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LETTERATURA: I MAESTRI: Rubén Dario, poeta e guerrigliero

6 Luglio 2017

di Carlo Laurenzi
[dal “Corriere della Sera”, domenica 4 gennaio 1970]

Nicaragua, sta scritto sulla copertina di un libro re ­cente: nome appena meno oscuro del nome di Carneade. Il nozionismo che ci soccorre scende dagli atlanti, da un’im ­pacciata memoria visiva. Il Nicaragua è nell’America cen ­trale, è giallo, è bagnato dai due oceani. Temo che sia pro ­prio tutto. Ah no, ecco un’al ­tra nozione: abbiamo nel Ni ­caragua un lago chiamato Ni ­caragua, mentre la capitale del Nicaragua non si chiama Nicaragua bensì Managua. E infine l’unico dato che con ­ti: nel Nicaragua è nato Rubén Dario.

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Lessi tutto â— le Poesias completas nella edizione Aguilar â— in pochi giorni esaltati, a Madrid. Che dire? Dario è noto e discusso almeno come il suo coevo D’Annunzio, al quale somiglia per sonorità, sapienza dorata, discutibile maniera di vita. Anche Dario conobbe onori pubblici, sebbene non così bellicosi come quelli di D’An ­nunzio: fu incoronato « poeta d’America » ed ebbe il rango di ambasciatore.

I critici hanno stabilito tut ­to quanto era necessario sta ­bilire su Dario, di cui Borges continua a farsi beffe (così come da noi taluni seguitano a beffarsi di D’Annunzio); vo ­glio solo testimoniare che una rilettura del poeta di Ma ­nagua può avvincere. O ne fui avvinto con la decisiva complicità di Madrid? Ero molto giovane, abitavo in un albergo che poteva conside ­rarsi un grattacielo in una New York immaginata da un andaluso, una torre di vetro e nichel le cui finestre spa ­ziavano sui deserti dell’alto ­piano fino a cime nevose: e il cielo sempre azzurro, e la vampa fredda del sole. C’è nella Madrid invernale que ­sta abbacinante sensazione di esilio. Dario era stato amba ­sciatore del Nicaragua a Ma ­drid, verso il 1910, nostalgi ­co di una torrida fiamma: « Y el Sol, sultàn de orgullosas â— rosas. dice a su hermosas â— cuando eri primavera estàn:

Rosas, rosas, dadme ro ­sas â— para Adela Villagran! ». Ignoro chi fosse Adela Villagran, ma ignoro anche, nella poesia di ogni tempo, più son ­tuosi versi sulle rose e sul sole.

Rubén Dario, come si de ­sume dai ritratti, era un uo ­mo dalla tipica faccia di in ­dio, con occhi obliqui e la bocca crudele. Morì neppure cinquantenne; i suoi ultimi anni furono dissipati e vizio ­si. Un’ammirazione senza ri ­serve (le riserve vennero più tardi) lo circondò. Quando si spense, nel 1916, la fluviale poesia encomiastica ispano ­americana travolse ogni diga; odi e sonetti a Dario, del re ­sto, erano stati dedicati in vi ­ta fin dal 1888; altre odi e altri sonetti gli sarebbero sta ­ti dedicati in seguito, fin qua ­si ai nostri anni: la lunga composizione Presencia de tu nombre, di Alfredo Cardona Pena, risale al 1944. Escludo che un’ulteriore messe cele ­brativa non sia maturata nel 1967, per il centenario della nascita di Dario.

Fra coloro che piansero in versi Dario â— nel 1916 â— fi ­gurano Antonio Machado, Manuel Machado, Juan Ra ­mon Jiménez; nessuno rinun ­ciò a definirlo « cigno » e « usignolo »; tutti (perfino il cauto, profondo Antonio Ma ­chado) lo paragonarono ai numi Pan ed Apollo. Il sim ­bolismo parnassiano del poeta indio, nutrito di mitologia appariva la sua connotazione più nobile. Credo invece che la sua verità consistesse in certi repentini abissi di fu ­ria, certe visioni nelle quali si annullava con arbitrio apo ­calittico o magia di primiti ­vo: « La tierra se vuelve loca, – el cielo a la tierra invoca – cuando sonrie esa boca » Può darsi che lui, Dario, avrebbe amato che lo cele ­brassero soprattutto come bar ­do delle Americhe, nemico de ­gli Stati Uniti in quanto ne ­mici dell’ispanità; ma nella ghirlanda dei carmi in memoriam questo vanto, se di van ­to si tratta, è taciuto. Effetti ­vamente la famosa ode di Dario a Teodoro Roosevelt non è che uno squarcio di retorica, col timbro di un Hugo manierato.

*

Ora dovrò decidermi a tornare al libro recente sulla cui copertina campeggia il nome Nicaragua, tanto più che que ­sto libro è, in buona parte, un’antologia di poeti: tutti poeti nicaraguensi, contempo ­ranei e, tranne pochi, anonimi. Il titolo completo dell’opera è Nicaragua ora zero, edito da Guanda nella collezione «Pic ­cola Fenice », col corredo di un’introduzione di Pietro Ci ­matti, della quale possiamo servirci per accrescere le no ­stre scarsissime cognizioni sul Nicaragua.

Apprendiamo dunque da Cimatti che il Nicaragua, « segmento del budello vulca ­nico che salda i due conti ­nenti americani », ha una superficie di 50 mila miglia quadrate (dovrebbero corrispon ­dere a centotrentamila dei no ­stri kmq., più o meno la metà dell’Italia), una popolazione di 1.800.000 anime, un fìore nazionale detto franjipani, e due eroi ottocenteschi «il libertador ottocentesco José Dolores Estrada per governo scuola e toponomastica, il guerrillero Augusto César San ­dino (1893-1934) per il po ­polo e la storia proibita dal ­la dittatura ». Il regime, co ­munque, è « solido e ben pro ­tetto », insignificante l’oppo ­sizione, in declino l’influsso castrista; ma « i poeti cristia ­ni come quelli marxisti sono rivoluzionari, e aspettano ». Inutile aggiungere che, nel Nicaragua come in tutti i luo ­ghi della terra, Pietro Cimat ­ti identifica tutto il male con gli Stati Uniti.

Oltre che un fiore naziona ­le e due eroi nazionali, il Ni ­caragua ha un poeta naziona ­le (ovviamente Rubén Dario) ma forse, a pensarci bene, ne ha due, e il secondo di questi poeti è il vivente, quaranta ­cinquenne Ernesto Cardenal. Ernesto Cardenal è autore di Hora 0 e Habla un nicara ­guense en el extranjero, brani che aprono l’antologia del Ci ­matti. Il nicaraguense che vi ­veva all’estero è Augusto Cé ­sar Sandino, l’eroe nazionale numero due ucciso nella guer ­riglia; Hora 0 è definito dal Cimatti un « capolavoro », « storia del Nicaragua vero e del Centroamerica desesperado », « prima carta di identi ­tà del Nicaragua ribelle cui l’analisi marxista ha svelato i meccanismi diabolici del ca ­pitale e del potere ». Un pa ­rallelo fra Dario e Cardenal viene tracciato dal prefatore, e l’ode a Roosevelt di Dario è riportata pressoché integral ­mente. Sono inoltre forniti cenni biografici di Cardenal, grande nemico degli Stati Uni ­ti: laureatosi in filosofia a Cit ­tà del Messico, il poeta ha frequentato la Columbia University, ha viaggiato in Fran ­cia, Spagna e Italia grazie a una borsa di studio statuni ­tense, è stato libraio a Mana ­gua, poi monaco benedettino sotto la guida di Thomas Mer ­ton per fondare successiva ­mente una trappa nell’arcipe ­lago di Solentiname a sud del lago di Nicaragua, « fra primi ­tivo comunismo cristiano è struttura francescana all’inse ­gna dell’Ora et Labora ».

I suoi carmi, se li esami ­niamo al di fuori della pas ­sione politica, non persuado ­no. Sono zeppi di elencazioni enfatiche e contengono versi come questi: « Disse a Sum- ner Welles quel sonofabitch di Roosevelt â—: Somoza è un sonofabitch â—. ma è dei no ­stri. â— Schiavo degli stranie ­ri â— tiranno del suo popolo â— imposto dall’intervento â— mantenuto dal non interven ­to ». Il tono di Dario, nel ­l’ode all’altro Roosevelt, era meno giornalistico. Ma Cimat ­ti non è al di fuori della pas ­sione politica, l’abbiamo av ­vertito. Il suo antiamericani ­smo può spingersi a note «sto ­riche » come questa: « Sandi ­no fu assassinato da Anasta ­sio Somoza, dietro ordine del ministro americano a Mana ­gua, Arthur Bliss Lane », o come questa: « William Walker, avventuriero e negriero statunitense (1824-1864). Si autoelesse presidente del Ni ­caragua, appoggiato dai ban ­chieri Morgan e Carr. Incen ­diò Granada, chiamò i mari- nes che distrussero San Juan del Nord, impose la schiavi ­tù ».

Non si sospetta qualche semplicismo in tali esegesi? Comunque, nessuno si scalde ­rà per Arthur Bliss Lane o per l’antico negriero William Walker. Uno scoglio più duro è Franklin Delano Roosevelt, che il reverendo Padre Carde ­nal apostrofa come figlio di buona donna, e al quale noi democratici o marxisti, noi l’Europa dobbiamo la libertà. Ma Cimatti aggira l’ostacolo: al tempo di F. D. Roosevelt, scrive Cimatti, « gli Stati Uni ­ti erano un fascismo e non lo sapevano neanche i fascisti, in Europa ». Non lo seppero mai. Roosevelt, com’è noto, li schiantò.


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Bart