LETTERATURA: I MAESTRI: Taccuino notturno: Lettere perdute10 Novembre 2016 di Ennio Flaiano Carissimo, voi studenti di oggi siete fortunati. Ai miei tempi le scuole erano edifici, spesso sinistri, dove bisognava recarsi ogni mattina, per otto mesi l’anno. Lo studente ave va il suo autobus di linea, la sua motocicletta, o alla dispe rata, la sua automobile, pro prio per andare a scuola. Insensato. Si perdeva molto tempo ad andare su e giù. E in ogni scuola v’erano dei pro fessori, si chiamavano così, persone in carne e ossa, che sedevano in cattedra e tene vano lezioni. Poi, sempre d’estate, quando cominciava quello che i cronisti d’allora chiamavano il « grande esodo », gli studenti restavano nelle città per gli esami. Non posso pensarci sen za raccapriccio, spesso mi rivedo gli esami nei sogni. Pra ticamente erano interrogatori sulle materie che avremmo do vuto studiare e conoscere. Ri dicolo e affaticante. Ma più temute degli esami erano, da noi, le interviste che subivamo, dopo, circa i nostri propositi per le vacanze e per l’avvenire; e poi le fotografie sui giornali, le riunioni di pro testa. le occupazioni del suolo pubblico, i cortei. Oggi tutto questo è finito Si respira. Le centrali d’jpnosofia trasmettono i loro corsi da mezzanotte all’alba e voi studiate dormendo, senza fa tica. I ripetenti dormono un anno di più ed è tutto. In fine, sta a voi decidere quan do decretarvi, da voi stessi, diplomati e laureati. E’ certo impolitico che il limite d’età per autolaurearsi sia stato fis sato a 13 anni. D’altra parte, mi rendo conto delle appren sioni dei conservatori: un dot tore di dieci o undici anni corre il rischio, nella nostra società imperfetta, di non es sere preso sul serio, e questo rifiuto può far sorgere in lui turbe emotive, nevrosi, inap petenza. Qui ritorniamo al nocciolo della questione, la presa di coscienza degli stu denti delle scuole materne in feriori. Ma a che cosa volete che pensi un bambino di tre anni, se non al Sesso? * Caro architetto, il piano per la nuova città satellite è per fetto. Non manca niente, in attesa dell’acqua sono previ ste fontane di luci. Uscendo dal suo posto di lavoro, l’ope raio, o l’impiegato, può fare un tuffo nella piscina o i due cento metri piani nel campo sportivo e impiegare così il tempo che passerebbe su un mezzo di trasporto o all’oste ria. La sua abitazione infatti è prevista a due passi. La mo glie durante la giornata ha fat to andare la lavatrice, ha di scusso con gli psicologi della radio, ha sorvegliato dalla fi nestra del 15 ° piano il bam bino che gioca nel recinto ri servato ai bambini. Il pano rama da lassù è stupendo, si vedono tutte le fabbriche per il raggio di dieci chilometri, beninteso nelle giornate sere ne. Marito moglie e bambino sono la popolazione ideale dell’architetto. Se egli pensa ai bambini, li vede giocare nel recinto dei bambini, con la sabbia, gli scivoli, i trape zi; fra statue di tipo scandi navo rappresentanti un padre e una madre nudi che si pal leggiano un bambino nudo. Dai giuochi sono esclusi le fionde, le cerbottane, il pallo ne che cade nel giardino del vicino, o che rompe un ve tro. Escluse le carriole con le ruote fatte di cuscinetti a sfe re. Proibiti i petardi di zolfo e salnitro, e lo scambio di ra ne. Per fortuna, l’architetto ha dimenticato tutto della sua in fanzia. Se pensa alle persone anzia ne, decide che è meglio met terle nella casa degli anziani, con saloni di soggiorno, tele visore comune e privato, ser vizi riuniti, stanze con bagnetto. Le famiglie giovani negli appartamenti dei gio vani, con piscina centrale, solarium, drugstore con ser vizio di snack-bar e ristoran te. Nel sottosuolo è previ sto un night-club. Nella cit tà satellite si deve vivere con un certo ordine, per pro fessione ed età, vivere in somma per non deludere il sociologo. La notte, dalle terrazzine degli appartamenti, dove pe raltro è meglio non mettersi per il capogiro e per il vento, si vede l’alone delle luci della vecchia città. Lì ci sono case vecchie, palazzi antichi, chie se, trattorie, gatti, birrerie, ci nema di quartiere, teatri vuo ti, il cartolaio di una volta, il vinaio, botteghe dove ven dono ancora bottoni automa tici e lapis copiativi. I viali della città satellite sono ben disegnati e vasti. Saranno rallegrati da stazioni di servizio. Bisogna invece popolarli di caffè, trattorie e birrerie, bar tabacchi, vecchi alberghi, biliardi, meccanici, falegnami, corniciai, bancarelle di libri usati, ma soprattutto birrerie e caffè con le sedie fuori, a perdita d’occhio. E lasciar entrare sartine, militari, barboni, turisti, venditori di cocomeri e di zucchero filato, con tutto il coro delle comparse notturne. Si guasta un po’ il progetto, ma non c’è altra so luzione. * Caro Presidente, gli adora tori del Sole sono giustamente trattati come una volta si trat tavano gli scolaretti, senza spiegazioni; messi in nuovi al berghi della periferia, fra stra de ancora dissestate, ma dai nomi sonanti che evocano sog giorni di delizie. Probabil mente non riusciranno a ve dere la città se non da quei loro torpedoni che passano la maggior parte del tempo negli ingorghi del traffico. Vanno al mare e lo tro vano come lo troviamo noi, o irraggiungibile o sporco di pe trolio; la benzina, che pure è un derivato del petrolio, man ca invece nelle ore notturne. Nei ristoranti vengono tollerati per bontà, i conti sono illeggibili; scoprono che il coperto, un’invenzione italiana del tutto retorica, costa come un pollo; e che nel paese dove fiorisce l’arancio è imprudente chiedere un succo d’arancia; che il pesce viene dalla Tur chia o dal Giappone e che la carne fa acqua da tutte le parti. Avventurandosi soli, su biscono l’agguato dello scippa tore, il disprezzo del ladro di valigie, l’insistenza del venditore di souvenirs, le seduzioni del falsario e del cambiavalute ambulante. Apprendono però l’uso del condizionale allusi vo â— « la tariffa sarebbe… il conto sarebbe… ». La not te, nelle loro stanzette stu diate da magazzinieri, ascolta no l’idraulica alberghiera nei tubi più economici, o il traf fico estroso sotto le finestre, i rapidi scatti delle utilitarie al segno del semaforo, i rabbiosi cambi di marcia, i motociclisti che gareggiano attorno all’iso lato, le discussioni sportive, le risposte dei presentatori tele visivi, gli applausi. Se gente come questa si ostina a venire, un motivo dev’esserci, ed è questo: è gente molto stupida. General mente è attratta da un pas sato che noi abbiamo impa rato a disprezzare, da monu menti che ingombrano i luo ghi più centrali e adatti per l’edilizia, da musei dove tutti i pezzi sono catalogati e sor vegliati, quindi privi di inte resse per il commercio anti quario. O anche attratta da spiaggie remote e deserte, per fortuna rese da noi frequen tabili con varie costruzioni in cemento, e da antichi paesag gi che la nostra operosità sta rendendo lottizzabili. Attratta, infine, da una vita che una volta era basata sul riposo, la calma, il sonno delle città del silenzio, la gentilezza; tutti fe nomeni che ora ci fanno ri dere, e giustamente. E allora? A questo punto inutile esprimere pietà o mo raleggiare, si studi e si pro grammi invece la totale stru mentalizzazione di questa mas sa di inadattati; tenendo con to che non va respinta, per ovvi motivi economici. La mia proposta, ancora allo stato di suggerimento, è che tutti do vrebbero essere catturati e adi biti, per il tempo che dura il loro soggiorno, a quei lavori che ormai ci ripugnano, come distribuire posta arretrata, dirigere il traffico, spazzare le strade, pulire le spiaggie, pic chiare i motociclisti, colmare le buche lasciate dagli operai del gas, completare le strade urbane alle quali si lavora da anni senza progresso. E’ chia ro che non tutti potrebbero essere adibiti a lavori di pub blica utilità. Ma è anche chia ro che le autorità potrebbero cedere una quota a organizza zioni private o a famiglie, per quei servizi più umili o pro priamente domestici, come sbucciare le patate o che so io, che anche i turisti meno intelligenti sono in grado di svolgere. * Caro Signore, sto leggendo Caillois, nel suo fondamen tale Les jeux et l’homme, e so che il giuoco può essere di quattro generi. Basato sulla lotta, sul caso, sul pericolo e sulla maschera. La « mimicry », cioè l’imitazione, la con traffazione, il mascheramento, è oggi il giuoco più diffuso. La necessità di realizzarsi, di essere qualcuno in una socie tà che chiede sempre nuovo impegno esteriore a tutti, spin ge la più parte delle persone alla ricerca di un’identità da assumere. I sei personaggi cercano non più l’autore ma una maschera. Mentre non è facile essere, è possibile fin gere di essere. Par tanto la necessità di una mimicry ge nerale. Questo spiega la sen sazione di stupore che lei pro va a frequentare i suoi simili, che nella quasi totalità hanno assunto l’identità di artisti, di ribelli, di intellettuali, di ipersessuati, di anticonformisti, di poeta e contadino, di zingaro e barone, di perseguitati, di umiliati e offesi, di anime su blimi. E il sospetto con cui invece guarda le persone nor mali. In realtà, si pensa che la loro mimicry sia troppo subdola, spinta oltre il limite del giuoco e anche della de cenza. La normalità procla mata ci fa orrore.
Letto 1487 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||