LETTERATURA: I MAESTRI: Pinocchio. Quando si è vivi si è buffi21 Gennaio 2016 di Cesare Garboli COLLODI Per quale ragione Pinocchio ci appa re sempre di più come un capolavoro? E per quale motivo, da un pezzo a questa parte, ci si adopera intorno al burattino di Collodi con tanto spreco d’interpretazioni capziose? In ogni fia ba si nasconde una foresta di simboli, sta bene. Ma guai a sottrarre la storia di Collodi al dominio della letteratura infantile, e soprattutto a quel gusto, che doveva essere vivissimo nel Collo di, dell’ispirazione un po’ oziosa, mos sa dal puro piacere di una scrittura fantastica, esattissima e vernacolare, in qualche modo perfino « automati ca ». Spesso il libro di Collodi dà un’impressione di ghirigoro, di un esercizio di penna miracolosamente smentito dalla felicità inventiva. La freschezza di un segno sempre pulito, la svogliatezza di una mano sempre leggera, guidano lo scrittore senza che egli sappia con precisione quale peri pezia, quale « figura » si stia disegnan do sul foglio. Nato per la vita In questo senso è un errore avvici narsi a Pinocchio come a un insieme compatto. Il libro di Collodi si com porta all’inizio, fino all’impiccagione del burattino da parte degli assassini, diversamente che nella sua progressio ne. Fuori da intenti pedagogici, Collo di avvia il racconto sulla spinta di un’idea semplicissima: l’idea che dap pertutto, anche in un pezzo di legno, abiti e risieda la vita. E’ una trovata che si accorda genialmente, più di qualsiasi altra, col sentimento infanti le, fatto di meraviglia, per così dire, « mistica », e così ricco di vita da pre starla d’istinto anche alle cose che non la possiedono. In quella « vocina sottile sottile » che udiamo uscire per la prima volta dal legno di Geppetto, « Non mi picchiare tanto forte », è già in germe tutto Pinocchio, col suo vestito di carta fiorita, il suo cappelluccio, la sua malagrazia disarticolata, col suo affascinante « non-stile ». Di colpo, ci troviamo al centro della crea zione di un personaggio: nella grazia di quella voce, nel suo candore, nella sua malizia lamentosa, nel suo formi dabile e inconsapevole humour ci sono già i futuri lazzi del burattino che sta nascendo, i suoi sberleffi innocenti e crudeli. Prima di nascere, Pinocchio ci ha già detto il motivo della sua can zone: è nato e fatto per la vita, lui di legno. Era nato come marionetta destinata a cantare, ballare, tirare di scherma e fare salti mortali. Una marionetta co me le altre, ma animata da vita pro pria. Appena intagliato, il naso del bu rattino cresce senza motivo, per puro istinto di vitalità. Più tardi, accordan do la sua invenzione con la pedagogia, Collodi glielo allungherà in omaggio a precetti di morale corrente. Ma per nostra fortuna, il pedagogismo di Col lodi « si rivela nella propria contraddi zione », come ci avverte il prefatore della più recente edizione del capola voro, Giovanni Jervis, contribuendo a offrirci un Pinocchio eternamente dia lettico, diviso senza possibilità di solu zione tra l’universo del piacere e il mondo degli adulti, tra l’attrattiva del l’infanzia e il principio della realtà. Atteggiare questa costituzionale con traddizione come « storia di una catar si », come « contrapposizione fra gli errori del discolo e la sua redenzione in extremis », è un errore che toglie rebbe qualcosa a quell’assoluto che è Pinocchio, alla sua natura squisita mente « unpredictable » (è la sola defi nizione che Pinocchio sopporti). E’ vero che lo Jervis avrebbe potuto approfondire le sue intuizioni, brillan tissime (la « dimensione tragica », la « caricatura » di una libertà che si le ga fatalmente a un destino di sofferen za), nel senso che Pinocchio ha tutta l’aria di una marionetta meravigliosa che non vuole crescere, perché la vita non può desiderare di crescere, può desiderare solo di vivere. La condanna a ripetersi del burattino, la sua inca pacità a superare la propria natura, è l’incapacità della vita a costruire qual cosa, secondo durata, senza tradirsi. Se c’è un mondo dal quale Pinocchio è veramente escluso, senza remissione, questo è l’idea della vita come crescita su se stessa, come Storia. L’aria che piaceva a Pancrazi « Com’ero buffo, quand’ero un burat tino! ». Un tratto palazzeschiano, che non si sottolineerà mai abbastanza nella fantasia di Collodi, era già ap parso a quel gran lettore che era Pie tro Pancrazi. Ora vedo con piacere che facendo giustizia di tanti errori, lo Jervis si trattiene dal sottrarre a Pi nocchio il suo ossigeno naturale, quel « senso domestico e vicino », quell’aria casalinga, tra tanti portenti (basti l’e sempio del Pescatore verde), che ap punto piaceva al Pancrazi. Insomma la Toscana granducale, sul punto di somigliare, senza volerlo, all’Italia umbertina, coi suoi assassini ma an che coi suoi abecedari, e con la sua « morale antieroica ». Bisogna sempre guardarsi dal fare di Pinocchio un em blema. Si corre il rischio di ucciderlo prima ancora che ci pensi lui stesso, diventando un bambino come gli altri. « Com’ero buffo quand’ero un burat tino! » Eppure è in questa chiusa che si nasconde il significato ultimo del li bro. Anche questa è una frase-spia, che ci mette sotto gli occhi, di colpo, un aspetto di Pinocchio che abbiamo sempre presente e che insieme ci sfug ge di continuo: la sua diversità. Pinoc chio è essenzialmente « diverso ». Ep pure nessuno più di Pinocchio deside ra essere come gli altri. Condannato alla diversità, non la accetta, ma la combatte, non si dà mai per vinto. A distinguersi tutti sono capaci; ma esse re diversi nella tensione opposta, cer cando di confondersi nella norma, di diventare simili a tutti, questo è com movente e veramente poetico. Questa è la simpatia irraggiungibile di Pinoc chio. « Com’ero buffo, quand’ero buratti no! ». Collodi ha chiuso il suo libro con la morale più dolorosa, e con incon scia grandezza. E’ una verità triste che per essere pieni di vita si debba pagare la propria vita con un ruolo atroce. Quando si è vivi, si è buffi, non si è mai « persone serie ». Con una di quelle loro strane decisioni prese una volta per tutte, gli dei hanno voluto imporre questa legge: ci offrono il do no più bello in cambio di non essere mai presi sul serio, in cambio di farci ballare, saltare, fare capriole davanti a tutti, per la gioia e la pietà di tutti, co me « burattini ». 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