogliatezza di una mano sempre leggera, guidano lo scrittore senza che egli sappia con precisione quale peri ­pezia, quale « figura » si stia disegnan ­do sul foglio.

Nato per la vita

In questo senso è un errore avvici ­narsi a Pinocchio come a un insieme compatto. Il libro di Collodi si com ­porta all’inizio, fino all’impiccagione del burattino da parte degli assassini, diversamente che nella sua progressio ­ne. Fuori da intenti pedagogici, Collo ­di avvia il racconto sulla spinta di un’idea semplicissima: l’idea che dap ­pertutto, anche in un pezzo di legno, abiti e risieda la vita. E’ una trovata che si accorda genialmente, più di qualsiasi altra, col sentimento infanti ­le, fatto di meraviglia, per così dire, « mistica », e così ricco di vita da pre ­starla d’istinto anche alle cose che non la possiedono. In quella « vocina sottile sottile » che udiamo uscire per la prima volta dal legno di Geppetto, « Non mi picchiare tanto forte », è già in germe tutto Pinocchio, col suo vestito di carta fiorita, il suo cappelluccio, la sua malagrazia disarticolata, col suo affascinante « non-stile ». Di colpo, ci troviamo al centro della crea ­zione di un personaggio: nella grazia di quella voce, nel suo candore, nella sua malizia lamentosa, nel suo formi ­dabile e inconsapevole humour ci sono già i futuri lazzi del burattino che sta nascendo, i suoi sberleffi innocenti e crudeli. Prima di nascere, Pinocchio ci ha già detto il motivo della sua can ­zone: è nato e fatto per la vita, lui di legno.

Era nato come marionetta destinata a cantare, ballare, tirare di scherma e fare salti mortali. Una marionetta co ­me le altre, ma animata da vita pro ­pria. Appena intagliato, il naso del bu ­rattino cresce senza motivo, per puro istinto di vitalità. Più tardi, accordan ­do la sua invenzione con la pedagogia, Collodi glielo allungherà in omaggio a precetti di morale corrente. Ma per nostra fortuna, il pedagogismo di Col ­lodi « si rivela nella propria contraddi ­zione », come ci avverte il prefatore della più recente edizione del capola ­voro, Giovanni Jervis, contribuendo a offrirci un Pinocchio eternamente dia ­lettico, diviso senza possibilità di solu ­zione tra l’universo del piacere e il mondo degli adulti, tra l’attrattiva del ­l’infanzia e il principio della realtà. Atteggiare questa costituzionale con ­traddizione come « storia di una catar ­si », come « contrapposizione fra gli errori del discolo e la sua redenzione in extremis », è un errore che toglie ­rebbe qualcosa a quell’assoluto che è Pinocchio, alla sua natura squisita ­mente « unpredictable » (è la sola defi ­nizione che Pinocchio sopporti).

E’ vero che lo Jervis avrebbe potuto approfondire le sue intuizioni, brillan ­tissime (la « dimensione tragica », la « caricatura » di una libertà che si le ­ga fatalmente a un destino di sofferen ­za), nel senso che Pinocchio ha tutta l’aria di una marionetta meravigliosa che non vuole crescere, perché la vita non può desiderare di crescere, può desiderare solo di vivere. La condanna a ripetersi del burattino, la sua inca ­pacità a superare la propria natura, è l’incapacità della vita a costruire qual ­cosa, secondo durata, senza tradirsi. Se c’è un mondo dal quale Pinocchio è veramente escluso, senza remissione, questo è l’idea della vita come crescita su se stessa, come Storia.

L’aria che piaceva a Pancrazi

« Com’ero buffo, quand’ero un burat ­tino! ». Un tratto palazzeschiano, che non si sottolineerà mai abbastanza nella fantasia di Collodi, era già ap ­parso a quel gran lettore che era Pie ­tro Pancrazi. Ora vedo con piacere che facendo giustizia di tanti errori, lo Jervis si trattiene dal sottrarre a Pi ­nocchio il suo ossigeno naturale, quel « senso domestico e vicino », quell’aria casalinga, tra tanti portenti (basti l’e ­sempio del Pescatore verde), che ap ­punto piaceva al Pancrazi. Insomma la Toscana granducale, sul punto di somigliare, senza volerlo, all’Italia umbertina, coi suoi assassini ma an ­che coi suoi abecedari, e con la sua « morale antieroica ». Bisogna sempre guardarsi dal fare di Pinocchio un em ­blema. Si corre il rischio di ucciderlo prima ancora che ci pensi lui stesso, diventando un bambino come gli altri.

« Com’ero buffo quand’ero un burat ­tino! » Eppure è in questa chiusa che si nasconde il significato ultimo del li ­bro. Anche questa è una frase-spia, che ci mette sotto gli occhi, di colpo, un aspetto di Pinocchio che abbiamo sempre presente e che insieme ci sfug ­ge di continuo: la sua diversità. Pinoc ­chio è essenzialmente « diverso ». Ep ­pure nessuno più di Pinocchio deside ­ra essere come gli altri. Condannato alla diversità, non la accetta, ma la combatte, non si dà mai per vinto. A distinguersi tutti sono capaci; ma esse ­re diversi nella tensione opposta, cer ­cando di confondersi nella norma, di diventare simili a tutti, questo è com ­movente e veramente poetico. Questa è la simpatia irraggiungibile di Pinoc ­chio.

« Com’ero buffo, quand’ero buratti ­no! ». Collodi ha chiuso il suo libro con la morale più dolorosa, e con incon ­scia grandezza. E’ una verità triste che per essere pieni di vita si debba pagare la propria vita con un ruolo atroce. Quando si è vivi, si è buffi, non si è mai « persone serie ». Con una di quelle loro strane decisioni prese una volta per tutte, gli dei hanno voluto imporre questa legge: ci offrono il do ­no più bello in cambio di non essere mai presi sul serio, in cambio di farci ballare, saltare, fare capriole davanti a tutti, per la gioia e la pietà di tutti, co ­me « burattini ».


Letto 1237 volte.


Nessun commento

No comments yet.

RSS feed for comments on this post.

Sorry, the comment form is closed at this time.

A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart