LETTERATURA: I MAESTRI: Taccuino notturno: Inediti di Kafka5 Novembre 2016 di Ennio Flaiano Nell’aprile di due anni fa ero a Praga. La città mi ap parve stupenda, le persone che man mano conoscevo mi sembravano vecchi amici, ave vano la franchezza, la pover tà, l’ironia degli amici di un tempo. C’era nell’aria un’at tesa inesprimibile, che quelli della mia generazione hanno conosciuto verso la fine del fascismo e si esprimeva nei silenzi, nel vagabondare, in improvvisi atti di gentilezza. Ero in una birreria quando uno sconosciuto, vedendomi straniero, venne ad offrirmi un sigaro. Un tale che mi ac compagnava in visita al Ca stello, eravamo nella sala di Venceslao magnifica e deser ta, mi afferrò il braccio e mi guardò senza dir niente: era semplicemente felice per un pensiero improvviso. Io dove vo capire perché. Prima di partire, un altro tale (ha la sciato il suo paese dopo l’ago sto del ’68, ma inutile fare nomi) mi accompagnò al nuo vo cimitero ebraico, alla tom ba di Kafka, anzi del Dr. Kafka, un po’ sorpreso che volessi vederla. Mi disse che non leggeva più Kafka da molto tempo. Inutile leggerlo, mi disse, se si deve vivere. Anzi: « Se si deve continuare a vivere, è meglio non cono scere con troppa precisione quello che ci accadrà ». Aveva già vissuto alcuni momenti descritti da Kafka, e molti luoghi dei racconti di Kafka li vedeva come luoghi nei quali aveva vissuto, non sapeva più se nella realtà o nell’immaginazione. Aveva provato le angosce della ta na, un inverno senza carbo ne, la colonia penale; e quel la di svegliarsi verme. Aveva provato anche che cos’è un processo di cui non si cono sce né il giudice né l’impu tazione. « Ma ci sono sempre, aggiunse, altri racconti di Kafka che devono realizzar si ». Gli domandai quali. Mi rispose: « C’è un racconto, per esempio, che si chiama ‘Una vecchia pagina’. Parla di un’orda di nomadi che hanno invaso una città e che fra loro si esprimono come cornacchie. Sono nomadi fe roci, ma non si può dire che usino la violenza, la prospet tano soltanto. Davanti alla loro presa di possesso ci si fa da un lato e si abbandona tutto ». Dissi che questi toni profetici non erano quelli che preferivo, di Kafka. Potevano adattarsi ad ogni circostanza, come le quartine di Nostradamus. « E’ probabile, rispose, ma resta da spiegare perché tut te le nostre circostanze si adattano alle profezie, io le chiamerei previsioni, di Kafka ». * Fuori del cimitero cammi nammo senza parlare in un viale deserto. L’accompagna tore si fermò, si guardò intor no, mi scrutò negli occhi: « Ci sono poi i racconti inediti e perduti, o quelli automatici. I racconti che nessuno scrive e che tutti sanno. Questo, per esempio, potrebbe essere di Kafka. Possiamo intitolarlo: ‘Il peccato’. Sa qual è il vero peccato, qui? Il pecca to che può tenerti sveglio notti e notti nel terrore del castigo? ». «L’impazienza, risposi. Kafka dice che dall’impazien za derivano tutti gli altri pec cati capitali. E’ nel Diario ». « Questo è peggiore di tut ti. Sentiamo, indovini. Uccide re? Rubare alla vedova e al l’orfano? Non mi faccia ri dere. Commettere adulterio, incesto, falsa testimonianza, tradire i genitori e i fratel li? Non ci siamo. Il vero enorme peccato, quello che ti fa alzare di notte in piedi sul letto, bagnato di sudore, che ti fa camminare per stra da con la paura di essere fermato e scoperto, è nascon dere valuta straniera, preferi bilmente dollari ». Ha un sorriso tra ironico e pietoso. « Ecco il racconto, dice. Un tale ha trecento dol lari da parte, nascosti. Lo stanno ossessionando. A sua moglie non può dirlo, ne vor rebbe subito la metà. Allora passa il tempo a cambiargli di posto, tra i libri, nel ma terasso, nelle scarpe, nella tazza del gabinetto. Gli suc cede a volte di non ricordare il nascondiglio. Svita il lam padario, stacca il quadro, fru ga nella stufa, li ritrova in un paio di calzini. Una volta è al suo tavolo di lavoro, in uf ficio, viene il capo e gli met te un dollaro sotto il naso. Crede di svenire. Il capo lo aveva trovato nel gabinetto, forse caduto dalle tasche di qualcuno. Che cos’è? doman da. Un dollaro, risponde il capo. Lui lo prende, lo rigi ra. Curioso! (Non è dei suoi, i suoi sono di grande taglio). Infine glielo restituisce sorri dendo. E passa la notte a cambiare posto ai suoi dollari ». «E perché questo tale conserva dollari? » domando. «Penso che sia il suo solo mezzo di garantirsi un giorno la partenza ». « E come vivrebbe fuori di qui il suo tale? Ha parenti, amici? ». « Nessuno. Sa che fuori di qui si troverà peggio, ma probabilmente vuol essere lui a decidere quale genere di peg gio. Devo aggiungere, per chiarezza, che questo tale ha visto la libertà di sfuggita, quand’era ragazzo, e non gli era piaciuta. L’ha vista andar via senza rimpianti. Ora è cambiato ». « Anche la libertà è molto cambiata da allora ». Risponde: « Sì, so che è invecchiata e che si prostitui sce. Se ne dicono molte sul suo conto. Ma questo tale vorrebbe rivederla ». « Che illusione, dico io, la libertà. Qui ormai avete quasi tutto. Il peggio è passato, Sta lin è sepolto, il suo monumento distrutto a furore di po polo in un lampo, andate ver so l’aurora del socialismo ro sa. Ancora qualche anno e sa rete un paese agiato e felice, tutti in corsa verso il benes sere della revisione. Il perio do dei carcerieri è finito. Ieri sera sono stato in un night club, avete ristoranti ottimi, i camerieri hanno conservato il frac, fate del buon teatro, c’è la birra migliore del mondo, musica, amici, poco traffico, non siete offesi dallo spreco di denaro delle classi ricche, dalla stupidità festivaliera, non avete la petulanza degli scandali, il turismo che cor rompe tutto, la speculazione edilizia che imbratta e sfascia il paese. L’automobile non asfissia ancora le città, gli uo mini non soccombono alla ti rannia dei simboli di presti gio. La ‘corsa dei ratti’ per il successo non vi uccide. Pos sibile che non ci sia niente di meglio della libertà, per il suo tale? ». Ci pensa un attimo. « Certo, la schiavitù. Eguale per tut ti, è più calda, sicura, tran quilla. La sera si va a letto presto, se quello che lei scri ve non piace manca improvvisamente la carta per stamparlo. E così si può credere di essere un genio osteggiato dalle circostanze. Ogni tanto qualche amico sparisce. Me glio, gli amici distraggono. Nei regimi liberi, non si può ne garlo, la polizia è cattiva, il governo inetto, la situazione insostenibile. Condizionando la libertà, la polizia è effi ciente, anzi se ne fa un’altra di rinforzo, il governo diven ta ottimo e non occorre mai di cambiarlo. La situazione è sempre lampante. Nella liber tà, a teatro, ci si occupa prin cipalmente di mettere in dub bio la libertà, l’avanguardia è tutta tesa contro il sistema. Nella schiavitù si può fare del teatro satirico su quelli che sono ancora liberi, o anche un po’ fronda sulla burocra zia, che fa sempre ridere. Im parate la virtù della pruden za e a non parlare mai da vanti a uno sconosciuto, per ciò vi si aprono orizzonti di meditazione. Infine regna l’or dine, i lavoratori sono felici e sorridono sempre, non han no problemi turistici, né sono assillati dall’idea di consuma re. Insomma i vantaggi sono molti. Ma vorrei aggiungere l’argomento decisivo: non si può mai stabilire quando fini rà la schiavitù, una volta ac cettata, e questo dà una gran de sicurezza. Mentre, perché la libertà finisca, basta pen sarlo e volerlo. Una vita d’in ferno ». * Ora siamo in una grande piazza. « Anche quest’altro racconto potrebbe essere di Kafka, dice. Io lo chiamerei ‘Il sottomarino’. Tempo fa un tale aveva trovato una copia del Mechanic Popular Magazine, una rivista ameri cana (sempre loro!) dove so no illustrati modelli di moto ri, di gadgets, di aeroplani, ec cetera. C’era anche il modello, con tutte le misure e le ca ratteristiche, di un sottomari no minimo, per una sola per sona. Semplice da costruire, poteva andare con un motore di motocicletta. Questo tale, un operaio meccanico, tanto giovane che non aveva visto la libertà nemmeno di sfuggita, abitava vicino al Danu bio, a due chilometri dal con fine con l’Austria. In un an no, lavorando di nascosto, si fa il suo piccolo sottomarino. Per andare in Austria deve ri salire la corrente, quindi cal cola che per darsi un margine di sicurezza dovrà stare sott’acqua sei ore. Per andare dove? Non lo sa. Una notte s’immerge e parte. Si tiene sempre accosto alla riva e là, nella sua minima solitudine, possiamo immaginare i suoi pensieri e anche il suo terro re. Dopo sei ore di tortura risale a galla. Apre lo spor tello, sulla sponda c’è una compagnia di poliziotti che sta sorvegliando da un’ora quel tubo immobile. Il sottomarino non si era mosso di un me tro. il motore non aveva avu to la forza di vincere la cor rente. Kafkiano, non è vero? Peccato che la mancanza di umorismo della polizia e la necessità dell’esempio abbiano reso indispensabile la cattura dello sfortunato ingegnere na vale. Perciò il protagonista del primo racconto, se dovrà an darsene, vincerà il carceriere con la sua stessa ansia, quella che ha anche lui di andarse ne, e gliene fornirà il mezzo, quei dollari che si ostina a nascondere cambiandogli sem pre posto ». Letto 1629 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||