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LETTERATURA: I MAESTRI: Un vecchio amico di famiglia: Thackeray

18 Novembre 2012

di Edmund Wilson
[da “Saggi letterari 1920-1950”, Garzanti, 1967]

I due nuovi volumi di lettere e scritti vari di Thackeray editi a cura di Gordon N. Ray â— The Letters and Private Papers of William Makepeace Thackeray â— si riferiscono al periodo che va dal principio del 1852 alla fine del 1863, epo ­ca della morte dello scrittore, ivi compresi i suoi due viaggi in America, dove tenne conferenze e guadagnò molto dena ­ro; il suo litigio con Dickens e Edmund Yates per l’artico ­lo di quest’ultimo a suo riguardo e la conseguente espulsione di Yates dal Garrick Club ; la campagna elettorale e la scon ­fitta di Thackeray nella circoscrizione di Oxford; la sua at ­tività di direttore del Cornhill Magazine, che diede luogo ad un singolare scambio di corrispondenza fra lui e i suoi colla ­boratori ; e i suoi tentativi di educare le due figlie, che erano rimaste senza madre da quando la signora Thackerav era impazzita e che egli doveva, quando si assentava, affidare alle cure della nonna, impartendo per lettera lunghe direttive per la loro educazione religiosa in cui la decisa posizione antifondamentalista di Thackeray si scontrava con quella della religiosissima signora che servì di modello per il personaggio di Helen Pendennis. Ci sono pure alcune pagine finora ine ­dite sulla personalità e l’opera di Charlotte Brontë, che Tha ­ckeray elogiò pubblicamente ma che a quanto pare lo infa ­stidiva con provocanti e punzecchianti battute tutte le volte che si vedevano; e c’è una lunga lettera a George Henry Lewes, in cui su richiesta di quest’ultimo lo scrittore narra la sua visita giovanile a Weimar ed una conversazione avuta in quell’occasione con Goethe, episodi che già Thackeray aveva registrato in termini vaghi e casuali ma che ora appaiono come soffusi di una calda luce di memoria. In appendice si riportano brani delle lettere scritte da Thackeray alla signora Brookfield o ad amici comuni, che il Ray non ha potuto ottenere nel testo integrale limitandosi quindi a darne gli estratti frammentari pubblicati in cataloghi d’asta. A volte queste lettere illuminano le passioni e le amarezze del periodo in cui Thackeray fu innamorato della signora Brookfield in modo assai più efficace che non i testi completi pubblicati nel secondo volume.

Il Thackeray degli ultimi dieci anni fa un’impressione in genere più amabile del Thackeray dei primi quaranta: paterfamilias vittoriano legato ad una moglie pazza, le sue av ­venture sentimentali sono sempre dolorose; ma i suoi rap ­porti con Sally Baxter, la ragazza americana conosciuta a New York, sono assai più lievi e semplici della deprimente storia con la signora Brookfield. E benché, a quanto sembra, i suoi primi successi nella società londinese lo rendessero piut ­tosto intollerabile, in seguito egli si calma e si fa più garba ­to. All’inizio del terzo volume, lo troviamo nell’atto di con ­cionare in termini alquanto imbarazzanti con una modesta amica di campagna che viene a insegnar musica alle sue figlie: « Giovedì sarà il giorno migliore per venire, ossia il più vicino. Io ceno fuori col Decano di San Paolo (avete saputo di quella grande sala di riunione dal tetto circolare che abbiamo fra Ludgate Hill e Cheapside?) ma per l’ora che rientrerò a casa avrete già fatto amicizia con la signorina Trulock e la signorina Anny e la signorina Harriet. » E gli piace pure informare il prossimo anche quando deve decli ­nare un invito : « Alcuni dei personaggi più importanti mi hanno invitato a pranzo: ma io rifiuto tutto per andare con le bambine. Mie care… Preferirei essere in codesta oscura dimora [degli amici americani a cui sta scrivendo] che non alla tavola dei pezzi grossi. »

Evidentemente egli ce l’aveva un po’ nei confronti del ­l’aristocrazia, perché adesso borbotta a sua madre : « Quante gentilezze non ho io ricevuto da persone desiderose di ser ­virmi? Siamo noi che facciamo la boria dei pezzi grossi : non loro. Loro non ci pensano mai… E venendo a conoscere gen ­te che io considero insolente e arrogante, come per esempio Lord e Lady John, io trovò due tipi alla buona come voi e G.P. â— e nessun disagio prendendo il tè con loro, più di quanto non ne provi con voi »; e: « Vi hanno scritto [le sue figlie] di Bianche Stanley, che adesso è Lady Airlie, quan ­do invitandomi a cena si è allontanata dalle altre signore spostandosi nel salotto grande e parlando solo alle bambine finché non entrarono gli uomini? L’ho chiamata Lady Give-yourself Airlie ed è il solo caso di persona che si dia delle arie da me riscontrato tra le grandi dame. Quelle di mezza tacca sono a volte semplicemente volgari: e davvero arroganti. »

Ma egli smaltì queste ubriacatura. I suoi guadagni gli die ­dero una certa indipendenza economica; e la visita negli Sta ti Uniti nel 1852-53 gli offrì per la prima volta la visione di un mondo completamente non feudale dove la posizione sociale di una persona non dipendeva dalla benevolenza e dal buon gusto dei titolati. « Non c’è niente di cui burlarsi, » scriveva agli amici in Inghilterra, « … certe usanze differiscono dalle nostre, ma si trovano una virilità e una lealtà al cui con ­fronto la nostra società dovrebbe vergognarsi spesso. Mi pia ­ce vedere l’eguaglianza e sulle prime resto un po’ meravi ­gliato quando un negoziante non dice < signore > o un cocchiere dice < aiutate quell’uomo col suo bagaglio >: ma perché no? Sono certo che la società dovrebbe essere come è qui, che nessun danno dovrebbe conseguire a un uomo che ­si guadagna onestamente il pane e che non si dovrebbe permettere che esistano dei poveri. Noi permettiamo che certi uomini siano poveri da noi, ma non tutti. » L’America gli dà perfino alla testa, così come gli era successo al primo con tatto con la nobiltà: « Nel viaggiare in Europa il nostro insopportabile orgoglio inglese diventa ancora più forte, e noi sentiamo di essere meglio di < quegli stranieri >, ma quando si viene qui è meglio non darsi troppe arie. Nazioni più grandi di quanto la nostra non sia mai stata si sono costituite in America e in Australia: ela Verità sarà detta ela Libertà sarà praticata, e Dio sarà adorato in quelle nazioni, come non è mai successo fra gli antiquati intoppi che ci impacciano nel Vecchio Mondo. Io osservo questa nazione e medito su questo luminoso Futuro, come un astronomo che osservi una stella; e ammiro e venero la bellezza della bontà divina. Nel Sud, pur deplorando lo schiavismo, egli pensava che i negri fossero una razza inferiore e che stessero benissimo come stavano:   « Qualunque cosa si dica di loro i negri so in ­felici, almeno tutti lo vediamo, e i padroni delle piantagioni pregano e supplicano ogni inglese di andare nelle loro pro ­prietà e di controllare con i propri occhi. »
Ma poi, ancora una volta, i suoi entusiasmi sbolliscono.

Ritornando in Europa, egli è disgustato al vedere, in Svizzera, degli americani che mangiano con i coltelli e che parlano un pessimo francese o non lo parlano affatto, e si af ­fretta a scrivere ripetutamente ai suoi amici d’America. E, visitando una seconda volta l’America nel 1855-56, più vecchio e sofferente per due malanni come la malaria e la ste ­nosi uretrale, egli scopre che non gli piace poi tanto. Sally Baxter si sta sposando; c’è una crescente ostilità verso l’In ­ghilterra; e Thackeray, quando si reca nel Sud e nel Misissippi per il suo nuovo ciclo di conferenze, vi osserva una maggiore arretratezza e un maggior squallore: in una certa occasione si trova a dover subire la concorrenza e la vicinanza di una compagnia comica che da uno spettacolo in cui figurano certi Selvaggi e una Gigantessa. « Mi sembra, » scrive alle sue figlie, « di non amare più questo paese come prima: non credete? » Egli giudica ancora «lo schiavismo nient’affatto repulsivo â— le facce nere invariabilmente felici e paffute, le bianche volitive e dure… ma si legge che l’altro giorno una donna ha ucciso un bambino e ha tentato di uc ­ciderne un altro e se stessa piuttosto che ritornare schiava; si legge che un gruppo di schiavi fuggitivi si sono rifugiati su un battello fluviale che fa acqua piuttosto che ritornare ». Tuttavia â— il forzoso celibato e i malanni che s’aggrava ­no incidono evidentemente sulla sua visione del Nuovo come del Vecchio Mondo â— nemmeno l’Inghilterra gli piace trop ­po. Anzi, negli ultimi anni, diventa ancora più amaro contro la società in genere e più polemico nei confronti dell’aristocrazia. « B. è stato rovinato dalla spietata Londra, » egli già aveva scritto nel 1853, « ed è terribile a pensarci â— la più malvagia rispettabile cosa (la cosa non è la parola ma io non posso esprimerla); voglio dire che quel mondo è volgare e prospero e contento, non scortese â— benissimo educato â— estremamente disinvolto nei modi, non dissoluto â— lindo nell’aspetto e nel vestire e frequenta la chiesa ogni domenica â— ma agli occhi del Gran Giudice del giusto e dell’errato quale posizione occuperà quella gente con tutte le sue buone qualità e i suoi bei panni? Non sentono mai amore, ma l’amore nasce da solo, loro lo strozzano e lo gettano nella fogna, come le povere ragazze fanno delle loro creature illegittime – contraggono matrimoni di convenienza e sono soddisfatti â— poi il padre va alla Camera dei Comuni o agli Uffici d’Amministrazione, la madre ai suoi balli e alle sue visite, i bambini restano nascosti nelle loro stanze con la governante, e quando viene il turno sono comprati e venduti, e rispettabili e senzacuore, come i genitori prima di loro. » E quando, nel 1857, si presentò alle elezioni come candidato indipendente, egli dichiarava di aver trovato « parecchio malanimo in cer ­ti aristocraticissimi quartieri di Londra » per aver detto che « quei gentiluomini dai nomi titolati, i membri delle gran ­di famiglie aristocratiche, detenevano una grandissima parte delle cariche pubbliche e del governo », e che « da parte mia io desideravo sinceramente che uomini del popolo â— la ­voratori e uomini colti del popolo â— partecipassero alle re ­sponsabilità di governo ». « Speriamo di incontrarci in aprile o maggio, » egli scrive a proposito di Bayard Taylor ad un suo corrispondente americano, « quando io mi vantavo che l’avrei introdotto negli ambienti alla moda. Ma sento che sono in disgrazia negli ambienti alla moda per averne parlato in modo irriguardoso â— e non sarò invitato nemmeno io : altro che poter introdurre altre persone nella alta società. Io fremo di rabbia per questa esclusione… devo ritornare e vedervi tut ­ti. Io lodo il signor Washington cinque volte di più di quanto non lo lodassi quando ero negli Stati Uniti â— il nostro popolo applaude â— la gente altolocata sembra un po’ depressa, ma il famoso Thacker non si cura del loro naturale cattivo carat ­tere. » E ancora, a sua madre : « I pezzi grossi e i magnati sono furiosi. I fastosi palazzi mi sono preclusi â— e avendone avuto veramente abbastanza mi rassegnerò ad una vita tran ­quilla fuori delle loro porte. » Quella frase « il nostro po ­polo » che abbiamo riportato più sopra è tipica del vec ­chio Thackeray. Egli aveva sempre avuto una coscienza di classe eccessiva e disturbante anche per un inglese; ma non si era mai identificato con tanta franchezza, e con un tono di così aperta sfida, con una borghesia colta in conflitto d’in ­teressi con la nobiltà.

Così è proprio in questi ultimi anni che si manifesta nel modo più clamoroso quella che Chesterton ha definito, mi sembra, la « forte ma sonnolenta virilità » di Thackeray ; e, mentre egli invecchia, l’inesauribile fanciullaggine, che in qualche modo continuava ad esistere pur nelle delusioni e nella malattia, diventa qualcosa di più di una grazia salvatri-ce nella misura in cui l’età la trasforma in un conforto. Thackeray, anche per un inglese, parla un po’ troppo di denaro e, anche per un rispettabile vittoriano, un po’ trop ­po dei suoi doveri verso la famiglia e dei sacrifici e degli sforzi che fa per essa. Ma gli piaceva tanto avere dollari e sterline che non può fare a meno di esprimere la sua sod ­disfazione. Sembra che non sappia mai compiere una bene ­ficenza senza renderla nota alle persone a cui scrive, e una volta sembrava morire dalla voglia di far dispetto a un mem ­bro del suo circolo che non aveva contribuito ad una sottoscri ­zione a favore di un amico in serie difficoltà â— facendo cir ­colare una allusiva vignetta del fariseo e del buon samari ­tano â— finché non scoprì che il supposto fariseo aveva già fat ­to tutto il possibile per quella persona in modo’ meno osten ­tato. Ma egli era spontaneamente e profusamente generoso, e tale episodio è compensato da quello narrato da Lionel Stevenson nella sua recente biografia di Thackeray, che lo scrit ­tore salì nella soffitta di un altro vecchio amico rimproveran ­dolo per i suoi cattivi trascorsi, e nascondendo un biglietto da cento sterline perché costui lo ritrovasse dopo. Il suo umo ­rismo, cui un tempo spesso ricorreva per temperare la sua invidia o per vendicarsi degli affronti subiti, diventa ora più simile a quello di Edward Lear nelle sue lettere familiari : un impulsivo dilagare di burle che ha il merito di passar sopra ogni formalità. E nonostante il mangiare e bere lo conducessero alla morte a soli cinquantadue anni, proprio nel momen ­to in cui si accingeva a quella che secondo lui sarebbe stata la sua opera più importante, una storia del regno della Re ­gina Anna, egli non sapeva rinunciare alle feste tra amici e le preferiva a tal punto allo studio che non possiamo dolerci di non averlo mai visto in preda alla noia. Pure, le amabili qualità di Thackeray si sono alla fine manifestate con tanta libertà via via che egli si liberava dalle angosce e dai crucci dei suoi anni più giovanili che, per quanto ci si possa sentire stanchi di lui dopo averlo seguito in questi quattro lunghi volumi, ci sentiamo addolorati arrivando alle lettere in cui sua figlia scrive ai Baxter per informarli della sua morte: per un colpo apoplettico, dopo aver cenato fuori casa, giusto un giorno o due prima di Natale.

Uno dei motivi che ci irritano in Thackeray è la sua ri ­luttanza a prendere sul serio la letteratura e quella noncu ­ranza per i suoi romanzi, già lamentata da Trollope ed Hen ­ry James. Queste lettere documentano ampiamente la sua scontentezza per i suoi ultimi libri. Una volta, durante un viaggio sul continente, egli dovette scrivere in Inghilterra per farsi dire i nomi di alcuni personaggi del romanzo che stava scrivendo. Si impegnò parecchio su Henry Esmond, ma quando non ottenne il successo sperato â— a causa, se ­condo lui, di una recensione sfavorevole â— sembra che in ­tendesse rinunciare a qualsiasi idea di forma classica e di intensità artistica. Allorché Trollope gli disse che l’Esmond era « non soltanto la sua opera migliore, ma la migliore al punto che nessuna le era seconda », Thackeray rispose : « Proprio a ciò io miravo, ma non ci sono riuscito. Nessuno lo legge. In fin dei conti, che importa? »

E, così noncurante della forma letteraria, egli non era nem ­meno particolarmente coraggioso circa gli argomenti. No ­nostante le sue preghiere, dopo Vanity Fair, per trovare la forza di dire « la verità », egli si lasciò facilmente scorag ­giare dalle mode del giorno. In The Newcomes andò contro ogni logica aspettativa facendo sposare Clive con Ethel e, quando James Russell Lowell lo rimproverò al riguardo, così rispose: «Ma cosa potevo fare? C’era tanta gente che li voleva vedere sposati. [Il romanzo era stato pubblicato a pun ­tate mensili.] In verità, avrei dovuto far fuori la povera pic ­cola Rosey in modo piuttosto repentino, ma non può un uomo far quello che vuole delle sue cose? » Ci fu un mo ­mento, dopo la storia con la Brookfield, che egli voleva scri ­vere un romanzo su un uomo che si innamorava di una don ­na sposata â— la donna e il marito sarebbero stati poi riuniti dal comune amore per i figli â— ma sembra che ne venne dissuaso da un amico che inorridiva all’idea; comunque, vi rinunciò. Quando uscì Madame Bovary, Thackeray ne parlò con disprezzo. « È un pessimo libro, » dichiarò, « è un in ­sensibile studio a sangue freddo della caduta e della degra ­dazione di una donna. » Come direttore del Cornhill Magazine, rifiutò un racconto di Trollope col pretesto, a detta di quest’ultimo, che esso « alludeva ad un uomo con figli illegittimi, all’esistenza di una donna non così pura come doveva essere »; e rifiutò pure una poesia della Browning dicen ­do che era â— così egli scrisse all’autrice â— « un resoconto di una passione illegittima di un uomo per una donna ». Trol ­lope ribattè : « E che dire di Adam Bede, Jane Eyre e The Heart of Midlothian, e, nella fattispecie, di The Four Geor ­ges? » E la signora Browning replicò in modo abbastanza spiritoso : « Non sono < una donna dissoluta > â— non mi piacciono gli argomenti scabrosi, né trattare in modo scabroso alcun argomento â— ma sono profondamente convinta che la corruzione della nostra società esige, non la chiusura di porte e finestre, ma luce e aria. » Cominciò a pubblicare i saggi di Ruskin, in seguito raccolti col titolo Unto This Last ma fu così spaventato dalle proteste sollevate allorché le loro ten ­denze socialiste divennero evidenti che scrisse a Ruskin con « molte scuse » e « grande rincrescimento personale » spie ­gandogli che era costretto ad interromperne la pubblicazione. (Bisogna dire, per render giustizia a Thackeray, che il suo lavoro di direttore gli piaceva talmente poco che diede le dimissioni prima della scadenza del termine contrattuale di tre anni.)

 

La mia personale esperienza nel rileggere Thackeray è stata piuttosto deludente. Nel rileggere Jane Austen e Dickens, vi ho trovato più di quanto pensassi trovarvi, e ne sono stato ancora più impressionato che in precedenza. Ma ritornare a Thackeray, quando non si è più giovani, quando non si prendono più i grandi scrittori sulla parola, significa rendersi maggiormente conto delle sue debolezze senza sco ­prire gran che di nuovo. Naturalmente la sua vena era, nei momenti migliori, eccellente; ma si tratta in gran parte sem ­plicemente di una vena che scorre sempre esile o insipida. Non si può fare su di lui alcun solido affidamento, e per ­fino Henry Esmond, benché accuratamente costruito, mi è sempre sembrato piuttosto inconsistente. Si ritorna insomma alla conclusione, confermata da queste lettere, che Thackeray ebbe ai suoi tempi e per un certo periodo ancora una specie di validità sociale che lo fece apparire scrittore più grande di quanto non fosse. Egli era il cronista di un mondo borghese che, benché talvolta umiliato dalla miseria, aveva pur sem ­pre pretese di cultura e di gentilezza. Dissociandosi dalla sua base mercantile, che cominciava ormai a mettere in ridicolo, o assimilandosi alla nobiltà, i cui moduli in parte adottava, questo mondo borghese mirava esclusivamente ad identifi ­carsi con le professioni, con la letteratura e la pittura, con l’esercito e la marina e la burocrazia statale. Gli alti e bassi di questo mondo e l’affermazione della sua fondamen ­tale dignità, nonché una certa insoddisfazione per i suoi metodi, scopi e compensi, costituisce in realtà tutta la mate ­ria di Thackeray, una materia da cui lo scrittore non si al ­lontana mai. Egli non può vedere la società nel suo com ­plesso come Dickens riuscì a vederla, con tutti i paradossi della sua struttura e le contraddizioni provocate dal suo svi ­luppo; è incapace di interessarsi alle persone ed ai rapporti come tali, cosi come facevano Henry James o Jane Austen, in modo insomma da valersene come materiali compositivi di un’opera d’arte. Le sue situazioni e i suoi personaggi costitui ­scono come dei bozzetti, su un piano in certo qual modo più elevato, in verità, di quelli che tracciava nelle sue lettere, ma più o meno si tratta della stessa cosa.

Ai lettori del ceto per il quale scriveva, le puntate mensi ­li dei suoi romanzi apparivano tutte come una serie di lette ­re â— piene di suggestioni e confidenze personali e di occa ­sionali riflessioni sulla vita proposte dagli avvenimenti o da ­gli umori â— in cui Thackeray parlava di persone note sia a lui che a quei lettori. Questo spiega la sua popolarità negli Stati Uniti, dove egli si sentiva tanto più a proprio agio di Dickens. Rendendosi conto di quanto piacevole e convenien ­te sarebbe stato allargare il circolo dei suoi corrispondenti, egli dedicò in modo più o meno diretto ai ceti benestanti ame ­ricani, con le loro idee repubblicane, romanzi come The Four Georges e The Vìrginians e cementò questa entente cordiale trasponendo Miss Sally Baxter nell’inglese Ethel Newcome. Per questa « bella gente » su entrambe le rive dell’Atlantico egli divenne una specie di amico di famiglia: un divertente pettegolo, un moralista mai troppo severo, un uomo di mon ­do che conosceva chiunque valesse la pena di conoscere e che tuttavia non dava ai suoi ospiti la sensazione di essere dei provinciali, un uomo di buone maniere che aveva sem ­pre l’atteggiamento di uno zio intento a correggere le cattive abitudini dei bambini e un convitato che sapeva apprezzare la compagnia, i vini e la buona tavola. E questo ruolo che Thackeray impersonò per la propria generazione e per la successiva spiega in parte, io credo, l’alto concetto in cui i suoi libri sono stati tenuti da certi critici « borghesi » del Vecchio Mondo come George Saintsbury e H.L. Mencken. La smodata esaltazione che quest’ultimo fece di The New-Comes e che il primo dedicò a tutta l’opera di Thackeray è dovuta probabilmente ad impressioni immediate, al fatto che quei critici poterono identificarsi nella loro adolescenza con i Pendennis e il Clive Newcome e gli Esmond. Fino al 1910, suppongo, ragazzi e ragazze continuavano ancora a leggere Thackeray, ma già a quell’epoca egli non era più così vici ­no alla vita che essi realmente conoscevano. Non credo che i suoi romanzi avranno mai più altrettanto significato, giovani o vecchi che siano i loro lettori.

8 febbraio 1947


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Bart