Libri, leggende, informazioni sulla città di LuccaBenvenutoWelcome
 
Rivista d'arte Parliamone
La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

LETTERATURA: I MAESTRI: Taccuino notturno: Inediti di Kafka

5 Novembre 2016

di Ennio Flaiano
[dal “Corriere della Sera”, mercoledì 9 luglio 1969]

Nell’aprile di due anni fa ero a Praga. La città mi ap ­parve stupenda, le persone che man mano conoscevo mi sembravano vecchi amici, ave ­vano la franchezza, la pover ­tà, l’ironia degli amici di un tempo. C’era nell’aria un’at ­tesa inesprimibile, che quelli della mia generazione hanno conosciuto verso la fine del fascismo e si esprimeva nei silenzi, nel vagabondare, in improvvisi atti di gentilezza. Ero in una birreria quando uno sconosciuto, vedendomi straniero, venne ad offrirmi un sigaro. Un tale che mi ac ­compagnava in visita al Ca ­stello, eravamo nella sala di Venceslao magnifica e deser ­ta, mi afferrò il braccio e mi guardò senza dir niente: era semplicemente felice per un pensiero improvviso. Io dove ­vo capire perché. Prima di partire, un altro tale (ha la ­sciato il suo paese dopo l’ago ­sto del ’68, ma inutile fare nomi) mi accompagnò al nuo ­vo cimitero ebraico, alla tom ­ba di Kafka, anzi del Dr. Kafka, un po’ sorpreso che volessi vederla. Mi disse che non leggeva più Kafka da molto tempo. Inutile leggerlo, mi disse, se si deve vivere. Anzi: « Se si deve continuare a vivere, è meglio non cono ­scere con troppa precisione quello che ci accadrà ».

Aveva già vissuto alcuni momenti descritti da Kafka, e molti luoghi dei racconti di Kafka li vedeva come luoghi nei quali aveva vissuto, non sapeva più se nella realtà o nell’immaginazione. Aveva provato le angosce della ta ­na, un inverno senza carbo ­ne, la colonia penale; e quel ­la di svegliarsi verme. Aveva provato anche che cos’è un processo di cui non si cono ­sce né il giudice né l’impu ­tazione. « Ma ci sono sempre, aggiunse, altri racconti di Kafka che devono realizzar ­si ». Gli domandai quali. Mi rispose: « C’è un racconto, per esempio, che si chiama ‘Una vecchia pagina’. Parla di un’orda di nomadi che hanno invaso una città e che fra loro si esprimono come cornacchie. Sono nomadi fe ­roci, ma non si può dire che usino la violenza, la prospet ­tano soltanto. Davanti alla loro presa di possesso ci si fa da un lato e si abbandona tutto ».

Dissi che questi toni profetici non erano quelli che preferivo, di Kafka. Potevano adattarsi ad ogni circostanza, come le quartine di Nostradamus.

« E’ probabile, rispose, ma resta da spiegare perché tut ­te le nostre circostanze si adattano alle profezie, io le chiamerei previsioni, di Kafka ».

*

Fuori del cimitero cammi ­nammo senza parlare in un viale deserto. L’accompagna ­tore si fermò, si guardò intor ­no, mi scrutò negli occhi: « Ci sono poi i racconti inediti e perduti, o quelli automatici. I racconti che nessuno scrive e che tutti sanno. Questo, per esempio, potrebbe essere di Kafka. Possiamo intitolarlo: ‘Il peccato’. Sa qual è il vero peccato, qui? Il pecca ­to che può tenerti sveglio notti e notti nel terrore del castigo? ».

«L’impazienza, risposi. Kafka dice che dall’impazien ­za derivano tutti gli altri pec ­cati capitali. E’ nel Diario ».

« Questo è peggiore di tut ­ti. Sentiamo, indovini. Uccide ­re? Rubare alla vedova e al ­l’orfano? Non mi faccia ri ­dere. Commettere adulterio, incesto, falsa testimonianza, tradire i genitori e i fratel ­li? Non ci siamo. Il vero enorme peccato, quello che ti fa alzare di notte in piedi sul letto, bagnato di sudore, che ti fa camminare per stra ­da con la paura di essere fermato e scoperto, è nascon ­dere valuta straniera, preferi ­bilmente dollari ».

Ha un sorriso tra ironico e pietoso. « Ecco il racconto, dice. Un tale ha trecento dol ­lari da parte, nascosti. Lo stanno ossessionando. A sua moglie non può dirlo, ne vor ­rebbe subito la metà. Allora passa il tempo a cambiargli di posto, tra i libri, nel ma ­terasso, nelle scarpe, nella tazza del gabinetto. Gli suc ­cede a volte di non ricordare il nascondiglio. Svita il lam ­padario, stacca il quadro, fru ­ga nella stufa, li ritrova in un paio di calzini. Una volta è al suo tavolo di lavoro, in uf ­ficio, viene il capo e gli met ­te un dollaro sotto il naso. Crede di svenire. Il capo lo aveva trovato nel gabinetto, forse caduto dalle tasche di qualcuno. Che cos’è? doman ­da. Un dollaro, risponde il capo. Lui lo prende, lo rigi ­ra. Curioso! (Non è dei suoi, i suoi sono di grande taglio). Infine glielo restituisce sorri ­dendo. E passa la notte a cambiare posto ai suoi dollari ».

«E perché questo tale conserva dollari? » domando.

«Penso che sia il suo solo mezzo di garantirsi un giorno la partenza ».

« E come vivrebbe fuori di qui il suo tale? Ha parenti, amici? ».

« Nessuno. Sa che fuori di qui si troverà peggio, ma probabilmente vuol essere lui a decidere quale genere di peg ­gio. Devo aggiungere, per chiarezza, che questo tale ha visto la libertà di sfuggita, quand’era ragazzo, e non gli era piaciuta. L’ha vista andar via senza rimpianti. Ora è cambiato ».

« Anche la libertà è molto cambiata da allora ».

Risponde: « Sì, so che è invecchiata e che si prostitui ­sce. Se ne dicono molte sul suo conto. Ma questo tale vorrebbe rivederla ».

« Che illusione, dico io, la libertà. Qui ormai avete quasi

tutto. Il peggio è passato, Sta ­lin è sepolto, il suo monumento distrutto a furore di po ­polo in un lampo, andate ver ­so l’aurora del socialismo ro ­sa. Ancora qualche anno e sa ­rete un paese agiato e felice, tutti in corsa verso il benes ­sere della revisione. Il perio ­do dei carcerieri è finito. Ieri sera sono stato in un night club, avete ristoranti ottimi, i camerieri hanno conservato il frac, fate del buon teatro, c’è la birra migliore del mondo, musica, amici, poco traffico, non siete offesi dallo spreco di denaro delle classi ricche, dalla stupidità festivaliera, non avete la petulanza degli scandali, il turismo che cor ­rompe tutto, la speculazione edilizia che imbratta e sfascia il paese. L’automobile non asfissia ancora le città, gli uo ­mini non soccombono alla ti ­rannia dei simboli di presti ­gio. La ‘corsa dei ratti’ per il successo non vi uccide. Pos ­sibile che non ci sia niente di meglio della libertà, per il suo tale? ».

Ci pensa un attimo. « Certo, la schiavitù. Eguale per tut ­ti, è più calda, sicura, tran ­quilla. La sera si va a letto presto, se quello che lei scri ­ve non piace manca improvvisamente la carta per stamparlo. E così si può credere di essere un genio osteggiato dalle circostanze. Ogni tanto qualche amico sparisce. Me ­glio, gli amici distraggono. Nei regimi liberi, non si può ne ­garlo, la polizia è cattiva, il governo inetto, la situazione insostenibile. Condizionando la libertà, la polizia è effi ­ciente, anzi se ne fa un’altra di rinforzo, il governo diven ­ta ottimo e non occorre mai di cambiarlo. La situazione è sempre lampante. Nella liber ­tà, a teatro, ci si occupa prin ­cipalmente di mettere in dub ­bio la libertà, l’avanguardia è tutta tesa contro il sistema. Nella schiavitù si può fare del teatro satirico su quelli che sono ancora liberi, o anche un po’ fronda sulla burocra ­zia, che fa sempre ridere. Im ­parate la virtù della pruden ­za e a non parlare mai da ­vanti a uno sconosciuto, per ­ciò vi si aprono orizzonti di meditazione. Infine regna l’or ­dine, i lavoratori sono felici e sorridono sempre, non han ­no problemi turistici, né sono assillati dall’idea di consuma ­re. Insomma i vantaggi sono molti. Ma vorrei aggiungere l’argomento decisivo: non si può mai stabilire quando fini ­rà la schiavitù, una volta ac ­cettata, e questo dà una gran ­de sicurezza. Mentre, perché la libertà finisca, basta pen ­sarlo e volerlo. Una vita d’in ­ferno ».

*

Ora siamo in una grande piazza. « Anche quest’altro racconto potrebbe essere di Kafka, dice. Io lo chiamerei ‘Il sottomarino’. Tempo fa un tale aveva trovato una copia del Mechanic Popular Magazine, una rivista ameri ­cana (sempre loro!) dove so ­no illustrati modelli di moto ­ri, di gadgets, di aeroplani, ec ­cetera. C’era anche il modello, con tutte le misure e le ca ­ratteristiche, di un sottomari ­no minimo, per una sola per ­sona. Semplice da costruire, poteva andare con un motore di motocicletta. Questo tale, un operaio meccanico, tanto giovane che non aveva visto la libertà nemmeno di sfuggita, abitava vicino al Danu ­bio, a due chilometri dal con ­fine con l’Austria. In un an ­no, lavorando di nascosto, si fa il suo piccolo sottomarino. Per andare in Austria deve ri ­salire la corrente, quindi cal ­cola che per darsi un margine di sicurezza dovrà stare sott’acqua sei ore. Per andare dove? Non lo sa. Una notte s’immerge e parte. Si tiene sempre accosto alla riva e là, nella sua minima solitudine, possiamo immaginare i suoi pensieri e anche il suo terro ­re. Dopo sei ore di tortura risale a galla. Apre lo spor ­tello, sulla sponda c’è una compagnia di poliziotti che sta sorvegliando da un’ora quel tubo immobile. Il sottomarino non si era mosso di un me ­tro. il motore non aveva avu ­to la forza di vincere la cor ­rente. Kafkiano, non è vero? Peccato che la mancanza di umorismo della polizia e la necessità dell’esempio abbiano reso indispensabile la cattura dello sfortunato ingegnere na ­vale. Perciò il protagonista del primo racconto, se dovrà an ­darsene, vincerà il carceriere con la sua stessa ansia, quella che ha anche lui di andarse ­ne, e gliene fornirà il mezzo, quei dollari che si ostina a nascondere cambiandogli sem ­pre posto ».


Letto 1629 volte.


Nessun commento

No comments yet.

RSS feed for comments on this post.

Sorry, the comment form is closed at this time.

A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart