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LETTERATURA: I MAESTRI: Teleluna

12 Settembre 2017

di Virgilio Lilli
[dal “Corriere della Sera”, mercoledì 23 luglio 1969]

La voce dell’astronauta ha un suono un poco opaco, perfino un poco rauco, come d’una persona che parli so ­gnando; ha, dico, un tono per qualche verso notturno, remo ­to, incantato, sia pure vivo e reale, appunto come sono vive e reali le voci di chi dormen ­do profferisce parole. Mentre noi cerchiamo di districarla da quelle del traduttore e dello speaker della televisio ­ne, i quali ci vengono infor ­mando delle fasi della trasvo ­lata cosmica, essa arriva alle nostre orecchie come il gorgo ­glio d’un’acqua che cada da una roccia, in una foresta, da qualche parte, chi sa dove, scompare, ritorna, è qui ed è già andata, perduta.

Nelle sue inflessioni di lin ­gua inglese-americana è una voce raggio, una voce ectopla ­sma, arriva da centinaia di migliaia di chilometri, dalle contrade senz’aria, nata come nel vuoto d’una campana pneumatica; arriva rimbalzan ­do lungo le orbite che avvol ­gono ormai la Terra come i fili di un gomitolo, di satel ­lite in satellite artificiale, las ­sù. E’ la telefoto della Voce, meglio è la luce della voce, meglio è l’elettricità della vo ­ce, e penetra dentro la nostra casa, con quel timbro da medium, spiritico, come d’un mobile che parli: « Stiamo be ­ne… vediamo ombre incredi ­bilmente lunghe… siamo a duemila metri dalla Luna… ».

Ognuna di queste parole empie da sola il mondo, cade quaggiù su cinque continenti contemporaneamente, sui de ­serti, sulle foreste, sulle me ­tropoli, sulle onde degli ocea ­ni. Migliaia di traduttori la decifrano in decine di lingue, per l’Europa, per l’Africa, per l’Asia, per l’Australia, per l’A ­merica Latina: « Abbiamo con ­trollato la pressurizzazione… apriamo il portello del modu ­lo… zero trentadue centonove… ». Una voce sola, una bocca sola, lassù (o laggiù?), due sole labbra, per alcuni mi ­liardi di timpani, per uomini bianchi, neri, gialli, cristiani, musulmani, buddisti, induisti, confuciani. Una vocina, tutto sommato, la voce dell’astro ­nauta. Ma in realtà è la voce della Luna, in realtà è la Luna che parla.

*

In realtà, ripeto, la Luna non c’è più. La Luna gialla-zolfo, all’aria aperta, stampa ­ta nel cielo come un marchio lucente, la Luna che naviga fra le nuvole veloce come il fanale d’una barca su un nero mare di notte; tonda come una ciambella, o mezza come una fetta di melone, o spic ­chio, o falce, o gancio cornu ­to; con quell’alone a volte dai bordi policromi simile a un perlaceo arcobaleno; la Luna sul cornicione del tetto, la Lu ­na sul campanile, la Luna sulla cima del cipresso; la Lu ­na che si guarda rovesciando il capo all’indietro, che si in ­dica puntando il dito al cielo; se n’è andata. E se ne è andata la Luna silenziosa, anzi silen ­ziosa, con la dieresi sulla se ­conda « i »; la Luna muta, senza un grido, senza un so ­spiro, senza un fruscio, dove essa splende tutto tace, si ode cantare un gallo da qualche parte sulla Terra, si ode la ­trare un cane, chi sa dove, al Madagascar, in Patagonia, si ode un cuculo, uno solo, in lutto il mondo, nella immensa notte pregna del silenzio lunare; la Luna tacita proprio come una bolla d’aria, non c’è più.

Chi si affaccia al balcone per vedere la Luna? Chi leva gli occhi al cielo? Chi esce, dico, di casa? La Luna vera, autentica, è entrata in casa nostra, nella nostra stanza, ec ­cola lì, sul tavolo, ogni casa ha la sua Luna, ognuno può avere l’impressione di toccar ­sela con le dita sullo schermo convesso del televisore in uno spazio piccolo come una pa ­gina di giornale e allo stesso tempo grande come il cielo. E’ la Luna catturata dagli uo ­mini, è la Luna conquistata, prigioniera, chiusa dentro la cornice dell’apparecchio tivù, come in una gabbia, come in un recinto. S’agita un poco, trema, sbianca, oscilla, ci mo ­stra la pelle butterata, tutta buchi, tutta cosparsa di imbu ­ti, s’appanna, si dilata, si rat ­trappisce, somiglia a un orga ­no animale radiografato, sem ­bra la radiografia d’un fegato, d’un rene, d’un tumore, ma non si muove dalla nostra stanza.

A nessuno in tutto il mon ­do, a nessuno delle centinaia di milioni che la hanno osser ­vata ricevere i primi uomini dell’universo sul suo dorso grigionocciola, a nessuno è venuto in mente di uscire dalla stanza e d’affacciarsi al ­la finestra. Mentre i due piccoli, teleguidati cristofori colombi americani la calcavano con i loro piedi grossi come quelli d’un elefante, la Luna gialla-zolfo c’era, fuori della finestra, all’aria aperta, lassù, dentro il cielo nero, nel si ­lenzio notturno. Ma per noi non contava, non era più la Luna, era un mero aspetto esteriore della cartografia ce ­leste, cieca, muta, un’altra co ­sa, un sogno dal quale ci eravamo improvvisamente de ­stati.

La nostra Luna, la Luna dei figli dell’avanzato secolo ventesimo è la teleluna. E non sta zitta un attimo, parla dirottamente, infila parole l’una dietro l’altra, come in delirio, con quella sua cadenza di vo ­ce da persona in trance, con quegli alti e bassi opachi, a volte cavernosi, viscerali, sì sì, da ventriloquio, proprio come se le parole gorgoglias ­sero nel gonfiore del suo ven ­tre: « Okey… okey… okey… ».

Dal 21 luglio dell’anno millenovecentosessantanove, quel colossale rotondo sasso giallo ­gnolo che gira attorno alla Terra non ha più senso. Dal 21 luglio millenovecentosessantanove, la Luna perde i suoi attributi obiettivi, inerti e ac ­quista un unico valore sogget ­tivo, attraverso le manipola ­zioni dell’analisi dell’uomo. In questo senso è essa stessa divenuta un uomo, ed è la ragione per cui parla, per cui entra nelle nostre case, tutta intera o a sezioni, e noi la osserviamo dentro il rettango ­lo dello schermo come osser ­viamo Milva o il Santo Padre, una partita di calcio, o un’operazione sul cervello, che sono tutti fenomeni uma ­ni, tutti « uomini », anche la operazione al cervello, anche la partita di calcio.

*

Tale la nostra Luna: vesti ­ta con una tuta che costa duecentocinquanta milioni di lire, con un serbatoio d’ossi ­geno sulle spalle. La Luna condizionatore d’aria, elettro ­cardiografo, ingegnere aero ­nautico, fisico nucleare, pilo ­ta d’alta quota, paracadutista, capitano di vascello. Una Lu ­na piena di figli, di mogli, i figli degli astronauti, le mogli degli astronauti, una Luna che maneggia perfino le telecamere, che fabbrica metalli superleggeri. E’ la te ­leluna, ripeto, quella che ci tiene inchiodati sulla sedia per ore con gli occhi fissi a una macchia che potrebbe es ­sere un groviglio di budella, anche, non sapessimo che è lei; che tutto sommato è Capo Kennedy, che insomma è Ter ­ra anch’essa, siamo noi che ascoltiamo la voce dell’astro ­nauta: « Abbiamo azionato il motore… qui tutto è meravi ­glioso… », la voce di questo moscerino paragonato allo spa ­zio nel quale naviga, o vola, o galleggia, o non so bene che cosa faccia poiché il ver ­bo ancora non esiste, bisogne ­rà coniarlo, forse « luneggia », forse « spazieggia », chi sa.

La Luna in casa, la tele ­luna, la Luna che parla, che calcola, che dice okey ci ri ­corda ancora una volta che almeno finora l’uomo è tut ­to, o meglio tutto è uomo: senza uomo non c’è la Terra, non c’è lo spazio, non c’è l’analisi infinitesimale, non c’è il calcolo integrale, non c’è la dinamica e non ci sono le astronavi, il propellente, la parola termoionico, gli altiforni, gli operai, gli scienziati, non ci sono le stelle; e non c’è la Luna. Guardando la Luna in cielo noi dicevamo fino a ieri ch’essa aveva gli occhi, il naso, la bocca. Ma ha molto più occhi, molto più naso, molto più bocca ora che non la guardiamo più in cie ­lo, ora che la guardiamo in casa, sul video: la teleluna. Essa è ora cosa umana, anzi humana con l’acca dei latini, ora che gli uomini la hanno toccata, vitalizzata.

(Non dite che questa è let ­teratura. O meglio, sì, ditelo, ma non inquietatevi. La lette ­ratura è una cosa fondamen ­tale, è un ricamo dell’intelli ­genza intorno alle avventure della realtà. Tutte le realtà hanno avuto come primo ri ­flesso umano la letteratura, un impasto di parole, senti ­menti, emozioni, acrobazie mentali, vaneggiamenti. Nella letteratura entrano la poesia, la leggenda, il ragionamento, il sogno, l’intarsio delle paro ­le, il loro puro suono, l’am ­biguità sottile delle contraddi ­zioni, a volte l’impotenza, a volta la malizia. La terra, il mare, il cielo sono oggetti an ­che letterari, hanno la forma dell’intelligenza a volte un po ­co viziata, anche un poco vi ­ziosa, giocosa delle parole. Per esempio nella parola let ­teraria « teleluna ». La quale riduce un antico fenomeno sel ­vaggio dell’universo a un fe ­nomeno civile. Tanto civile che riusciamo già a inserirlo, di colpo, da un mondo arcipreistorico al mondo della scienza, della tecnica e per ­fino della cosiddetta « marcia letteratura »).

 


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Bart