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STORIA: LETTERATURA: I MAESTRI: Ricordare don Sirio Valoriani

9 Novembre 2018

Fu mio insegnante di religione quando frequentavo l’Istituto Tecnico “Francesco Carrara” di Lucca. A insegnarmi lettere era la bravissima Emma Tomei, la quale ogni tanto affidava qualche lezione o sulla Divina Commedia o su I Promessi Sposi a don Sirio, pure lui laureato in lettere. Godere della stima della Tomei era un privilegio. Infatti, don Sirio era bravissimo e sapeva rendere facili le cose difficili. Morto il 7 dicembre 1990, fino a qualche tempo fa si poteva visitare la sua tomba   oltrepassando la Cappella Nottolini e guardando subito a destra, dove si trovano varie tombe interrate. Quando per la Ricorrenza dei morti, mi sono recato al cimitero monumentale di S. Anna, a Lucca, non sono riuscito  più trovarla; forse la salma è stata esumata e deposta nell’Ossario.
Sulla cronaca locale de La Nazione teneva una rubrica religiosa intitolata “Oggi il Vangelo”. Desiderando ricordarlo ai tanti che l’hanno conosciuto (fu anche parroco della popolosa parrocchia di san Paolino), pubblico questo articolo apparso trentatré anni fa. Per avere qualche notizia su di lui andare qui.   (bdm)

Dal Vangelo secondo Marco (12, 38-44)
di don Sirio Valoriani
(da “La Nazione”, domenica 10 novembre 1985)

«In quel tempo, Gesù diceva alla folla… “Guardatevi dagli scribi, che amano… ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti Divorano le case delle vedo ­ve e ostentano di fare lunghe preghiere… ” E sedutosi di fronte al te ­soro, osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ric ­chi ne gettavano molte. Ma venuta una vedova vi gettò due spiccio ­li… Allora chiamati a sé i discepoli disse loro: ”In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere” ».

1 – Gesù, pur riconoscendo alcune rare eccezioni, non fu mai tenero verso gli scribi e i farisei, suoi principali nemici e oggetto delle sue polemiche più dure. Soprattutto rimpro ­verava loro la vanità nel com ­portamento, lo sfruttamento dei poveri (nel nostro caso, particolarmente delle vedove) e l’ipocrisia religiosa. Dinanzi a tali parole viene facilmente la tentazione: questo Gesù lo disse per gli scribi del suo tem ­po, è una polemica che ha una sua collocazione storica ben precisa, ma noi che c’entria ­mo?

Se è doveroso chiarire sempre il senso letterario storico di ogni parola e gesto di Gesù per capire ciò che veramente accadde, è altrettanto dovero ­so calarne il messaggio nella realtà della Chiesa: l’attualizzazione della parola non è ar ­tificio, è esigenza per chi si po ­ne «in religioso ascolto della Parola di Dio ». Non forzo cer ­to il senso del passo evangeli ­co se mi pongo l’interrogativo: Che cosa rivela e chiede a me persona, a noi comunità que ­sta parola?

2 – C’è a volte una certa com ­piacenza in noi perché ponia ­mo alcuni atti di religione (andiamo alla Messa, faccia ­mo alcune elemosine) per i quali crediamo di avere la co ­scienza a posto, se non addi ­rittura di poter giudicare gli altri. Quanti ritengono di ave ­re dato a Dio tutto il possibile e doveroso e rifuggono dall’a ­vere una coscienza critica di sé, si sentono soddisfatti di sé e meritevoli dell’approvazio ­ne di tutti. Che poi in tanti aspetti della loro vita morale lascino a desiderare conta re ­lativamente, secondo loro: im ­portante è la facciata, che fa opinione pubblica. Giustamente Gesù chiamerà tutti questi: «sepolcri imbiancati » (Mt 23,27). Il metterci con troppa disinvoltura nei panni di Gesù potrebbe però farci cadere in ingiusti giudizi colla tentazione di puntare il dito accusatorio su questa o quella persona o categoria. E’ più lo ­gico porre noi stessi sotto ac ­cusa e onestamente riconosce ­re i momenti in cui anche noi siamo stati cristiani di faccia ­ta. Noi ci illudiamo: se tentas ­simo di assolverci ricordiamo le parole di Giovanni (1 Gv. 1,8) «Se diciamo che non ab ­biamo alcun peccato, ingan ­niamo noi stessi ».

3 – Seguendo passo passo la vita e l’insegnamento di Gesù noi vediamo come egli tenda ad eliminare dalla scena come protagonisti i grandi, i potenti, i «buoni » per istituzione per sostituirli con nuovi protago ­nisti, che sono gli esclusi, gli ultimi, i poveri, i marginalizzati di quel tempo, di quella società civile e religiosa. Nel ­l’episodio del Vangelo di oggi vediamo richiamata la nostra attenzione su una figura fem ­minile, una vedova. E’ a cono ­scenza di tutti la condizione di inferiorità della donna nella società di quel tempo: la vedo ­va poi costituiva una categoria particolarmente disagiata, vi ­vendo, di fatto, di carità. Gesù riabilita la condizione della donna, tratta la donna come l’uomo riconoscendone l’u ­guaglianza nella dignità: qui la addita come esempio di ge ­nerosità e povertà. I ricchi mettono nel tesoro forti som ­me prese dal loro superfluo, non mettono in gioco se stessi, ma si limitano ad «investire » una parte dei loro capitali in eccesso per garantirsi una maggiore protezione divina. Marco vuol dirci che la vedo ­va, privandosi di tutto quel poco che aveva, affida ogni sua sicurezza a Dio e a Dio so ­lo. I «due spiccioli » della don ­na valgono così di più delle molte monete date dai ricchi: il valore del dare non sta infat ­ti nella quantità, ma nel costo personale. Quante lapidi a «benefattori » dovremmo scal ­pellinare!

Nella mia fortunata esperien ­za missionaria in Brasile ho visto da vicino l’esempio della vedova del Vangelo. Ma of ­fenderei tanti poveri di Lucca se dicessi che questo non è visibile anche qui: i parroci, i confratelli della S. Vincenzo potrebbero citarmi esempi mirabili di solidarietà, nei quali la dimensione – dono è ricca di significato pur nella povertà della sua espressione materiale.

Amico lettore, vogliamo pro ­vare a spendere dieci minuti, oggi, per vedere se assomiglia ­mo di più a quei ricchi o alla vedova? Basta un po’ di coraggio e di onestà. Auguro a te ed a me che le conclusioni siano altrettanto coraggiose e one ­ste.


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