LETTERATURA: I MAESTRI: Zola e i suoi veneziani10 Ottobre 2017 di Giovanni Macchia René Ternois ha raccolto in volume gli articoli su Zola e i suoi amici italiani che era andato pubblicando in riviste dal 1960 al 1966. Migliorati, corretti, essi sono apparsi recentemente in una pubblicazione universitaria (Zola et ses amis italiens, Pubblications de l’Universi ty de Dijon, XXXVIII), e rap presentano un contributo di estrema utilità alla cono scenza di un rapporto che fu curioso, amaro, deludente. Nel 1956 il dottor Jacques Emile-Zola e J. C. Blond af fidarono al Ternois un fa scio di cinque-seicento lette re che Zola aveva ricevuto dall’Italia e documenti d’ar chivio e lettere di famiglia. Le lettere erano di Verga, Capuana, Giacosa, Pica, Bersezio, Cameroni, Fradeletto, Mantegazza, Sighele, Giacin ta Pezzana e di altri scono sciuti ammiratori (che il Ternois ha annotato giovan dosi anche, come dichiara, della bibliografia che fu pre parata anni fa con molta precisione e diligenza da un nostro giovane studioso del naturalismo francese, G. C. Menichelli). Ma sono i do cumenti di famiglia che co stituiscono la parte più viva e stimolante del volume, non soltanto per la correzione di errori e di giudizi malevoli. Gettano nuova conoscenza sugli anni oscuri della fa miglia Zola dopo che il pa dre di Emile partì per la Francia; gli anni della si lenziosa decadenza di una famiglia che avrebbe potuto ispirare più Cecov che Gia cinto Gallina. Essa intristi sce nell’ombra, nei guai, nel le ristrettezze economiche, nei dolori fisici e morali, e guarda a Parigi; segue da lontano il gabbiano già in vestito dalla luce della glo ria, ma il gabbiano vola più in alto; non si volta indie tro nel passato, e non sa o finge di non sapere. A seguire il Ternois, sem bra che per Zola l’italiano, l’italiano di suo padre, fos se una lingua già spenta, un dialetto caicavico, as solutamente per lui indeci frabile. « Egli non seppe leg gere la lettera di suo cugi no, ch’era scritta in italia no, e non rispose ». Poiché i documenti che interessavano i suoi parenti erano scritti in italiano, Zola (questa vol ta va un po’ meglio) « fece molta fatica a capirli ». Quando gli ammiratori gli inviavano dall’Italia ritagli di giornali e di riviste, « egli cercava di leggere quelle pa gine italiane, ma poiché com prendeva assai poco quel che si diceva di lui », non rin graziava neanche. E’ lodevole l’impegno del l’esegeta di coprire d’un ve lo o di dare una giustifica zione qualsiasi, la più co mune, a quella che senza tanti preamboli può definir si l’indifferenza, la negligenza di Zola verso la propria famiglia veneziana. Ma sta di fatto che il già celebre romanziere, il quale stilista certo non era, non rispose neanche ad una lettera scrit ta, è vero, in un cattivo fran cese (la fatica ch’era costa ta, visibilissima, avrebbe po tuto anche commuoverlo), non da « parents éloignés » com’egli disse ad Edmondo De Amicis, ma da una sua cugina, Marianna Petropoli, « fille â— come si firmava â— à votre tante Catherine, soeur à votre pére ». Era una lun ga lettera scritta dopo il suc cesso dell’Assommoir. Un’altra lettera parti poco dopo per Parigi, inviata da un altro cugino, il quale, cuore d’oro, credeva aver fi nalmente scoperta la ragione di tanto silenzio: il grande Emilio non sapeva a chi in dirizzare le sue risposte. Eb be tutto il tempo di ricre dersi. Le risposte non arri varono mai a quelle lette re tristi, devote, umili, di screte, sincere, dove si rac contavano cose avvenute trent’anni prima: malattie, donne rimaste sole e in con dizioni economiche poco flo ride, e si parlava soprattut to di morti: la vecchia so rella del padre di Emilio, la moglie di Carlo e poi di due suoi giovani figli, storie si lenziose della declinante bor ghesia veneziana ma trasmes se a ciglio asciutto, senza al cun alone di tragedia e sen za rivolta, con una docile sottomissione al destino, fuo ri del grande scenario vene ziano che apparteneva ormai ad un’altra epoca, ad un’al tra società, ad un’altra vita. Ora c’è da chiedersi. Zola è passato alla storia come il romanziere di una grande famiglia. Credeva nei gruppi sociali. Studiò il modo con cui un piccolo gruppo d’esi stenze si comportava in una società e dava vita a dieci, a venti individui che sem brano, al primo colpo d’oc chio, profondamente dissimi li, ma che, diceva, l’analisi mostra intimamente legati gli uni agli altri. L’eredità aveva per lui le sue leggi, come la gravità. Raccolse per anni documenti che gli per mettessero di studiare anche fisiologicamente, nella lenta successione degli accidenti nervosi e sanguigni che si manifestano in una razza do po una prima lesione orga nica, i suoi Rougon-Macquart, ma si rifiutò di cono scere qualsiasi documento che interessasse lui come at tore, come discendente, come l’ultimo anello di una cate na. Egli, chi era? In che cosa somigliava ai suoi parenti? Perché quelle malattie, quei lutti? Chiuso nel suo studio, seguiva altre esperienze, in uno sforzo d’oggettività, in un’esaltazione d’energia crea trice, e il ricordo dei suoi parenti veneziani restò per lui come il malinconico ri sveglio di un passato che sembrava non appartenergli e che interrompeva la storia di un’altra famiglia, quella che si era creato con le sue complicate genealogie. Igno randola era libero di cancel larla col solo segno di una mano sulla fronte, come un pensiero molesto. Ma non fu sempre così. Un giorno l’idea di quella famiglia, lagunare, indecisa, prese corpo improvvisamen te, come un gigantesco incu bo, un rimorso, quasi una vendetta. Fu quando, alcuni anni dopo il ritorno dall’Ita lia e la sua visita di tre giorni a Venezia (dove det te incarico distrattamente al bravo Carlo di raccogliere quel che poteva sugli Zola, carte che egli al solito mise in un canto senza pensarvi più), il giornalista Judet sul Petit Journal, al tempo del la grande polemica, pubbli cò due scandalistici articoli sulle circostanze misteriose che avevano deciso l’allonta namento di Francesco Zola, suo padre, dalla Legione Straniera. Fu allora che sen tì di non essere libero, di somigliare a uno dei suoi Rougon su cui pesava il ca rico di altre esistenze. S’ac corse di non conoscere nulla della vita del padre prima che, trentottenne, era arriva to a Marsiglia nel 1833. Per dei giorni, nella spaventosa « bousculade » â— disse â— in cui si trovava, si mise a cer care angosciosamente nelle sue carte documenti e gior nali dell’epoca. Si rivolse a parenti ed amici italiani. Pubblicò tre articoli su Fran cesco Zola, promise di pre parare addirittura un volu me per glorificarlo. Progettò di scrivere la storia della sua famiglia. Mori l’anno dopo. Letto 1843 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||