LETTERATURA: I MAESTRI: Silfidi e Gnomi7 Ottobre 2017 di Giovanni Macchia Esistono nell’orografia letteraria del secolo di Luigi XIV, tutto centrato sul grande tema dell’esaltazione della luce, zone ombrose, appartate, che sfuggono di solito ai disegna tori dei vasti panorami. Dove, per fare un caso, in quale dei cinque grossi tomi dell’opera pur pregevole che il professor Adam della Sorbona ha dedi cato alla letteratura del Sei cento, si sarà andato a cac ciare il Comte de Gabalis (1670) dell’abate Montfaucon de Villars? Dopo laboriose ri-cerche il bravo lettore arriva a scovarlo in una nota, ove, come un uccellino spaurito, era andato ad annidarsi: ma non più di una nuda citazio ne, senza alcun cenno al suo straordinario contenuto, che verrà ignorato totalmente. Il libretto dell’abate de Vil lars è invece per gli ingegni curiosi (quei pochi che resta no) assai più che un semplice nome. Ebbe la sua fortuna in altri tempi, quando scrittori e poeti non disdegnavano d’im mergersi nella più remota eru dizione: dal Settecento illumi nato (Cazotte) al romantici smo magico ed esoterico (Nerval). Anatole France, grande spirito antiquario, lo utilizzò nella Rotisserie de la reine Pédauque, e riservò all’abate Coignard la stessa sorte toc cata a Villars: morire assassinato sulla strada di Lione. Oggi poi, in tempi di risor gente esoterismo e di cabala, il Comte de Gabalis (s’intravvede l’origine del suo nome) potrebbe aspirare a diventare un personaggio alla moda. Po trebbe prestare il nome ad una setta o ad un locale notturno sofisticato, ove si respiri odore di zolfo. * Ma, a differenza di Coignard, l’abate de Villars era l’opposto di quel che suol de finirsi un uomo tranquillo. Aveva cominciato col lanciare acuti strali contro Pascal. Ma neanche i grandi santoni del classicismo, Cartesio e Racine, godevano i suoi favori. Pro vocò molto rumore un suo brutale attacco alla Berenice di Racine, ch’egli definiva sen za troppi riguardi un tessuto galante di madrigali e di elegie scritti per compiacere alle dame e alla giovinezza di Cor te: critica che incontrò l’approvazione di una donna di buon senso, Madame de Sevigné, la quale, scrivendone alla figlia, citava Villars come «l’autore delle Silfidi, degli Gnomi e delle Salamandre ». Silfidi, Gnomi, Salamandre erano gli strani e mobilissimi esseri ricorrenti, insieme con le loro compagne Ninfe, nelle pa gine del Comte de Gabalis, brillante resoconto in cinque dialoghi sulle scienze segrete e misteriose secondo i princi pi degli antichi maghi e savi cabalisti. I dialoghi avvengono tra l’autore, che parla in prima persona, e il Conte, un te desco, seguace della dottrina dei Rosa-Croce, morto poco tempo innanzi di apoplessia. La morte ritorna più volte in queste storie. E’ un mestiere pericoloso quello dei maghi. E Villars lo sa. E commenta sorridendo che tal genere di morte è comune a chi sa mal adoprare i segreti dei savi, e da quando Raimondo Lullo ne pronunciò la condanna nel suo testamento, un Angelo ese cutore non ha mai mancato di torcere il collo senza in dugio a tutti coloro che han no indiscretamente rivelato i Misteri Filosofici. E’ questo il tono irrequieto ed ironico, a volte incredulo, che pervade l’operina. Resta di positivo, di mo derno, l’interpretazione della scienza della cabala in senso visionario e fiabesco: una na tura misteriosa e animata, che è il perfetto rovescio di quel la rassicurante, disinfettata e bucolica dei classicisti. La Na tura può restituire all’uomo la chiave che ha perduto. Sotto suggestioni swedenborghiane Baudelaire dirà che la Natura è un Tempio. Nel libro di Villars essa è definita un San tuario. E il conte esalta la semplicità delle sue meravi gliose operazioni: semplicità che è armonia, concerto gran de, esatto, necessario. Scivo lando sul terreno accidentato dell’erotismo, l’interlocutore viene esortato a rinunciare agli inutili ed effimeri piaceri che le donne possono procu rare. Una Silfide con il suo amore può regalarci l’immor talità, può procreare una ge nerazione d’eroi. Perché le Silfidi, specie di sostanze ae ree; le Salamandre, composte dalle parti più sottili della Sfera del fuoco, conglobate e organizzate dall’azione del fuo co universale; le Ninfe, gli Gnomi acquistano immortali tà attraverso il loro commer cio con i maghi. E un giorno questi maghi si chiameranno i poeti. Inafferrabili esseri, ben cu stoditi e celati nei quattro ele menti, Silfidi, Gnomi, Ninfe, Salamandre abbandonano gli oscuri paesaggi dei cabalisti per continuare a vivere nel mondo variopinto delle fiabe. Grazie a queste entità elemen tari si sarebbe potuto spiegare la credenza non soltanto nel Sabba e negli oracoli, ma an che nelle fate. * Il mito solare di Luigi XIV continuava a risplendere nel centro del cielo. I libri di stregoneria s’intrecciavano in quella luce, come folletti, e furono in quegli anni talmente numerosi che, se fosse vissuto più a lungo, Molière avrebbe potuto dedicare ai cabalisti una commedia. Non ironia, ma spavento, raccapriccio ave vano accompagnato i vari pro cessi per stregoneria celebrati sotto Luigi XIV: quello della Marquise de Brinvilliers, di chiarata posseduta dal demo nio, della Voisin, di un tal Saint-Simon, tutti condannati al rogo. Nell’« affaire » della Voisin furono implicati alti personaggi della nobiltà fran cese. L’abate de Villars e il suo libro s’inseriscono in quel cli ma d’orribile dramma e di allegra commedia satirica. Nes suno pensò a farlo ardere vivo, ma fu giustiziato lo stesso; e coloro che l’ammazzarono sembra fossero i Rosa-Croce della cui dottrina aveva rive lato e schernito i segreti. Il suo personaggio divenne così famoso da finire sulle tavole del palcoscenico della com media italiana. In una com media dedicata agli alchimisti e alla pietra filosofale d’Arlec chino (Amsterdam, 1695), tra Anodino chimico, Pascariello operatore e Pulcinella astrolo go, ho scoperto la figura del vecchio conte di Gabalis. Ha perduto ogni serietà, ogni ri tegno. Si esibisce furiosamen te, in un’irruzione caricaturale che sembra la trascrizione in chiave cabalistica del Matamoro e del Capitano. Dopo aver proclamato l’onnipotenza dei cavalieri dei Rosa-Croce, i soli sulla terra che possano tra sportarsi da un polo all’altro e attraversare le più spesse mura senza abbatterle, sappia te â— dice â— che noi abbiamo commercio con i popoli elementari che sono gli gnomi, le silfidi, le salamandre e le ninfe. * Non basta. Villars era già morto quando quelle famose « entità » ebbero altra incar nazione nel nome di un mago, alchimista, medico e avventu riero milanese, Francesco Giu seppe Borri. Accusato di ere sia, condannato al rogo e poi al carcere a vita, si trovava a Castel Sant’Angelo, quando una serie di sue lettere fu pubblicata sotto un titolo che sapeva di cassetto violato: La chiave del gabinetto di F. G. Borri (Colonia, 1681). Il Bor ri è conosciuto oggi da pochi eruditi. Sarebbe piaciuto a Stendhal. Sui dati che cono sciamo si potrebbe scrivere una biografia più colorita di quella di Cagliostro. « Dagli occhi come da due stelle â— attesta un contemporaneo â— brillavagli fuori uno spirito quasi superiore all’umano ». In un contesto più mosso e animato, le due lettere della Chiave del gabinetto, datate da Copenaghen nel 1666, non erano la prima formulazione delle idee già esposte da Vil lars con le sue silfidi e i suoi gnomi, ma un loro diverten tissimo plagio (come le Istru zioni politiche sono un plagio, ha ben mostrato il De Mattei, di Scipione Ammirato). Chi era il falsario autore di quella contraffazione? Un « liberti no » che quelle dottrine eso teriche, « puri ghiribizzi d’in gegni bizzarri », respinge, o l’alchimista che sotto il velo dell’ironia quelle dottrine con tinua a contrabbandare e dif fondere? L’abate de Villars aveva seguito lo stesso meto do. Certo il tono dei due pre sentatori del volume è verso il Borri di aperto dileggio (« l’alchimista truffìere ») e, insieme, di sconfinata ammi razione, che fu l’atteggiamen to contraddittorio di tutto il secolo verso di lui, da parte dei re e degli stessi Inqui sitori. Presso gli Inquisitori scienza e fede non andavano d’accordo. E quel contrasto si rivelò in un evento ecce zionale. Si ammalò in Roma il duca d’Estrées, e i medici non nu trivano alcuna speranza di salvarlo. Dopo vari tentenna menti si decise di tirar fuori di Castel Sant’Angelo il mago, il « ciarlatano », il « truffie re » che si mosse e in qualità di medico andò a visitare l’in fermo. L’infermo miracolosa mente guarì. Una volta, dun que, erano i santi a guarire gli incurabili. Al tempo del Borri, con regolare permesso della Santa Inquisizione, an che gli eretici facevano mira coli, ma, ben inteso, soltanto in personaggi d’alto rango. Se al posto del duca si fosse tro vato non dirò un rappresen tante della plebe romana, ma il Borri stesso nessuno gli avrebbe concesso la facoltà di guarire. Ciò che infatti si ve rificò vari anni dopo. Si era nel 1695. L’eretico era ancora rinchiuso a Castel Sant’Ange lo e si ammalò gravemente. Diagnosticò trattarsi di mala ria. Il medicamento che richiese fu la china, cioè il chi nino. Dimostrava di essere come medico in anticipo sulla scienza del tempo. Ma il chi nino non arrivò, le silfidi, di spensatrici d’immortalità, non intervennero. Rimase solo, con la sua malattia, e il 13 agosto di quell’anno si spense. Letto 1586 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||