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LETTERATURA: I MAESTRI: Pollicino e la psicanalisi

5 Ottobre 2017

di Giovanni Macchia
[dal “Corriere della Sera”, sabato 11 aprile 1970)

Il Seicento, alla sua fine quando la stagione dei protagonisti era già passata, conobbe in Francia una moda non meno contagiosa delle precedenti: i racconti di fate. Nelle grandi civiltà un fatto letterario non resta fenomeno isolato. E’ un prodotto cultura che vive grazie alla società cui esso è destinato. I Contes de ma mère l’Oye   di Charles Perrault (pubbli ­cati sotto il nome del figlio diciannovenne Pierre Darmancourt che forse collaborò al ­l’opera) sono meritamente tra i più famosi di un tal genere di letteratura. Ma intorno a Perrault, personaggio autore ­vole che guardava all’avvenire, uomo enciclopedico che mise il naso un po’ dapper ­tutto, nelle scienze, nelle let ­tere e nelle arti, si dispone a corona un forte nucleo di don ­ne scrittrici di fiabe. Ancora una volta, nella storia del se ­colo, le donne sono in primo piano. Il loro impero conti ­nua. Di buona o modesta no ­biltà, la vita di alcune di es ­se fu illustrata da più di uno scandalo, eppure effondevano nelle loro pagine un delicato virginale candore, creando una letteratura popolare in prosa non destinata al popolo. Ma ­dame d’Aulnoy, Mademoiselle Bernard (nipote di Pierre Corneille), Mademoiselle de La Force, Mademoiselle L’Héritier, Madame de Murat. Tra esse si aggira qualche raro gen ­tiluomo, come lo Chevalier de Mailly.

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L’irreale, il meraviglioso e l’imaginaire, la natura artifi ­ciale, splendida per definizio ­ne, erano già apparsi, agli oc ­chi delle aristocratiche dame nelle scenografie, negli spetta ­coli di feste e balletti, ove la grazia e la pomposità baroc ­ca, in travestimenti e muta ­menti, celebravano entro for ­me mitologiche e preziose e una rara grandiosità d’appa ­rati, il regno di Luigi XIV. Ma le fate non comparivano nel balletto di corte che in ge ­nere preferiva la maga. Esse ritroveranno il loro tempo ideale nel balletto romantico, nei balletti del Novecento, in Diaghilev, in Ravel. L’incan ­tesimo, la magìa, il féisme, il fatismo, hanno una base po ­polare che lo spettacolo ari ­stocratico barocco respinge. Le carrozze che volano, le me ­tamorfosi degli uomini in og ­getti e in animali fanno del ­la fiaba un piccolo spettacolo in prosa da leggere o da ascol ­tare. Ma le radici di questa tradizione affondano nel fol ­clore.

Perché dunque nell’immen ­so repertorio dalle moltissime fonti (e tra quelle italiane lo Straparola e forse il Basile) l’adattatore Perrault â— si do ­manda un suo recente agguer ­rito studioso, Marc Soriano â— non ha scelto che pochi temi? E quale fu il criterio che lo guidò nella scelta? Con ­siderando il racconto come un crittogramma la cui soluzione può essere avviata approfon ­dendo l’ambiente famigliare (il padre, la condizione dei due fratelli gemelli, Charles e Fran ­í§ois) e definendo casa Per ­rault un mondo dove Freud è esistito, egli tenta una defini ­zione psicanalitica dei Contes.

Nella Introduzione alla psi ­canalisi Freud, pur senza ci ­tare Perrault, dette alla fiaba in versi intitolata Souhaits ridicules un valore d’esempio: il sogno è la realizzazione ve ­lata di un desiderio represso. E alcuni anni fa un medico, il dottor Lauzier-Desprez, aveva preparato anche lui un sag ­gio su una lettura psico-pato ­logica di questi racconti di fate. Il Soriano si mette sulla stessa strada ma la attraversa, in omaggio al suo nome, con fare sospettoso e guardingo. E’ uno storico. Sa che la com ­plessità dei temi e dei motivi, quali s’intrecciano in questi racconti, che appartengono al folclore prima che a Perrault, gl’impedisce di riconoscere in ogni peripezia l’esatto riflesso di un avvenimento della vita dell’autore. La « storia » di es ­si s’inserisce in una storia più generale che appartiene a un gruppo sociale e a un’epoca. La psicanalisi può solo impie ­gare ipotesi di lavoro e metodi di investigazione.

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La lettura di una sola fia ­ba può farci misurare la di ­stanza che nella comprensio ­ne psicanalitica delle opere letterarie separa un medico da uno storico. Nella fiaba di Pe ­tit Poucet, ad esempio, altri riconobbero elementi di una leggenda: quella del piccolo bovaro celeste e identificarono il suo protagonista con l’Orsa Maggiore. Anche Rimbaud, quando s’identifica con il « Pe ­tit Poucet ríªveur » ricorda l’Orsa Maggiore: «Mon auberge était à la Grande-Ourse » (e non intenderei come si fa di solito, banalmente: « Je couchais à la belle étoile »). Il dottor Lauzier-Desprez è in ­vece colpito dal bianco dei sassolini con cui Pollicino ri ­trova facilmente la strada di casa. Cosa significano quelle pietruzze bianche? Esse sim ­boleggiano i denti di latte del minuscolo personaggio, quei denti che i bambini perdono fino all’età di sette anni. Qui cioè si stabilisce un rapporto diretto con la vita che lo sto ­rico non può condividere.

Altro esempio. Perché Per ­rault ha soppresso nel Petit Chaperon rouge il particolare tradizionale dei resti della nonna mangiata offerti dal lu ­po al bambino? Il medico pro ­pone una interpretazione psi ­canalitica assai complessa. Lo storico pensa invece alla so ­cietà aristocratica cui quei rac ­conti erano destinati, costretta nelle leggi delle bienséances. Le ricerche contemporanee sul folclore dimostrano che tali particolari, derivati da un lon ­tano passato in cui l’antropo ­fagia era ancora praticata, fi ­niscono a poco a poco per ra ­refarsi in un ambiente colto.

Così il medico e lo storico dinanzi alla psicanalisi hanno rare possibilità di mettersi d’accordo. Lo psicanalista ri ­chiede una forte carica d’in ­venzione su dati spesso oscu ­ri, incerti o addirittura labili, invenzione che lo storico, alla ricerca di una propria certez ­za, non può accettare. Per sciogliere il crittogramma di queste fiabe egli ha bisogno di chiavi più sottili che ser ­vano più agevolmente allo sco ­po e che il Soriano sa adope ­rare. E su quali dati allora, ripetiamo, Perrault operò la sua scelta? E questa scelta può accordarsi con elementi nati dall’osservazione diretta della sua vita?

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Boileau disse una volta a Perrault: « C’è qualcosa di strano nella vostra famiglia », e aveva colto nel segno, dan ­do prova di acuto intuito. A giudicare dalla sua secca ri ­sposta, Perrault ne fu quasi ferito. Difendendosi, egli fini ­va con l’associare ad una no ­zione d’indegnità la situazione di essere l’ultimo della sua fa ­miglia.

Considerando il racconto come fantasioso risultato di una libera fantasticheria, si possono facilmente rintraccia ­re e seguire, come fa il Soria ­no, alcune piste. Tra le più importanti: la condizione ge ­mellare che Perrault ha co ­nosciuto direttamente, e l’in ­cidenza di tale condizione nel ­la struttura incosciente delle fiabe. (Un’abbondanza di in ­siemi gemellari è riscontrabile in Cendrillon, Barbe-bleu, nel Petit Poucet ove appare ad ­dirittura una coppia gemellare a quattordici teste). Una se ­conda pista: l’indegnità dei ge ­nitori, serie sinistra in cui ci s’imbatte più volte. Un ele ­mento costante deriva dalla prima ipotesi: l’insicurezza. «L’universo di questi raccon ­ti è impregnato di una pro ­fonda angoscia » (Soriano): crudeltà, follia, orchi armati di coltello, insicurezza centra ­ta sulla sessualità, un’angoscia che concerne la virilità. La lotta per il possesso e l’ango ­scia del sesso contestato si as ­sociano per presentare nel Chat botté variazioni di una rara complessità, insieme tri ­viali e raffinate. Quanto al ­l’incubo da cui questi raccon ­ti sono pervasi, esso ci dà la chiave segreta del racconto. In effetti, oscuramente, quest’incubo è desiderato. Il bam ­bino nel fondo di se stesso de ­sidera essere mangiato.

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« Ah! Il n’y a plus d’enfants », dice amaramente Argan, il màlade imaginaire di Molière nella scena che Goe ­the ammirava. La Francia di Luigi XIV è un paese senza innocenza ove i bambini non sono più bambini. Pensava ­mo che le fiabe riportassero nell’atmosfera sublime e pom ­posa del classicismo questa in ­nocenza perduta, e l’amore del semplice e del misterioso. Cre ­devamo che provocassero una distensione della fantasia, la quale conduceva fuori della storia esseri gravati dal pro ­blema delle passioni, dal de ­siderio di conoscersi, di osser ­varsi, come nei riflessi freddi e taglienti di uno specchio: una docile via di scampo per una letteratura alleata al pec ­cato e al dolore. Non era in ­vece difficile scoprire un fon ­do torbido, oscuro, angoscio ­so anche in quelle affascinan ­ti avventure di uomini mutati in cavalli, in tutto quel filo ­ne di sognante medievalismo che percorre in forme più o meno sotterranee il Seicento francese, medievalismo cui Perrault aderiva e lo dichia ­rava nella dedica a Madame de Murat. Passati nelle mani degli psicanalisti questi personaggi che non conoscono mez ­zi termini, incantati, paurosi, orribili o bellissimi, incredi ­bilmente furbi o di un’irritan ­te bontà, riacquistano una lo ­ro attualità: anche nella no ­stra epoca, in cui i bambini non sono più bambini.


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