di Dino Buzzati
[dal “Corriere della Sera”, mercoledì 16 luglio 1969]
Che curiosa impressione mi fa (certe sere tra amici, discorsi abbandonati a ruota li bera, stupidi forse) sentir par lare di automobili come se fos sero semplicemente automobi li, marca tipo cilindrata ripresa tenuta di strada freni prestazioni velocistiche eccete ra, che noia, come se fossero cose, macchinismi, e non al tro. Invece.
MASCHIO O FEMMINA? – Da noi si dice auto femminile, in francese pure è donna, però è maschio in Germania, idem nel vasto comprensorio ingle se. La nostrana femminilità dipende, mi puniscano i filo logi se baglio, dal fatto che automobile è aggettivo riferito a «macchina » o «vettura », poi sostantivato. Ma se da noi si facesse un referendum popolare, il risultato riuscirebbe incerto Gli italiani la (o lo) vedono maschio per la forza dirompente nella ripresa e nei sorpassi, per il maschile divo ramento dei chilometri, per l’ascendente â— discendente or mai – esercitato sulle ragaz zine sprovvedute quando si pi lota una (uno?) spavalda su per. Però donna quando lui preme il piede destro a de stra, e la sente sottomessa e schiava facendola rimbalzare, sulle curve, dalla quarta in terza dalla terza in quarta brutalmente, e lei si assoggetta e gode (almeno sembra) e si dona con elasticità in tutte le sue risorse viscerali, così, per fargli piacere.
CABALA DEL CK – Poco nota ancora al grande pub blico â— e finora non sostenuta da una seria documenta zione statistica â— è stata ela borata la teoria che certe per correnze, contrassegnate da particolari numeri, sono ne gative al guidatore. Esempio elementare: «punte » di mas sima pericolosità si avrebbero in corrispondenza ai cosiddetti numeri omogenei segnati dal contachilometri (CK), come 1111, 11111, 2222, 22222 e così via; mentre alcuni, inge nui, amano veder comparire al finestrino quelle cifre tutte uguali. Questo l’abc della dot trina. Gli astrologhi sono in tervenuti con molte sottili im plicazioni. Se uno, poniamo, è nato il 7 maggio 1932 farà bene a stare attento quando il cruscotto sta per segnare 7532, o 75932. Se uno ha compiuto 47 anni, usi la mag giore circospezione quando compaiono i multipli della ci fra: ogni 47 chilometri do vrebbe procedere con le orecchie alzate. Subentrano le ma nie: rallentare al massimo e avanzare col fiato sospeso quando sta per scattare il quadrato, o il cubo, della propria età. Entrano in gioco, natural mente, anche le persone a bor do. C’è chi, prima di invitare un amico o conoscente a pren der posto, si informa dei suoi dati anagrafici ed esegue i relativi computi col regolo calcolatore. I «puri » della scuola sono pervenuti a una casistica talmente vasta e raffinata da coprire praticamente quasi tutti i numeri dal due all’infinito. Dopodiché hanno venduto la macchina, viaggiano in treno, in città si spostano a piedi, e stanno sempre meglio di salute.
SENSIBILITí€ DEI SEMAFORI – Avrete notato, ne gli incroci dove passate nor malmente, come di volta in volta varii il comportamento dei semafori. Candidamente, i preposti al traffico cittadino sono convinti che quegli or digni luminosi obbediscano al le pure e semplici leggi fisiche e meccanicamente eseguano gli ordini ricevuti: cosicché, se regolati a tenere acceso il verde per quindici secondi, ogni volta quindici secondi sa ranno. Illusi. I semafori sono spesso dotati di una sensibilità arcana, affatto ignota a chi li fabbrica; e avvertono a di stanza, nelle cateratte di mac chine che convergono su di loro, se c’è qualche caso in teressante. L’automobilista an sioso, in ritardo, preoccupato di far presto e di non perdere un secondo, è la vittima fa vorita. Quanto più lui ha fret ta, tanto più il semaforo è maligno e, a costo di trasgre dire le più elementari norme di disciplina, anticipa fulmi neamente lo scatto del rosso così da sbarrargli la strada. Dopodiché prolunga con scan daloso arbitrio la durata del « no » fino a due, tre volte la dose normale. L’automobilista impreca, digrigna i denti e alle volte impazzisce.
MIMETISMO – Altro feno meno non abbastanza studia to dalle case costruttrici, le quali forse potrebbero arri vare a controllarlo, stimolan dolo o frenandolo a seconda dei casi: l’auto, in genere, ten de ad imitare chi la guida, e ad assomigliargli anche fisica mente. Non bastano certo po chi chilometri di frequentazione. Soltanto dopo qualche settimana la macchina comin cia ad adeguarsi, assumendo anche nell’aspetto virtù o difetti del pilota. Cosicché capita di capire subito, guardando una vettura che ci precede, indipendentemente dalla sua velocità, proprio per l’espressiva complessiva, che il guidatore è un tipo pigro, lento nei riflessi, tardo a rimettersi in moto, amante della buona tavola, incerto nelle situazioni urgenti e spinose. All’inverso, dalla grinta che assume â— e magari si tratta della stessa marca, dello stesso modello, dello stesso colore â— si rico nosce l’auto che è nelle mani di uno dei tanti bulli spadroneggianti â— adesso meno di una volta, per fortuna â— sulle strade d’Italia.
SOLITUDINE! – L’esaspe razione nevrastenica del furi bondo scatenamento del traffi co intorno, quella rabbiosa macina, catastrofico incombe re di selvaggi camion bestioni stritolatori, alle spalle incal zati da feroci occhiaie ammic canti. Via, via, basta con que sto inferno. Alla periferia, alla campagna, all’aria pura, al si lenzio. Non basta. Centinaia, migliaia di chilometri, e an cora imperversano le belve. Via, via, ai limiti del mondo abitato. Più avanti ancora. Sì, nel deserto di sabbia piatto e incontaminato, dove dall’epoca della creazione non è mai pas sata anima viva. Liberazione. A perdita d’occhio non vedere neanche un topino delle pira midi. Non c’è più bisogno, grazie a Dio, di specchio re trovisore. Finalmente lui, o lei, si ferma. Che solitudine, che pace. Con un sospiro di indicibile sollievo apre la por tiera per discendere. Un cicli sta, che procede nello stesso senso, va a sbatterci contro malamente.
BARBONI – Nottetempo i camposanti delle macchine, nei prati incolti di là del casello del dazio, non hanno bisogno di custode, si sa. Chi rube rebbe? Ma anche se i ladri venissero, difficilmente qualcu no risponderebbe a simile of ferta di lavoro, neanche i mor ti di fame. Perché di notte, quei ruderi, carcasse, defunti carrozzoni senza più ruote né motori, si risvegliano, ed è ra ro che non vengano a lite. Quasi sempre, anzi, scendono alle vie di fatto. Non c’è peggior dolore… Ultima consola zione infatti, prima del defini tivo obbrobrio e annientamen to, essi raccontano ai compa gni di sventura i propri anni felici. E nel rimpianto cocentissimo ciascuno si esalta in ventando fasti e glorie inve rosimili, padroni altolocati e famosi, viaggi alla Terra del Fuoco, crociere a velocità su personiche. Gli altri allora lo sbeffeggiano, lui risponde, si scontrano, schianti penosi di lamiere si spandono per la squallida e deserta contrada.
Mi ricordo, una dozzina di anni fa, in un prato in fondo a viale Fulvio Testi, dove por tavo a far correre i cani, di avere conosciuto un vecchio « clochard » ancora ben por tante. Come gli rivolsi la parola, subito cominciò a rac contarmi che sua madre, ric chissima, era stata regina di Niguarda e girava con una car rozza d’argento; poi erano ar rivati i tedeschi (sic) e la famiglia aveva perso fin l’ulti mo centesimo. Sua mamma, aggiungeva, era famosa in tut ta la Lombardia. A questo punto due altri barboni seduti sull’erba un po’ discosto han no cominciato a ridere e a emettere lunghi fischi da mandriano. Al che lui, rosso rabbia, gli si è gettato contro. Erano tutti e tre oltre i cinquanta. Eppure non ho ma visto in vita mia darsene tante.
FANTASMA DEL PASSA TO – Che fine è toccata alla famosa macchina blu elettri co, decapottabile, a due posti, che abbiamo avuta tanti anni fa, che abbiamo desiderata, comperata, amata, coccolata, vezzeggiata, e poi crudelmente abbandonata per prenderne un’altra più giovane e più bel la? Ogni volta si ha l’illusione di un vincolo profondo, come tra vecchi amici, destinato a durare per sempre, e il pen siero rifugge dal momento, che pur si sa presto o tardi inevitabile, in cui ce ne do vremo sbarazzare. Poi, con rapidità imprevista, il momen to viene, si vuotano i riposti gli del cruscotto, si accompa gna la infelice dal rivenditore e la temuta lacerazione senti mentale non avviene, per noi è oramai una cosa morta, sul la soglia non ci voltiamo nep pure indietro per un’ultima oc chiata d’addio. E le avevamo voluto tanto bene! Che fine avrà fatto? Nelle mani di un negriero che l’ha sfruttata bru talmente portandola anzitem po al cimitero? O di un si gnore d’alto sentire che l’ha rimessa a nuovo, anzi arric chita di ogni possibile bellu ria, cosicché oggi è annotata nel Gotha dell’antiquariato in ternazionale? No, non era tipo tanto chic da poter sedurre un esteta. Sarà discesa di pa rallelo in parallelo, come ca pita, fino al profondo polve roso sud, e qui avrà goduto una sorta di seconda amara giovinezza. Poi, anche lei.
Troppo tempo è passato. Non ne rimarrà neanche una fetta di lamiera. Eppure, di quando in quando, là dove si addensano le folle, ai grandi quadrivi, ai terminal d’auto strada, sui viadotti babelici, ci par di intravederla, un po’ sbrindellata ed acciaccata, pe rò sempre di colore blu, sem pre snella, col suo bel musetto impertinente. Ah, il rimorso. Come avvicinarsi, come chia marla? Ma è già sparita. Un’ombra.