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LETTERATURA: I MAESTRI: Renato Serra e il Manzoni

24 Ottobre 2011

di Cesare Angelini
[dal “Corriere della Sera”, giovedì 20 aprile 1967]

Cosa pensava Serra del Manzoni? C’è, di lui, una de ­finizione di sapore bonghiano (d’un Bonghi che sta vol ­tando Platone): « La gran mente serena di Manzoni ».

Ma, per sua stessa testi ­monianza, ci dovrebbero es ­sere delle note sul poeta. Il 29 dicembre 1914 scriveva a Giuseppe De Robertis: « Ho delle note sul Manzoni (…) da pubblicare proprio così, come note ».

Erano i giorni in cui De Robertis prendeva la direzio ­ne della Voce lasciata da Prezzolini, e all’amico cesenate chiedeva articoli, note, « consigli del libraio » per una rubrica che, ereditata dalla Voce gialla (quella di Prez ­zolini) , la continuava nella sua, detta la Voce bianca.

E’ risaputo che le pagine del Serra, le maggiori e le minori, nascevan tutte così, dietro le sollecitazioni degli amici, amorevolmente inco ­raggiati da lui stesso: « Se vuoi, scrivimi. Una lettera per me è un divertimento ». Un divertimento che gli scioglie ­va la mano, e ne veniva fuo ­ri il quadro di una età o d’un intero periodo letterario.

Ma quelle note sul Man ­zoni, chi le ha viste mai? come sono andate a finire? Non comparvero allora sulla rivista, né, più tardi, nella raccolta degli scritti fatta dal Le Monnier. E noi finiamo per credere che il Serra, quel ­le note, le avesse promesse per illusione d’amicizia ma non le avesse mai scritte Quelle, e altre e altre. Fervido e germogliante nei propositi e nelle proposte, era poi pigro, alla pratica; anche per ­ché finiva per credere che non ne valesse la pena, e scrivere non è necessario.

Del Manzoni, il Serra non scrisse mai di proposito. Bisogna anche tener presente che in quegli anni 1909-1915 che erano quelli della sua at ­tività, il clima letterario in Italia era ancora segnato dalla superstizione e dalla « po ­lemica » carducciana; in Ro ­magna poi, il carduccismo era l’aria di casa (« il Carducci, romagnolo di cuore e di ado ­zione »). Non c’era dunque tempo per il Manzoni, del quale il Carducci era ancor più diverso che avverso.

E non erano anni favore ­voli nemmeno al genere nar ­rativo, anzi, il contrario; da veder sacrificato un roman ­ziere come il Verga, che, so ­lo dieci anni dopo, con la comparsa della Ronda (1918) riprenderà il posto che gli spettava, entrando terzo nella considerazione, dopo il Leo ­pardi delle Operette morali e il Manzoni del romanzo.

Anche l’animo dello scola ­ro di Bologna, tutto volto al ­la « religione delle lettere », alla tradizione classica vista attraverso il Maestro, era lon ­tano dal Manzoni e dal suo genere. Del quale non si oc ­cupò se non per accenni e di sfuggita; e, quelle poche volte, più per rendere servigi ad amici che per un bisogno intimo e suo.

 

*

 

Nel giugno del 1911, Prez ­zolini, in cui è sempre rima ­sta una certa natura pedago ­gica, gli aveva chiesto un pa ­rere per una guida di lettu ­re da consigliare a un gio ­vane. E, in data 16 giugno, il Serra gli rispondeva: « Og ­gi come oggi, io direi a un giovane di prender le mosse dal Carducci e, soprattutto, dal Carducci minore, il pro ­fessore, l’erudito… Il Carduc ­ci lo trasporta di peso in mez ­zo ai classici, con quel tanto di notizie e di splendida aspettazione che è utile per accostarli; il Leopardi, il Fo ­scolo, il Poliziano, il Petrar ­ca, questi sono i fondamenti dell’esperienza letteraria. Non ho nominato il Manzoni né ecc., perché la loro lezione è più particolare, e trova po ­sto nell’animo di ognuno se ­condo casi che non si pos ­sono prevedere ».

Nel novembre del 1912, al ­l’Ambrosini che si preparava a un concorso di scuole medie, il Serra suggeriva, per così dire, i ferri del mestiere: « Occorre rinfrescare la me ­moria dell’Ottocento: Leopar ­di, Manzoni (le edizioni) ». E, in tempi di critica storica alla Renier e alla D’Ancona, penso volesse proprio indi ­care le varie edizioni delle « poesie » (liriche e drammi) più che quelle del romanzo, la ventisettana e la definitiva del ’40, intorno alle quali non s’era ancora svegliato l’inte ­resse.

Il 21 giugno del ’14, inuna lettera al De Robertis, ritornando su « un cataloghetto di libri da leggere e di cui un giovane profitterà », parla degli epistolari; e, di ­stinguendo scrittore da scrit ­tore, dice che « nature ferme, economiche, come il Manzoni, scrivono a tutti con una me ­diocrità indifferente ed esa ­sperante; mentre le nature sottili come Renan, non han ­no voglia di concedersi a uno solo, ma conservano la loro conversazione per il pubblico, che è l’eternità ».

E nella stessa lettera: « Non parlerò né dell’Ariosto né del

Boiardo, né delle poesie del Manzoni. Ma non licenzi la sua lista senza aver fatto un profondo e serio esame di co ­scienza, senza essersi assicu ­rato che i libri consigliati son proprio quelli che lei ha letto e che vorrebbe leggere per bisogno e per contentezza ve ­ra del suo spirito ».

Con più pronta cordialità gusto ed effusione, parla del Manzoni con Carlo Linati in una lettera del 21 agosto 14; del Manzoni e del suo pudore: « Conosco in me stesso i pericoli dei temperamen ­ti selvatici, e li perdono con difficoltà; massime nell’arte dove, per il pudore, che è il gastigo della forza vera, sono sempre col nostro (oh, come nostro!) don Lisander ». Toc ­cata dentro la più schiva qua ­lità del Manzoni, che era an ­che la sua, poteva essere la buona occasione di continua ­re il discorso, abbandonando ­si alla vena aperta, e pagare il suo debito al poeta. E’ man ­cata la voglia.

Il 20 marzo del ’15 (i gior ­ni della stesura dell’Esame di coscienza, 20-25 marzo), ancora al De Robertis che insi ­steva per aver pagine prima che partisse per le armi (e per impietosirlo, s’era dato ammalato) il Serra scriveva: « Ho quel Carducci da finire; e ho quegli appunti in margi ­ne alla tua collaborazione, a cui non voglio rinunciare: Po ­liziano, Ariosto, Manzoni ». Anche qui potremmo giurare che egli parla del lirico più che del romanziere. A ogni modo, il nome del Manzoni, e l’idea di scriverne, è sempre lì come una bella tentazione, come una voglia di fare i con ­ti, una volta o l’altra, anche con lui. Ma la volta buona non è mai venuta.

Nel giugno del ’15, da Ce ­sena, in licenza di convale ­scenza per il ribaltamento da un’auto con conseguente rot ­tura del cranio scriveva al di ­rettore della Voce: « Stando a letto, mi tornava a mente quel che avrei dovuto dire sull’Ariosto e sul Manzoni… Mi pareva che avrei scritto queste cose con facilità e con piacere, non per aggiunger nulla di nuovo alla mia vita, ma per passar questi giorni, e anche per dispensarmi dal tentare con l’animo certi pro ­blemi supremi a cui è bene rinunciare quando si è sul punto di affrontarli non col pensiero soltanto ma con tut ­to l’essere ». Il nome di uno scrittore, o di due, o una considerazione letteraria avviano spesso l’animo suo e del lettore a pensieri virili, e esami di coscienza.

E nella Commemorazione del Carducci che il Serra ten ­ne nel Teatro Comunale di Cesena la sera del 22 marzo del ’14 (tutta la città s’era mossa come per una festa un po’ triste di famiglia; con la gente della scuola e dello stu ­dio, c’era quella dell’officina e dei campi, scesa dalla colli ­na sui lenti birocci o venuta dai paesi lungo il Savio e il Rubicone, con le bandiere e i fiori e i cuori dei bimbi, e le donne). Serra apparve, pal ­lidissimo, sul palco, nell’abito nero. Diceva: « Noi abbia ­mo ragione per dire di lui in un modo più familiare di mol ­ti altri. Il Carducci è un poco dei nostri, di Romagna, di Cesena. Voi sapete a che co ­sa io pensi… »); nella commemorazione del Carducci, il nome del Manzoni ricorre una volta unito al nome d’Italia con un sincero moto di commozione patriottica: « …quel ­l’Italia ideale e letteraria per cui aveva cantato l’entusia ­smo giovanile di Leopardi, e s’era commossa la gran men ­te serena di Manzoni ».

Mancando uno scritto o una nota distesa sul poeta, abbia ­mo voluto contare, non senza qualche pedanteria scolastica, le volte che qua e là lo no ­mina; un poco pensando che il numero potesse avere qualche peso e forza o almeno indicazione di simpatia letteraria e umana nell’animo del più appassionato e bravo scolaro del Carducci.


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