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LETTERATURA: I MAESTRI: Taccuino notturno: Lettere perdute

10 Novembre 2016

di Ennio Flaiano
[dal “Corriere della Sera”, domenica 5 ottobre 1969]

Carissimo, voi studenti di oggi siete fortunati. Ai miei tempi le scuole erano edifici, spesso sinistri, dove bisognava recarsi ogni mattina, per otto mesi l’anno. Lo studente ave ­va il suo autobus di linea, la sua motocicletta, o alla dispe ­rata, la sua automobile, pro ­prio per andare a scuola. Insensato. Si perdeva molto tempo ad andare su e giù. E in ogni scuola v’erano dei pro ­fessori, si chiamavano così, persone in carne e ossa, che sedevano in cattedra e tene ­vano lezioni.

Poi, sempre d’estate, quando cominciava quello che i cronisti d’allora chiamavano il « grande esodo », gli studenti restavano nelle città per gli esami. Non posso pensarci sen ­za raccapriccio, spesso mi rivedo gli esami nei sogni. Pra ­ticamente erano interrogatori sulle materie che avremmo do ­vuto studiare e conoscere. Ri ­dicolo e affaticante. Ma più temute degli esami erano, da noi, le interviste che subivamo, dopo, circa i nostri propositi per le vacanze e per l’avvenire; e poi le fotografie sui giornali, le riunioni di pro ­testa. le occupazioni del suolo pubblico, i cortei.

Oggi tutto questo è finito Si respira. Le centrali d’jpnosofia trasmettono i loro corsi da mezzanotte all’alba e voi studiate dormendo, senza fa ­tica. I ripetenti dormono un anno di più ed è tutto. In ­fine, sta a voi decidere quan ­do decretarvi, da voi stessi, diplomati e laureati. E’ certo impolitico che il limite d’età per autolaurearsi sia stato fis ­sato a 13 anni. D’altra parte, mi rendo conto delle appren ­sioni dei conservatori: un dot ­tore di dieci o undici anni corre il rischio, nella nostra società imperfetta, di non es ­sere preso sul serio, e questo rifiuto può far sorgere in lui turbe emotive, nevrosi, inap ­petenza. Qui ritorniamo al nocciolo della questione, la presa di coscienza degli stu ­denti delle scuole materne in ­feriori. Ma a che cosa volete che pensi un bambino di tre anni, se non al Sesso?

*

Caro architetto, il piano per la nuova città satellite è per ­fetto. Non manca niente, in attesa dell’acqua sono previ ­ste fontane di luci. Uscendo dal suo posto di lavoro, l’ope ­raio, o l’impiegato, può fare un tuffo nella piscina o i due ­cento metri piani nel campo sportivo e impiegare così il tempo che passerebbe su un mezzo di trasporto o all’oste ­ria. La sua abitazione infatti è prevista a due passi. La mo ­glie durante la giornata ha fat ­to andare la lavatrice, ha di ­scusso con gli psicologi della radio, ha sorvegliato dalla fi ­nestra del 15 ° piano il bam ­bino che gioca nel recinto ri ­servato ai bambini. Il pano ­rama da lassù è stupendo, si vedono tutte le fabbriche per il raggio di dieci chilometri, beninteso nelle giornate sere ­ne. Marito moglie e bambino sono la popolazione ideale dell’architetto. Se egli pensa ai bambini, li vede giocare nel recinto dei bambini, con la sabbia, gli scivoli, i trape ­zi; fra statue di tipo scandi ­navo rappresentanti un padre e una madre nudi che si pal ­leggiano un bambino nudo. Dai giuochi sono esclusi le fionde, le cerbottane, il pallo ­ne che cade nel giardino del vicino, o che rompe un ve ­tro. Escluse le carriole con le ruote fatte di cuscinetti a sfe ­re. Proibiti i petardi di zolfo e salnitro, e lo scambio di ra ­ne. Per fortuna, l’architetto ha dimenticato tutto della sua in ­fanzia.

Se pensa alle persone anzia ­ne, decide che è meglio met ­terle nella casa degli anziani, con saloni di soggiorno, tele ­visore comune e privato, ser ­vizi riuniti, stanze con bagnetto. Le famiglie giovani negli appartamenti dei gio ­vani, con piscina centrale, solarium, drugstore con ser ­vizio di snack-bar e ristoran ­te. Nel sottosuolo è previ ­sto un night-club. Nella cit ­tà satellite si deve vivere con un certo ordine, per pro ­fessione ed età, vivere in ­somma per non deludere il sociologo.

La notte, dalle terrazzine degli appartamenti, dove pe ­raltro è meglio non mettersi per il capogiro e per il vento, si vede l’alone delle luci della vecchia città. Lì ci sono case vecchie, palazzi antichi, chie ­se, trattorie, gatti, birrerie, ci ­nema di quartiere, teatri vuo ­ti, il cartolaio di una volta, il vinaio, botteghe dove ven ­dono ancora bottoni automa ­tici e lapis copiativi. I viali della città satellite sono ben disegnati e vasti. Saranno rallegrati da stazioni di servizio. Bisogna invece popolarli di caffè, trattorie e birrerie, bar tabacchi, vecchi alberghi, biliardi, meccanici, falegnami, corniciai, bancarelle di libri usati, ma soprattutto birrerie e caffè con le sedie fuori, a perdita d’occhio. E lasciar entrare sartine, militari, barboni, turisti, venditori di cocomeri e di zucchero filato, con tutto il coro delle comparse notturne. Si guasta un po’ il progetto, ma non c’è altra so ­luzione.

*

Caro Presidente, gli adora ­tori del Sole sono giustamente trattati come una volta si trat ­tavano gli scolaretti, senza spiegazioni; messi in nuovi al ­berghi della periferia, fra stra ­de ancora dissestate, ma dai nomi sonanti che evocano sog ­giorni di delizie. Probabil ­mente non riusciranno a ve ­dere la città se non da quei loro torpedoni che passano la maggior parte del tempo negli ingorghi del traffico.

Vanno al mare e lo tro ­vano come lo troviamo noi, o irraggiungibile o sporco di pe ­trolio; la benzina, che pure è un derivato del petrolio, man ­ca invece nelle ore notturne. Nei ristoranti vengono tollerati per bontà, i conti sono illeggibili; scoprono che il coperto, un’invenzione italiana del tutto retorica, costa come un pollo; e che nel paese dove fiorisce l’arancio è imprudente chiedere un succo d’arancia; che il pesce viene dalla Tur ­chia o dal Giappone e che la carne fa acqua da tutte le parti. Avventurandosi soli, su ­biscono l’agguato dello scippa ­tore, il disprezzo del ladro di valigie, l’insistenza del venditore di souvenirs, le seduzioni del falsario e del cambiavalute ambulante. Apprendono però l’uso del condizionale allusi ­vo â— « la tariffa sarebbe… il conto sarebbe… ». La not ­te, nelle loro stanzette stu ­diate da magazzinieri, ascolta ­no l’idraulica alberghiera nei tubi più economici, o il traf ­fico estroso sotto le finestre, i rapidi scatti delle utilitarie al segno del semaforo, i rabbiosi cambi di marcia, i motociclisti che gareggiano attorno all’iso ­lato, le discussioni sportive, le risposte dei presentatori tele ­visivi, gli applausi.

Se gente come questa si ostina a venire, un motivo dev’esserci, ed è questo: è gente molto stupida. General ­mente è attratta da un pas ­sato che noi abbiamo impa ­rato a disprezzare, da monu ­menti che ingombrano i luo ­ghi più centrali e adatti per l’edilizia, da musei dove tutti i pezzi sono catalogati e sor ­vegliati, quindi privi di inte ­resse per il commercio anti ­quario. O anche attratta da spiaggie remote e deserte, per fortuna rese da noi frequen ­tabili con varie costruzioni in cemento, e da antichi paesag ­gi che la nostra operosità sta rendendo lottizzabili. Attratta, infine, da una vita che una volta era basata sul riposo, la calma, il sonno delle città del silenzio, la gentilezza; tutti fe ­nomeni che ora ci fanno ri ­dere, e giustamente.

E allora? A questo punto inutile esprimere pietà o mo ­raleggiare, si studi e si pro ­grammi invece la totale stru ­mentalizzazione di questa mas ­sa di inadattati; tenendo con ­to che non va respinta, per ovvi motivi economici. La mia proposta, ancora allo stato di suggerimento, è che tutti do ­vrebbero essere catturati e adi ­biti, per il tempo che dura il loro soggiorno, a quei lavori che ormai ci ripugnano, come distribuire posta arretrata, dirigere il traffico, spazzare le strade, pulire le spiaggie, pic ­chiare i motociclisti, colmare le buche lasciate dagli operai del gas, completare le strade urbane alle quali si lavora da anni senza progresso. E’ chia ­ro che non tutti potrebbero essere adibiti a lavori di pub ­blica utilità. Ma è anche chia ­ro che le autorità potrebbero cedere una quota a organizza ­zioni private o a famiglie, per quei servizi più umili o pro ­priamente domestici, come sbucciare le patate o che so io, che anche i turisti meno intelligenti sono in grado di svolgere.

*

Caro Signore, sto leggendo Caillois, nel suo fondamen ­tale Les jeux et l’homme, e so che il giuoco può essere di quattro generi. Basato sulla lotta, sul caso, sul pericolo e sulla maschera. La « mimicry », cioè l’imitazione, la con ­traffazione, il mascheramento, è oggi il giuoco più diffuso. La necessità di realizzarsi, di essere qualcuno in una socie ­tà che chiede sempre nuovo impegno esteriore a tutti, spin ­ge la più parte delle persone alla ricerca di un’identità da assumere. I sei personaggi cercano non più l’autore ma una maschera. Mentre non è facile essere, è possibile fin ­gere di essere. Par tanto la necessità di una mimicry ge ­nerale. Questo spiega la sen ­sazione di stupore che lei pro ­va a frequentare i suoi simili, che nella quasi totalità hanno assunto l’identità di artisti, di ribelli, di intellettuali, di ipersessuati, di anticonformisti, di poeta e contadino, di zingaro e barone, di perseguitati, di umiliati e offesi, di anime su ­blimi. E il sospetto con cui invece guarda le persone nor ­mali. In realtà, si pensa che la loro mimicry sia troppo subdola, spinta oltre il limite del giuoco e anche della de ­cenza. La normalità procla ­mata ci fa orrore.

 


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Bart