LETTERATURA: I MAESTRI: Profondo Sud22 Marzo 2018 di Alberto Moravia Estate meravigliosa! Esta te divina! Ero in uno dei miei periodi « buoni » e, co me si dice, non stavo nella pelle dalla smania di vive re. Sono bassina, col seno enorme, la faccia lunga e pal lida, i capelli lisci: insigni ficante. Ebbene, durante quel l’estate, la gioia di vivere mi aveva trasformata persino fi sicamente. I capelli mi erano diventati elettrici; gli occhi, spiritati; il volto, rosso e ac ceso. Mi pareva persino di essere alta. E quanto al se no, di solito la mia maggio re afflizione, beh, me lo sbal lottavo di qua e di là, quasi quasi ostentandolo. Estate indimenticabile! Dormivo a turno ora in casa di Marco, ora in casa di Bernardo; alle undici ci svegliavamo, faceva mo le nostre brave telefona te chiamando a raccolta il gruppo; e poi via al mare, in due o tre macchine, tutti ra gazzi e ragazze della stessa età. Al mare salivamo sul motoscafo e, in un batter d’occhio, eravamo al largo. Qui facevamo di tutto: nudi smo integrale, e tuffi, sci d’acqua, pesca subacquea. Nudi, ammucchiati gli uni su gli altri, prendevamo il sole fino all’intontimento completo. Mangiavamo qualche pa nino e poi tornavamo a Ro ma in tempo per ripulirci e andare a cena in qualche piz zeria, Subito dopo la pizza, correvamo al night, il momen to migliore della giornata. Che gioia! Che frenesia! Bal lavo, ballavo, ballavo. Al fra casso travolgente delle tante chitarre elettriche ingigantito dagli altoparlanti, finivo per perdere la testa. Mi toglievo le scarpe, la maglia e la gon na e ballavo da sola, in slip e reggiseno, in un cerchio di ammiratori che mi battevano le mani, finché la solita guar dia di servizio non ci caccia va in strada tutti quanti. Quell’estate avevamo la spe cialità delle fontane. Appena fuori del night, verso le quat tro del mattino, andavamo a gettarci in una delle tante fontane di Roma, nella Bar caccia di Piazza di Spagna, a Fontana di Trevi, nelle fon tane di Piazza Navona, nel la vasca di Piazza Barberini. Qualche volta finivamo in questura. Più spesso, fradici, coi vestiti incollati addosso andavamo a coricarci tutti in sieme ora in questa casa e ora in quell’altra. Ah, la bella estate! Con la fine dell’estate è fi nito pure il mio periodo « buono »; è cominciato il periodo « cattivo ». Il grup po sì è disperso e io sono partita per casa mia, nel Sud, dove la mia famiglia, ricchis sima, nobilissima e degene ratissima possiede feudi gran di come province. Il Sud! Parliamo del Sud! Qualche volta nei giornali, a proposito del Sud degli Stati Uniti, leg go la frase: « Profondo Sud ». Storie! Il Sud veramente pro fondo, veramente sprofondato è il mio! Più profondo di co sì, è proprio il caso di dir lo, si muore. Per lo meno, io morirei! Eccola la profondi tà, in termini di cammino: prima l’autostrada piena di macchine, poi la provinciale asfaltata ma meno frequen tata; poi una strada secon daria, ancora asfaltata, ma quasi vuota; poi una strada di pietrisco, la nostra, attra verso i nostri possedimenti. Colline pelate, valloni pelati, tutta terra coltivata a grano; e, per la strada, i contadini che ti salutano. Finalmente una pista terrosa e in fondo, su un poggio calvo, la villa. Via via che avanzavo, sen tivo che ridiventavo bassina, col seno enorme, i capelli li sci e la faccina pallida: insi gnificante. Ricominciava il mio periodo « cattivo », non c’era da sbagliarsi. Ecco la villa, simile ad un enorme granchio, con due avancorpi circolari simili alle due pinze del granchio e la facciata barocca, in fondo, simile al granchio. Granchio? Forse più scorpione che gran chio! Al maggiordomo in giac ca da fatica e barba lunga di tre giorni che si inchinava a baciarmi la mano dandomi dell’eccellenza, ho chiesto con voce languente dov’era la non na e poi mi sono avviata ver so l’ingresso perché la non na ne era uscita e mi veniva incontro gesticolando. Vecchia arpia ciabattona, con un na so da pirata e baffi idem, prin cipessa e duchessa di non so quante cose, mi ha abbrac ciato urlando: « Arrivi in tempo per metterti a tavola. C’è la pasta al forno! ». Mia nonna urla sempre, per abitu dine, anche se, mettiamo, de ve dire: « Non gridare, parla piano ». Non le ho dato ret ta; zitta zitta sono salita difilato alla mia camera, uno stanzone immenso, con quat tro finestre sulla facciata e un letto a baldacchino, mi sono subito spogliata e mi sono messa a letto. Ho pen sato: « Vorrei morire. Sì: morire, morire, morire, non vivere più! ». Così è comin ciato il mio periodo « catti vo ». Ora distesa sopra le co perte ed ora sotto, ho pas sato due mesi a letto, inerte, le braccia penzolanti, gli occhi alle finestre attraverso le qua li vedevo il cielo che era sem pre ogni giorno, « a pecorel le »: il cielo dei miei periodi « cattivi ». Piangevo in continuazione e pensavo che non volevo più vivere, che desideravo morire. Uno di questi giorni mia nonna, ur lando come il solito, mi spin ge nella camera un giova notto di rara bellezza e quin di se ne va. Era un mio lon tano parente; aveva detto alla nonna: « Eleonora non sta bene? Ci penso io »; e adesso eccolo qui, di fronte a me. Bello, bellissimo, bion do, con gli occhi cerulei dall’espressione intensa, quasi delirante, il volto pieno, nu trito, bianco e rosa, baffetti biondi, bocca rossa. Si chiamava Corrado, era vivo, vi vissimo, esaltato, sovraecci tato. Ha gridato: « Giù dal letto. La vita ci aspetta! » e mi ha costretto ad alzarmi e a seguirlo. Siamo andati in gita. Pur guidando, parlava in continuazione; aveva una cultura enorme, specializzata in rovine, monumenti, e mu sei, e io, nonostante mi sen tissi uno straccio, non potevo fare a meno di ascoltarlo, af fascinata. Sono ignorante co me una capra; la cultura mi impressiona, specie se pre sentata con tanto fuoco, tan ta vivacità, come faceva, appunto, Corrado. Quel giorno abbiamo visitato un paio di castelli e un museo. Corrado sapeva tutto; ave va scritto una quantità di opuscoli sui monumenti, che poi pubblicava a sue spese. Si esaltava con i re, le regi ne, i personaggi storici; con i Cristiani e i Turchi; con le pietre, le pitture, le statue. Nel museo, il custode ci ha lasciato soli e allora, da una carezza ad un bacio, da un bacio a una carezza, che è che non è, quello che doveva succedere, data la sua stra ripante vitalità e la mia iner zia mortale, è successo. Ma indovinate un po’ dove? Su un letto storico, in una delle sale del museo, un letto rico perto di velluto color gra nata sbiadito, chiuso e pro tetto da quattro cordoni di seta, il letto di non so qua le Re o Regina delle nostre parti. Il custode, certo pa gato da Corrado, non si è fatto vedere; alla fine io ero sfinita, inerte, un cadavere, e gli ho detto: « Senti, lascia mi qui, su questo letto sto rico. Vattene. Domani mat tina mi troveranno morta e tanto vale che muoia in un museo o in casa mia: fa lo stesso ». Sì, figurarsi. Ha da to in una grande risata con quella sua bocca bellissima dai denti perfetti e mi ha co stretta a scendere dal letto, e così è cominciato il nostro amore. Amore tra uno strac cio umano che ero io e un mostro di vitalità che era lui. Amore sempre in giro per ca stelli, musei, torri, palazzi, rovine. Gli andavo dietro ri petendo che volevo morire e lui mi rispondeva con quelle sue risate che gli facevano ballare le guance, piene di salute, che io invece dovevo vivere, se non per me, alme no per lui. Alla fine abbiamo deciso di trasferirci insieme a Ro ma. Siamo partiti in macchi na, ero io a guidare. Via via che mi sfilavo dal profondo Sud, dalla pista di terra alla strada di pietrisco, da questa alla provinciale, dalla provin ciale all’autostrada, sentivo che il mio periodo « cattivo » svaniva; e subentrava il mio periodo « buono ». Il cielo non era più a pecorelle; era pieno di tante meravigliose nuvole bianche e dorate. Mi andavo sempre più esaltando e così ho dimenticato persi no Corrado. Poi il silenzio di lui, di solito così chiacchie rone, mi ha insospettito. Pur guidando, gli ho lanciato uno sguardo di sbieco. Quasi quasi non l’ho riconosciuto: sprofondato nel sedile, sgon fiato, molle, l’occhio semi chiuso, un’espressione, a me ben nota, di atroce angoscia nel volto e in tutto l’atteg giamento della persona. Gli ho chiesto cosa avesse. Ha risposto con un filo di voce: « Non ti preoccupare. E’ il mio periodo cattivo. Sta ve nendo, lo sento. Non è nulla. Dura un poco e poi mi pas sa ». « Quanto dura? ». « Beh, l’ultima volta sono stato a letto due mesi ». A Roma siamo andati al l’albergo. Io, appena entra ta in camera, mi sono messa al telefono per radunare il gruppo. Corrado, invece, si è gettato tutto vestito sul letto Quella stessa sera sono an data a cena e poi al night col gruppo; ma Corrado non ha voluto venire ed è rimasto sul letto. Lì, tale e quale, l’ho trovato alle cinque del mat tino, quando sono rincasata. Ho dovuto spogliarlo, da so lo non ce la faceva; e poi infilargli il pigiama; e final mente, addirittura, mettergli a posto gambe, braccia, testa, per il sonno, come ad un bu rattino dalle molle rotte. Così è cominciata la nostra vita romana: io, sempre fuo ri di casa, sempre esaltata, sempre in forma; e Corrado sempre disteso sul letto, sot to o sopra le coperte, inerte, gli occhi al soffitto, le brac cia abbandonate. Cercavo di rianimarlo ma senza molto impegno perché riconoscevo in lui il mio stesso male e sa pevo per esperienza che non c’era niente da fare. Era ciclico, come me; passava dall’esaltazione alla depressione, come me. Purtroppo, però, i suoi periodi di depressione coincidevano coi miei periodi di esaltazione e viceversa; e così non avevamo neppure la consolazione di soffrire in sieme, dopo avere gioito in sieme. Ma gli volevo bene, era stato il mio primo amore, così gli sono rimasta fedele, anche se le serate e le notti le passavo con altri uomini. Gli volevo tanto bene, senti vo la sua angoscia con una partecipazione così immede simata che, alla fine, in un momento di suprema esalta zione, una volta che lui fio camente mi ripeteva: « Ah non ho più voglia di vivere, vorrei morire, morire, morire; ah Dio fammi morire al più pre sto »; gli ho gridato: « Mo riamo insieme. Tu morirai perché odi la vita; io mori rò perché smanio di vivere. Così il tuo orrore della vita e la mia gioia di vivere si fonderanno nella stessa mor te ». Era notte alta, ero ap pena tornata dal night dove avevo ballato per cinque ore di seguito; Corrado ha scosso il capo, la sua depressione non gli permetteva di prendere una decisione. Così ci siamo coricati, ciascuno nel suo letto. Il comodino, con la bottiglia dell’acqua e le boc cette dei sonniferi, stava tra i due letti. Mi sono addormentata su bito, felice e piena di vita. Tutto ad un tratto un trame stio sul comodino mi ha sve gliata. Ho teso al buio una mano e ho incontrato la ma no di Corrado che stava ver sando un intero tubetto di barbiturici nel bicchiere. Gli ho detto, pur sempre esalta ta: « Bravo, dammi il bic chiere, ne bevo la metà e l’altra metà la bevi tu ». Non ha detto niente, mi ha dato il bicchiere e io ho bevuto metà dell’acqua e poi gli ho ridato il bicchiere. Subito, sono piombata in un sonno mortale. Mi sono svegliata due gior ni dopo, in una stanza di cli nica. La nonna stava al mio capezzale e ha urlato: « Fi nalmente ti sei svegliata. Dio sia lodato! ». Non capivo niente; mia nonna ha urlato ancora: « Voler morire perché un Corrado qualsiasi ti lascia e torna a casa sua, dai suoi! Ma che ti ha preso? Lui scap pa in macchina e tu, subito, giù un bicchierone di barbi turici. Ah come si vede che sei giovane! Ma di Corradi è pieno il mondo. Uno di per duto, cento di ritrovati ». Avete capito? Corrado ci ave va ripensato, non aveva be vuto, era partito invece in macchina per il suo Sud, il suo profondo Sud, dove lo aspettavano i castelli, i musei, le rovine e gli opuscoletti. A quest’ora senza dubbio scop piava già di vitalità; non sta va nella pelle dall’euforia. Co me ho già detto, nonostante il suicidio, del resto effettua to per amore ed esuberanza di vita, mi trovavo in un mio periodo « buono ». Così, d’im provviso ho preso a ridere, a ridere, a ridere. Poi ho detto alla nonna che mi guardava stupefatta: « Corrado ha fat to bene ».
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