LETTERATURA: I MAESTRI: Variazioni #2/1021 Dicembre 2017 di Eugenio Montale Leggo che un giovane prete, non so se olandese o fiammingo, è stato autorizzato dal suo vescovo a fidanzarsi a titolo sperimentale. L’esperi Âmento durerà sei mesi: du Ârante i quali i due promessi sposi saranno tenuti sotto osservazione da un gruppo di teologi, psicologi e behaviouristi di vario stampo. Penso che il buco della serratura sarà il principale mezzo di controllo. Qualcosa di simile si era già visto nelle vecchie pochades; ma l’osservatore di singoli fatti (post-matrimonia Âli) era un solo uomo previsto dalla legge. Ignoro se oggi un personaggio di questo tipo sia ammesso dal nostro codice. Il lato curioso del fatterello ri Âferito dai giornali è che il controllore sia multiplo. Avre Âmo forse un verbale di mag Âgioranza e uno di minoranza. Non si riesce a comprendere come e perché la vita degli ecclesiastici dia luogo a fatti che nemmeno la fervida fan Âtasia di Georges Feydeau po Âteva escogitare. Da anni non era un mistero per nessuno che molti preti avrebbero vo Âluto prender moglie. Era pos Âsibile a una Chiesa che non usa più l’arma della scomu Ânica e respinge persino la pa Ârola « eresia », era possibile a un’Ecclesia apparentemente immobile ma in realtà capace di infinite trasformazioni, di prender atto del fuoco che covava sotto la cenere? Cer Âto sarà un peccato veder spa Ârire dal mondo della comme Âdia dell’arte la tradizionale figura della Perpetua. Ma non credo che le preoccupazioni del Magistero siano di que Âst’ordine. Tanto più che nes Âsun vincolo coniugale caccerà mai dal nido infinite perpetue. In ogni modo è questione di anni, mi dice monsignor Zeta. E la Chiesa non pensa per anni, ma per secoli. Quale imprudenza ai tempi che cor Ârono! * I musicisti che devono ap Âpoggiarsi alla parola si servono quasi sempre di parole brutte. Ci sono eccezioni, che ricorderò, ma quando si ascol Âta il Pierrot lunaire e lo stesso Pelléas si resta sorpresi con Âstatando che uomini come Schoenberg e Debussy non abbiano sdegnato di mettere in musica simile paccottiglia verbale. Le eccezioni sono po Âche: alcune risalgono alle ori Âgini del melodramma, altre si osservano nel campo liederistico (Heine ha avuto buona fortuna). A parte restano i casi di Mozart e di Wagner. A Mozart servono particolari schemi ritmici e le sue opere restano in piedi anche se tra Âdotte da un abile uomo del mestiere. Wagner si è scritto da sé i suoi testi; non era probabilmente un grande poe Âta (in versi) ma la sua at Âtenzione alla parola giustifi Âca il fanatismo di quelli che vorrebbero ascoltarlo sempre « nell’originale ». Anch’io pre Âferisco ascoltare Mussorgski in russo sebbene sia ignaro di quella lingua. Mi sono così risparmiate le orrende parole della versione. Non so che cosa accada sentendo il Wozzeck in lingua italiana. Pro Âbabilmente non accade quasi nulla perché in lui il suono (verbale) è secondario. Nel melodramma verdiano, e so Âprattutto nel post-verdiano, la parola è un fil di ferro che de Âve piegarsi alle necessità voca Âli anche se il significato fa a pugni con la musica. Quasi mai si comprende come il si bemolle o il do del tenore che dovrebbero corrispondere a uno stato d’animo partico Âlare siano collocati nelle frasi più insignificanti. Dell’incon Âgruenza si accorse Pizzetti, spesso autolibrettista, ma la sua continenza trasformò il canto in un perpetuo recita Âtivo e il rimedio si rivelò peggiore del male. Oggi i pa Ârolieri tipo Sanremo mettono insieme poche dozzine di pa Ârole che sono sempre le stesse e non richiedono di essere poste in un qualsiasi contesto. Poiché nel campo dell’opera in musica si parla ad ogni secolo di riforma, anche que Âsta dei parolieri è una rifor Âma bell’e buona, ma attuata al più basso dei livelli. Non si potrà scendere più in giù. * Roberto Bazlen di cui le edizioni Adelphi pubblicano le Lettere editoriali (140 pa Âgine in tutto, scritte tra il ’51 e il ’62) è passato nella vita di chi l’ha conosciuto â— nel mio caso per un trentennio â— come un uomo ch’era sempre al di fuori e al di là di tutto; senza per questo cessar di es Âser profondamente dentro al fenomeno della vita. La lette Âratura, e particolarmente quel Âla mitteleuropea di cui era impregnatissimo, fu il suo campo di esperienza, ma es Âsa non era che una finestra aperta sul fenomeno antropo Âlogico della vita. Perciò è molto difficile dire a chi non l’ha conosciuto che genere d’uomo egli fosse. Si può pro Âcedere per esclusioni. Non avrebbe amato definizioni co Âme uomo di lettere, scrittore, intellettuale o altre consimili; diffidente com’era di ogni mi Âsticismo riderebbe se lo defi Ânissi come un mistico dell’anonimato. E’ certo ch’egli passò nella vita col desiderio di non lasciar tracce tangibili del suo transito. E’ anche vero che non distrusse pagine   di diario, poesie, scritte in tedesco, un abbozzo di romanzo; ma non c’è prova ch’egli intendesse pubblicare nulla. E poi che senso ha parlare di transito per un uo Âmo che non ha mai creduto nell’esistenza della morte? Se si potesse attribuire a Bobi una filosofia (disciplina da lui detestata) diremmo che il punto fermo dei suoi ultimi anni era questo: non c’è la morte e non c’è neppure la vita intesa come qualcosa di psichicamente distruggibile. Largamente aperto ad ogni idea nuova, passato indenne attraverso infiniti ismi, Bobi era prontissimo a svincolarsi ogni volta che qualche sua opinione fosse accettata dagli altri, trasformandosi in un cliché. Non per questo egli si contraddiceva; semplice Âmente passava oltre, lascian Âdo interdetti i suoi innume Ârevoli amici e discepoli. Cer Âcava l’uomo nello scrittore; e nell’uomo la decenza intesa come un fatto di stile. Infalli Âbile quando avvertiva in un libro qualche cosa di vellei Âtario e di falso era indiffe Ârente di fronte alle opere compiute, levigate, perfette. La letteratura italiana lo in Âteressava poco o punto. Quan Âdo lo conobbi pretendeva addirittura che la nostra lingua, priva di Stimmung e di inti Âmità , non potesse produrre nulla di buono. Io ero seria Âmente imbarazzato trovando Âmi tra le mani uno strumento inservibile. Poi ho alquanto modificato quella mia impres Âsione. In ogni modo Bobi, povero in canna e senza alcun desiderio di far quattrini, vis Âse abbastanza bene in Italia: come possono viverci gli stra Ânieri, che ne vedono i vantag Âgi senza essere personalmente toccati dagli orrori nei quali sono immersi gli italiani tota Âli, anagrafici, prendibili, fiscalizzabili, classificabili. Il libretto ch’egli ci lascia (pubblicato da alcuni amici) è forse il miglior esempio di critica quasi letteraria che sia mai apparso da noi. E’ però largamente inimitabile. Ai cri Âtici professionali non si può chiedere di vivere une saison, anzi molte saisons en enfer. LA COMMEDIA Si discute sulla commedia: se dev’essere un atto unico o in tre o in cinque come il genere classico; se a lieto fine o tragico; se sia latitante l’autore o reperibile o se un’equipe lo abbia destituito; se il pubblico pagante e gli abusivi. onorevoli o altro non stronchino i soppalchi dell’anfiteatro; se sulla vasta udienza calerà un sonno eterno o temporaneo; se la pièce debba esaurire tutti i significati o nessuno; si arguisce che gli attori non [siano necessari e tanto meno il pubblico; si farfuglia dai perfidi che la stessa commedia sia già stata un bel fiasco e ora manchino i sussidi per ulteriori repliche; si opina che il sipario da tempo è già calato senza che se ne sappia nulla; che il copione è di un analfabeta ed il sovrintendente non è iscritto al partito. Così si resta in coda al botteghino delle prenotazioni in attesa che lo aprano. O vi appaia il cartello ESAURITO. Letto 1384 volte.  Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. 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