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La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

LETTERATURA: I MAESTRI: Taccuino notturno: Analogica

29 Ottobre 2016

di Ennio Flaiano
[dal “Corriere della Sera”, giovedì 3 marzo 1968]

Il medium è il messaggio. Se abbiamo ben capito, pro ­fessore, è inutile aprire le lettere, è il postino che dob ­biamo leggere. L’immaginazio ­ne al potere. Ma quale imma ­ginazione accetterà di restar ­vi? La crisi della cultura. C’è sempre stata: Shakespeare non sapeva il greco e Omero non sapeva l’inglese. La crisi del romanzo nasce dalla sicu ­rezza dei personaggi, che aspettano soltanto nuovi mi ­glioramenti. La parola verità non significa nulla da quan ­do la menzogna è diventata inutile. La natura è soltanto un luogo dove andiamo a me ­ravigliarci di essere tanto stupidi. La bambina che assag ­giava per la prima volta una arancia disse: « Toh, sa di aranciata ». E un altro bam ­bino in villeggiatura scrisse: « Qui i polli vanno in giro crudi ». La mamma domandò al bambino: « Come nascono i genitori? ». E il bambino: « Vuoi dire: muoiono ». A proposito della prossima rivo ­luzione affluente del 1980 uno storico dirà che quando annunzieranno al Presidente che il popolo vuole pane egli risponderà annoiato: « Ma se non ha ancora finito le brioches! ». Un calcolatore scrive ­va racconti che riunì in volu ­me. Un critico ne affidò la re ­censione ad un altro calcola ­tore. I conti non tornarono.

*

Eliogabalo invitava i suoi amici a un orgia d’amore. Sui tappeti e i cuscini di un sa ­lone le coppie si allacciavano, si scambiavano, soprappone ­vano, enfatizzando il piacere per compiacere il sovrano, che aveva diciotto anni. Il sovra ­no, sul suo largo trono-letto, circondato da cinedi e corti ­giane (egli era in realtà spo ­sato con un centurione) trat ­teneva invece il suo piacere. E regolava quello degli altri. Petali di rose piovevano dal soffitto, lanciati da schiavi fiorai. La pioggia aumentava, i petali cadevano sempre più fitti, poi a mazzi. Qualcuno dei partecipanti aveva la sen ­sazione di una trappola, ag ­grottava le sopracciglia, ten ­tava di sollevarsi, un blocco di un quintale di rose lo schiacciava sul pavimento. Tra le urla e lo spavento, altri blocchi cadevano. I lussuriosi laggiù non sfuggivano alla morte, per ferite o soffo ­camento. Eliogabalo esempla ­va per il suo piacere quella che è la condizione dell’amo ­re sensuale: che dapprima de ­lizia e infine uccide per la sua stessa intensità, la quale si sviluppa secondo una pro ­gressione geometrica, e chie ­de a se stesso sempre nuove forze e immaginazioni, fino al punto critico di rottura. Risulta però che Eliogabalo si riteneva un moralista, ave ­va crisi mistiche, era fedele agli Dei, dei quali del resto faceva parte nella sua qualità di imperatore. Era insomma un quaresimalista che invece di minacciare le pene dell’inferno le dimostrava.

Ma non fu capito. Trovò la morte in una rivolta di cor ­tigiani. Oggi, con le sue idee, farebbe il regista.

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La sera del ritorno del Figliol prodigo tutti erano stan ­chi per le emozioni e il gran cibo. A tavola, sino a tardi, mangiando i resti del vitello grasso, con il solito vino che aveva acceso i discorsi e ora invitava al canto. Solo il figliol prodigo taceva. Era alla destra del padre, con le dita arrotolava palline di mollica, ogni tanto volgendosi ai com ­mensali con un sorriso di umi ­le bontà. Era già notte quan ­do la festa finì. Per qualche momento l’aia risuonò dei sa ­luti degli invitati, e di can ­zoni. Il figliol prodigo trovò lenzuola ruvide e fresche, il materasso rifatto e vi affon ­dò in un sonno pieno di ri ­morsi che si andavano pla ­cando. Alle otto del mattino dormiva ancora e la casa era in faccende. Il padre disse che bisognava lasciarlo dor ­mire.

Nessuno gli rispose. Alle dieci si sentì la voce del fi ­gliol prodigo che chiamava dalla sua stanza, chiedendo la colazione e il giornale. Una giovane sguattera mormorò al ­lora, ma non tanto a bassa voce da non essere sentita: «Ci risiamo ». Il padre uscì verso la corte.

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Per l’aumentato benessere medio l’uomo e la donna si vanno orientando verso una morfologia utilitaria. Nelle classi giovani circolano già i modelli che verranno prodotti in larga serie nel futuro; uo ­mini agili, sicuri, di buon affidamento e di basso consu ­mo: donne di media statura, facile manutenzione e dalle prestazioni standard. Lievi differenze nelle rifiniture. La natura fa ancora pochi esemplari di uomini e donne lusso, destinati allo spettacolo e al consumo collettivo d’informa ­zione, alla pubblicità, ai roto ­calchi.

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Ho notato che da un paio di mesi a questa parte non si guarda più volentieri la lu ­na; o non la si guarda come prima. Le rimproverano di es ­sere stata sino ad ora l’ogget ­to di inutili fantasie e senti ­mentalismi: un deposito di malcollocate tenerezze; infine, una delusione. Tra l’altro, ri ­mava con fortuna, bruna, cu ­na, nessuna.

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La tua ansia di evadere, caro amico, non è suggerita dalle pareti nude e malsane del carcere, ma dagli affreschi che ne decorano il soffitto, dalle inferriate del XVI seco ­lo, dai damaschi e dai tappe ­ti, dalle argenterie e dal mo ­bilio, dallo sprofondare dei divani, e soprattutto dalle fac ­ce degli altri carcerati, dalla loro attività artistica e cultu ­rale, e dai loro inesauribili di ­vertimenti.

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Se due attori o due can ­tanti, o due personaggi da rotocalco lasciano le loro rispet ­tive famiglie, si mettono in ­sieme e fanno figli, la stampa dice che tra loro c’è un’affet ­tuosa amicizia, che sono fi ­danzati, eccetera. Se tu hai una storia con una donna qualsiasi, sei un maturo don Giovanni, lei è un’adultera o una scervellata, la vostra sto ­ria è squallida e riflette la bassezza dei costumi del no ­stro tempo, il declino della famiglia, dei valori morali, il disordine dei sentimenti, la decadenza dell’America e il cattivo influsso del cinema. Ti diranno che la colpa è delle masse che non possono vive ­re senza una proiezione miti ­ca dei loro desideri, una con ­tinua identificazione. Le mas ­se hanno bisogno certamente di Dio, la domenica, ma an ­che di un certo numero di fa ­raoni, ai quali sia lecito quel ­lo che esse non possono (e non devono) raggiungere: la libertà coniugale, la facilità di sempre nuove esperienze, la ricchezza incalcolabile, la ubiquità, l’affrancamento da ogni giudizio. Le masse delegano la loro vita a questi modelli illustri, trasferendo però su di loro parte della loro miserabilità.

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A proposito di un film di Sordi e Manfredi sull’Africa, che mi è piaciuto per la giustezza di un’osservazione di fondo, questa: l’italiano, nella sua qualità di personaggio co ­mico è un tentativo della na ­tura di smitizzare se stessa. Prendete il Polo Nord: è ab ­bastanza serio preso in sé. Un italiano al Polo Nord vi ag ­giunge subito qualcosa di co ­mico, che prima non ci aveva colpito. Il Polo Nord non è più serio. La vastità della su ­perficie ghiacciata è eccessiva. A che serve? Perché? Non si può far niente per rimediare? pensa il personaggio comico italiano.

La savana, la giungla, i grandi spazi dell’Africa. Due italiani bastano a corromper ­li. « Dottore… ». « Ragionie ­re… ». Non rinunziano ai lo ­ro titoli, guardano i grandi spazi, vi si perdono, li per ­corrono senza convinzione e dubbiosamente. « Con lei in Africa non ci vengo più », ec ­cetera. Quando due italiani si incontrano per caso all’estero, la loro prima reazione è un gran ridere. « Che fai qui?… E tu? ». Infatti si suppone che se sono fuori casa è per mo ­tivi essenzialmente comici: il lavoro, la noia, una curiosità piena di riserve, le donne, i piaceri eccetera.


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A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart