LETTERATURA: I MAESTRI: Una storia frivola20 Luglio 2017 di Carlo Laurenzi In un vecchio appunto â— lo schema per una deplora zione dei play boys negli anni Cinquanta, sotto la specie tutta romana di « accompa gnatori di dive » â— trovo il ritrattino, appena schizzato, di un tale che detestavo non pro prio come uomo ma come modello. (I nostri rapporti erano superficiali e corretti, talvolta cordiali.) Scrivevo: « Incontro di quando in quando, in compagnia medio cre, un play boy che ha var cato forse la sessantina, azzi mato, dai capelli lucidi e neri, di breve e assettatuzza per sona, con occhietti mongolici nel viso bolso: è un uomo tut tora in vista nella nostra café-society. Penso a lui come all’incarnazione di un monito della Bibbia ». Possibile che fossi così esasperato e setta rio? Qualcosa che somiglia più alla tenerezza che alla giu stizia mi spinge a una rettifica senza scopo. Quell’uomo, che brillò nell’Italia festaiola, è morto da vari anni. Era sulla cresta dell’onda; non ha la sciato traccia di sé. * Se continuassero a esistere i romanzieri e io fossi roman ziere, cercherei di scavare nel la memoria o piuttosto di af fidarmi alla fantasia per giun gere a una « verità » sosteni bile nel mettere a fuoco il « personaggio » di lui. Invece non ho intenzione di mettere a fuoco alcun personaggio; obbedisco a una punta di ri morso. La mia frase « penso a lui come all’incarnazione di un monito della Bibbia » è iniqua e retorica. Quando la scrissi, oltre tutto, non avevo letto la Bibbia. Adesso, aven dola letta, l’autocritica mi sembra doverosa. Sarebbe molto bello che mi cospargessi non invano il capo di cenere, cioè che potessi rovesciare il quadro e applicarmi all’apologia dell’offeso. Purtroppo un’apologia di costui, anche a distanza di tempo, lederebbe la verità. Era un uomo; un uomo vanitoso: ed è morto. Non farò il suo nome, giac ché temo che sveglierebbe me morie pettegole in persone pet tegole: gli altri hanno dimen ticato. Eccoci di fronte, una volta di più, all’inesorabile oblio dal quale saremo tra volti. Comunque non verrò meno all’obbligo delle rettifiche. In primo luogo, non penso affat to che il play boy, a quell’epo ca avesse varcato la sessan tina: però la notazione nasce va stranamente da un abba glio quasi adolescenziale, non da una volontà di calunnia. Diciamo che l’uomo aveva varcato la cinquantina: a me pareva stagionatissimo; in real tà era giovanile, come dimostravano i suoi « capelli neri e lucidi ». Usava una formida bile brillantina chiamata Mastix, forte come la pece e schernita dalla mia generazio ne, che fu la prima a odiare la brillantina. L’uomo era ef fettivamente di « breve e assettatuzza persona », al pari di ser Ciappelletto, ma saldo e agile altresì, da buon gioca tore di polo. Può darsi che il suo viso fosse (leggermente) bolso; nulla di meno esatto che i suoi occhietti fossero mongolici. Erano piccoli, ma grigi ed energici, simili forse a quelli della madre, che credo fosse inglese. La sua giornata era frivola e intensa. Molte donne lo amavano o cercavano la sua compagnia. Fumava con osti nazione sigarette di tabacco Virginia, le più prestigiose e dannose. Trascorreva lunghe ore dal sarto, imponendogli un taglio meticoloso, assai stretto, assai criticato: posse deva cento vestiti, le cui stof fe erano sempre sobrie cosic ché non risultava facile distin guere un abito dall’altro. Il ta gliatore, rammento, non ave va simpatia per lui. Poi, oltre i cento vestiti, possedeva una automobile americana e una moglie â— biondissima, adun ca e regale â— che un anno, se non erro, figurò tra le dieci donne meglio vestite del mon do, in quella famosa classifica: ad ogni modo vi aspirava. Ho l’impressione che il play boy e la moglie fossero separati e, naturalmente, buoni amici. Ap partenevano entrambi a quel la che più tardi sarebbe stata definita la jet society. Non è da escludere che lei, soprav vissuta, ne faccia parte tuttora. Mi sbigottì del play boy (una sera, in un albergo di Venezia, quando per errore portarono i suoi bagagli nella mia camera) l’imponenza del le cassette, borse di cuoio grasso, flaconi di cristallo e d’argento che contenevano le sue lozioni e creme di bellez za. Tuttavia, l’uomo aveva an che un job, alcunché fra l’edi toria e la pubblicità, aleatorio secondo alcuni, ottimamente retribuito a giudicare dalla sua quotazione mondana. Attorno al suo grande tavolo di lavoro (su cui vidi soltanto una car tella di marocchino, un vaso con un mazzo di rose e una copia di Life) due giovani del bel mondo, soci o visitatori che fossero, erano chini a con templare certe foto nella rivi sta. Il loro aspetto contrastava con la bassa statura del prin cipale: erano sottili e altissi mi; ricordo che uno aveva i capelli a spazzola e una faccia da pesce; il loro abbigliamento, in quegli anni compassati, veniva giudicato vistoso, addirittura non tollerabile. Tutti e tre, il principale e i compari, ridacchiavano, si scambiavano gomitate e striz zate d’occhi; apparivano ecci tati o deliziati; mi invitarono a unirmi a loro nell’ammira zione di Life. La rivista Life pubblicava un servizio, con immagini sostanzialmente pu diche, su una ragazza sorpresa nuda in un bosco del Vermont. Ignoro perché la ragazza si aggirasse nuda in campagna, né giurerei che fosse stata pro prio «sorpresa » dall’obbiettivo. Certo era goffa e graziosa; deb bo aggiungere che l’obbietti vo, nel chiaroscuro del foglia me, aveva svelato soltanto la nudità delle spalle, su cui scen devano i capelli chiari, e il dorso, e le gambe in fuga, come una ninfa. Tuttavia il servizio ci sembrò altamente libertino: ciò sia detto a ri prova della resa o liberazione che sta segnando questi ultimi anni. Ma il turbamento dei tre era decuplicato dal fatto che ciascuno si dichiarava sicuro di avere identificato la ninfa: « E’ Marjorie, ci scommetto l’osso del collo, è Marjorie » ripeteva il play boy con ac cento romanesco. Marjorie ave va diciotto anni, era dello smart set, era stata in collegio a Poggio Imperiale, aveva uno zio miliardario, qualche mese avanti era stata corteggiata a Fregene. Il giovane dalla fac cia di pesce ammise di aver visto qualcuno baciarla sulla bocca, una sera. * Questa è una relazione fa tua, l’avevo premesso. Le ret tifiche sono state compiute, ma temo che non intacchino il giudizio globale, almeno se ci atteniamo alle apparenze. Magari anche sulla base di queste apparenze taluni po trebbero sostenere la superio rità degli anni Cinquanta sui nostri anni: gli uomini ave vano i capelli più corti, le donnine portavano sottane più decorose, gli amori serbavano qualche mistero, la galanteria non era spenta del tutto, le canzoni erano sussurrate e me lodiche, prendevamo abbastan za sul serio i film passionali, una Marjorie nuda offriva scandalo e brivido (ma io so spetto che non si trattasse di Marjorie), altri valori meno insignificanti non venivano, come si dice con gallicismo contestatario, messi in que stione. Se la civiltà occiden tale è in coma dal 1914, non ci si stupirà che di decennio in decennio, di anno in anno, si precipiti verso la fine. Do mani, fra una notte, sarà peg gio di stasera. Ma noi moriamo; e questo ci rende uguali a coloro che verranno. Ci scordiamo l’uno dell’al tro, è come se nessuno aves se incontrato nessuno. L’anno scorso o tre anni fa o forse cinque anni fa il play boy è spirato nel sonno: la sua me moria è già polvere: io non ebbi che la sua parvenza. Al tri hanno la mia, rassegnati a dimenticarmi senza rancore né pena. Letto 1152 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||