LETTERATURA: I MAESTRI: Rivive nelle pagine di Bulgakov una megera giustiziata a Palermo10 Novembre 2018 di Massimo Simili Palermo, marzo Una poco raccomandabile si gnora del passato, «una signo ra ad occhi bassi come una monaca, magrolina, modesta », partecipa al gran ballo di Sa tana ne II maestro e Marghe rita di Bulgakov: «…è la signo ra Tofana, che godeva straor dinaria popolarità tra le giova ni graziose napoletane come pure fra le abitanti di Palermo, in particolare fra quelle cui era venuto a noia il marito. Succede, infatti, che un ma rito venga a noia… ». Metten dosi nei panni di queste povere donne annoiate la suddetta signora vendeva loro «una cer ta acqua in ampolline ». L’avvelenatrice, in verità, chiamavasi Tofania (alterazio ne dialettale di Epifania), era d’origine napoletana e fu giu stiziata a Palermo, nel 1632 e piuttosto alla svelta («dispen sandosi al rito e in brevi ore di processo »), per ordine del viceré Afande de Ribera duca di Alcalà, personaggio di rara energia che il Papa aveva sciolto dagli ordini religiosi affin ché non si estinguesse la sua nobile famiglia e che in Sici lia meritò il titolo, inciso nel marmo, di « scelerum implacabilis ultor ». Tofania ebbe però una degna continuatrice e fu, costei, Gio vanna Bonanno: la « vecchia dell’aceto » ricordata dallo sto rico Pompeo Insenga e dal ca nonico Di Marzo il quale espo ne anche una curiosa teoria af fermando «… siccome dopo il corso di un secolo si riprodu cono le buone e le cattive usan ze, non deve recar meraviglia se dopo cento e cinquantasette anni si vide ripullulare in Pa lermo lo stesso delitto in una persona dell’ugual sesso e con dizione e si fece perciò soffrire l’uguale castigo che ebbe una donna napolitana chiamata To fania spacciatrice di un liquore micidiale detto dal suo nome acqua tofanica… ». Giovanna Bonanno «…vende va indistintamente ai mariti e alle mogli per disfarsi o i pri mi dalle seconde o queste dai primi e mettere così la pace in famiglia, convessa diceva… ». Il soprannome di vecchia dell’a ceto lo dovette all’età â— pen zolò dal capestro ad ottantuno anni suonati â— e al fatto di diluire nell’aceto una sostan za mercuriale facile a procu rarsi presso gli « speziali » e gli « aromatarii » del tempo che la smerciavano per « mondare i corpi umani dagli insetti ». Più accorta di Tofania la Bo nanno operava a gradi, prescri vendo â— diremo — una cura ciclica, facendo somministrare alla vittima determinate dosi di aceto al giorno sì che la mor te apparisse causata da una ma lattia; malattia che da una sem plice stomatite degenerava in variabilmente in una perniciosa infiammazione gastrointestinale: si sarebbe detta endemica, circoscritta com’era alla zona di Palermo. Numerosissimi furono i delitti compiuti tramite la vecchia del l’aceto « non solo tra mogli e mariti, ma pure tra congiunti impazienti di farsi eredi e fra gente d’ogni sorta mossa da interessi privati o da odii na scosti… ». Gli affari della Bo nanno prosperavano tanto che la vecchia assunse del persona le, ossia « donnaccie che le fa-cean da mezzane ». E qui, forse per la teoria del canonico Di Marzo, «ripullulò » in Palermo un viceré uguale al duca di Alcalà. Avvenne infatti che il principe di Caramanica, favorito della regina Maria Ca rolina, fu soppiantato nelle gra zie sovrane da Giorgio Acton, primo ministro del re di Napo li, e sia la regina che il primo ministro giudicarono opportuno allontanare il Caramanica dal la capitale facendogli ponti d’o ro, ottenendone cioè la nomina a luogotenente del re in Sicilia. Caramanica arrivò a Palermo quando l’aceto della vecchia si vendeva come il pane. Insospet titosi fece arrestare mezza cit tà finché non cadde nella rete una « scellerata mezzana » che, dati i sistemi persuasivi dell’e poca, cantò subito. Ne seguì un processo che coin volse pure i clienti della Bo nanno. Tutti costoro si difesero asserendo di aver sentito, e di aver quindi creduto, che l’a ceto della vecchia fosse un in fuso da lei preparato per riac cendere il fuoco dell’amore. Ac cettata questa incredibile linea di difesa â— che incredibilmen te, infatti, fu accettata â— essi non rischiarono nemmeno d’es sere incolpati di connivenza con la stregoneria grazie all’opera di un altro illuminato viceré â— il Caracciolo â— che sette anni prima si era dato, smanioso, alle riforme incominciando dal la «proibizione dei pubblici gio chi del toro » (il che fa suppor re che, a forza di viver con gli spagnoli, i siciliani stessero con tagiandosi della passione per le corride) e finendo con la sop pressione del tribunale dell’In quisizione. I clienti della Bonanno riu scirono quindi a cavarsela con miti condanne o addirittura con l’assoluzione. La pena di mor te « per laccio sulle forche » fu invece comminata alla vecchia dell’aceto, mentre alla sua mez zana si diede il carcere a vita nonché un singolarissimo trat tamento: con un cappio al col lo essa dovette accompagnare al patibolo la Bonanno e le tol sero quel cappio solo quando la vecchia « fu afforcata ». Nes suno, evidentemente, pensò che ciò avrebbe arrecato alla mez zana una sensazione di sollie vo anziché un segno della im placabilità della legge e dei suoi severi ammonimenti. La vecchia dell’aceto fu im piccata il 4 luglio 1789 in piaz za Vigliena, esistente tutt’oggi sebbene i palermitani la chia mino «i quattro canti di città ». Regnava a quel tempo Ferdinando di Borbone, non ancora I, ma IV di Napoli e III di Si cilia, e solo da pochi mesi era viceré nell’isola l’ottimo prin cipe di Caramanica il quale, tre anni e mezzo dopo «dove va spegnersi di morte violenta che si disse da potentissimo ve leno procacciata ». E si disse pure che, nel suo caso, la vec chia dell’aceto era stata la regina Maria Carolina.
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