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La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

LETTERATURA: I MAESTRI: Variazioni #7/10

2 Gennaio 2018

di Eugenio Montale
[dal “Corriere della Sera”, 29 novembre 1969]

Sullo scorcio del ’98 Benedetto Croce si chiedeva se po ­tessero esistere in arte conte ­nuti non interessanti: e citava il caso del Petrarca, autore « di cose bellissime che pur ci lasciano freddi perché l’ideolo ­gia erotica del poeta ci è di ­ventata estranea ». Tra i con ­tenuti irredimibili dalla forma estetica ricordava il concetti ­smo, il marinismo, ecc., che lo infastidivano « perché il loro contenuto consiste in visioni dei rapporti superficiali delle cose ». Su questo argomento il Croce scambiò alcune lette ­re col Gentile, più giovane di lui, e a malincuore si convin ­se che il contenuto « deve con ­cepirsi come un fatto (una ne ­cessità di fatto direbbe il De Sanctis), uno stato d’animo ecc. E, concepito così, non solo non è soggetto di discri ­minazione estetica, ma non è soggetto di nessun’altra valuta ­zione ». Aggiunse però che se il contenuto fosse concepito come azione (morale) si uscirebbe naturalmente dalla questione.

Sono passati ormai settan ­t’anni e la questione non fu conclusa. Non per il Croce che si mostrò sempre più chiu ­so agli innumerevoli ismi del nostro tempo e dichiarò addi ­rittura la sua avversione alla letteratura contemporanea; nemmeno per il Gentile che in verità non l’aveva mai aper ­ta e che in seguito ci dette una sua filosofia dell’arte che abbraccia tutto e nulla. E’ tut ­tavia curioso vedere come il Gentile giustificava l’accennata frigidità petrarchesca. Quan ­do il Petrarca non ci convince « è perché l’artista voleva cantare d’amore senza amare (in quel momento, s’intende! Pote ­va del resto essere innamorato cotto; ma in quel momento il suo amore taceva), dimenti ­candosi del canone dantesco: mi son un, che quando amore spira noto, eccetera.

Il Gentile aveva ventitré anni quando scrisse queste parole in una lettera privata: si può dunque prenderle come una boutade. Ciò non toglie che il loro senso sia chiaro: quello che qui si afferma è il carattere immediato del rap ­tus poetico. Ora l’innamorato che scrive circa trecentocin ­quanta liriche d’amore per una donna che è già simbolica nel nome non è un amante pen ­dolare che ama un giorno sì e l’altro no: è un innamorato addirittura scotto e decotto, se è lecita la parola. Può sembrar strano che un filosofo noto per il suo radicale antipositivismo abbia veramente creduto che l’emozione provata da un poe ­ta possa essere trascritta sulla carta in quel momento.

So benissimo che scrivendo « in quel momento » il Gentile intendeva dire: finché il fuoco non s’è spento, a caldo dun ­que e non a freddo. Senonché, anche intesa così la frase non risponde all’esperienza reale di chi abbia scritto qualche verso leggibile; e, accettando ­la, il Croce restò ancora convinto che esistesse una bellez ­za tecnica (non poetica) e una bellezza poetica poco o punto tecnica. Un bel pasticcio dal quale poi egli si ritrasse non occupandosi più della tecnica dell’artista, concepita come la estrinsecazione di un quid pre ­esistente, in sé perfetto come tale, ma non comunicabile senza la mediazione di un fat ­to tecnico. In ogni caso la ve ­ra forma restava un fatto in ­terno e solo in senso bassamente psicologistico poteva parlarsi di una creazione a caldo o a freddo.

*

Sono a San Felice a Ema Da queste parti abitò Virgilio Giotti quando scriveva poesie « in lingua ». Qui posseggo una proprietà immobiliare: un metro cubo a muro, protetto da una lastra che porta un nome e una data. C’è anche lo spazio per un secondo no ­me, il mio. Su una vicina la ­pide vedo una fotografia smal ­tata, in ovale. Una ragazza di diciotto anni morta in seguito ad accidente stradale. Dev’es ­sere stata bella, paffuta, con molti riccioli. La madre è lì accanto e sta cambiando i fio ­ri nei vasetti. Anche Laura fa lo stesso nei vasetti che mi ri ­guardano. Toglie i fiori sec ­chi, mette a posto i fiori fre ­schi, poi va a prender l’acqua per annaffiarli. Infine trova anche una ramazza per lasciar tutto pulito. E’ attenta e pre ­cisa. Ci è rimasto qualche fio ­re, mettiamolo sul margine di un’altra lastra, un poco più in alto. E’ il posto di Vittorina, la dolcissima madre di Laura.

Frattanto comincia a piovere. Dopo qualche gocciolone addirittura un rovescio. Dobbiamo andare, dico. Avete un passaggio? dice la madre del ­la ragazza paffuta. Ma sì, ven ­ga anche lei. Cerchiamo di correre, ma quando arriviamo alla macchina siamo tutti in ­zuppati. Sto a Pozzolatico, a due passi, dice la madre. Lau ­ra guida attenta e precisa. Non ci si vede più. L’acqua scro ­scia violenta sul parabrezza. Ancora un bel po’ di sobbalzi, poi ci siamo, dice la madre della ragazza. C’è infatti una porta a sinistra. La madre sgu ­scia giù ed è subito una spu ­gna che parli. Vogliono en ­trare per rinfrescarsi, dice. Grazie, ma siamo già fin trop ­po freschi. Torniamo indietro a balzelloni. Ripassiamo davanti al cimitero e andiamo oltre. Al Pian dei Giullari ecco la casa di Gianfranco Contini. Una volta è venuto anche lui a San Felice e osservò a lungo una minuscola lucertola che faticava ad attraversare la ghiaia del cimitero. C’è troppo rumore per dirlo a Laura che continua a guidare attenta e precisa.

*

Il nuovo libro di Mario Monti (non il primo ma cer ­tamente il migliore) s’intitola Acqua e l’ha pubblicato Bom ­piani. Leggendolo pensavo che vi avrei trovato uno scrittore allo stato liquido, imprendibi ­le, come fu il Comisso dei suoi libri meno composti ma non meno felici. Non a caso Mon ­ti è stato l’editore del « tutto Comisso » in una serie di im ­peccabili volumi. Delle quat ­tro parti del libro, che ha un’interna unità ma non la struttura di un romanzo, solo la prima, Il mare, in gran par ­te dedicata alla pesca subac ­quea di pesci e di donne, ci mostra uno scrittore quasi to ­talmente fuso e disfatto nel ­l’oggetto rappresentato: la Li ­guria e nemmeno la più au ­tentica (sebbene ora scompar ­sa), ma quel tratto borghe ­semente balneare e piscato ­rio che va da Bogliasco a Camogli. Ignoro se oggi il no ­made dio Pan trascorra qual ­che ora in quei luoghi; direi di no, comunque i giovanili ricordi di Monti non sono troppo recenti.

E’ questa la parte più perfetta, non la più viva del libro. Il Monti veramente sot ­tomarino, in senso meramente psicologico perché il mare vi è presente solo come infiltrazione, lo troviamo nella terza sezione: La città, che è poi la New York dei suburbi dell’Isola, del Village, degli an ­giporti, degli scali e di tutto ciò che una immensa metropoli respinge ai suoi margini. Il Monti deve avervi passato veramente qualche stagione nella sua giovinezza di uomo che intendeva tagliare i ponti con l’avvenire troppo roseo a lui promesso in patria dalla sua estrazione sociale.

Sappiamo ora che i ponti non furono affatto tagliati. Se ciò fosse accaduto Monti sa ­rebbe ora qualcosa di non im ­maginabile. Non lo vedo inte ­grato in quel mondo, non so immaginarlo businessman ame ­ricano né tanto meno funzio ­nario e burocrate in qualche ufficio privato o statale. Non so pensarlo come un italiano « che si fa onore all’estero ». Ch’egli poi sia perfettamente O.K. nella città ch’è più sua, la Milano d’oggi, questo forse non lo sa neppur lui.

E ora basteranno poche pa ­role per dire come avviene che le quattro parti del libro si ricompongano nella memo ­ria. Il taglio espressionistico a frammenti, a squarci, a spic ­chi si mostra perfettamente idoneo a rappresentare la sua esperienza americana, non tan ­to recente. Qui non troviamo nulla che faccia pensare alla disponibilità di un Comisso. C’è un uomo duro a morire, capace di lunghi abbandoni ma anche pronto a riprendersi. Non è un caso che il divora ­tore di ostriche velenose di un brillante episodio non sia lui, Monti, che pure partecipa all’impresa, ma un più autentico folle. Si sente troppo bene che in simili casi il giovane apprenti sorcier confida sempre nella sua buona stella.

I toni si raddolciscono nel ­le altre due sezioni del libro. Il lago ci mostra il reduce im ­barcato in un’avventura quasi matrimoniale nel prosaico Va ­resotto; e l’amara ruminazione della Città, storia di cani e di povera gente conclude un quartetto che chiede all’acqua, magari all’acqua di falda presente anche a Milano, la sua nota dominante, la sua sigla. Inutile aggiungere che uno scrittore capace di sentire l’ac ­qua come matrice universale non sarà mai un produttore di letteratura « balneare ».

SURROGATI

Le violenze, i pestaggi,

le guerre (ma locali, che non

ci tocchino),

gli     allunamenti, d’interesse

sempre

decrescente,

le lotterie, le canzonette, il

calcio

internazionale,

tutto questo è l’ersatz della

terza e ultima

(sempre ultima, s’intende,

per gli allocchi)

catastrofe mondiale?

 

 


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A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart